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«E gli occhi?» Nightshade si chinò in avanti sulla sedia, cercando di vedere Lleu attraverso il fumo.

Rhys aveva una visuale migliore. Guardò negli occhi il fratello e balzò all’indietro.

Aveva visto in precedenza simili occhi che lo guardavano da una tomba. Occhi che erano vuoti. Occhi che non avevano dietro nessun’anima.

Gli occhi di Lleu erano gli occhi dei morti.

Non poteva accettarlo come prova, però, poiché incominciava a dubitare dei propri sensi. Suo fratello sembrava vivo, parlava da vivo, la sua carne pareva viva al tatto. Eppure vi erano l’avvertimento del Maestro, la valutazione del kender e, adesso che Rhys ci pensava, la reazione di Atta. La cagna si era messa contro di lui fin da principio, l’aveva affrontato a denti scoperti e col pelo del collo rizzato. Non aveva voluto che si avvicinasse alle pecore. L’aveva morso quando lui aveva cercato di metterle le mani addosso.

Rhys poteva ipotizzare che il Maestro avesse parlato metaforicamente. Poteva non badare al kender perché diceva sciocchezze. Ma Rhys si fidava della cagna. Atta si era resa conto, dal momento in cui aveva visto e annusato Lleu, che in lui qualcosa non andava.

«Hai ragione», ammise a bassa voce Rhys. «Ha gli occhi di un cadavere.»

Lleu spinse all’indietro la sedia, si alzò. «Devo andare. Ho un appuntamento. Con una donzella.» Strizzò l’occhio e fece uno sguardo lascivo.

«Non sarà Mina, vero?» domandò Rhys.

La reazione di Lleu fu sbalorditiva. Allungando le mani al di là del tavolo, afferrò il colletto della veste di Rhys e quasi lo trascinò via dalla sedia.

«Dov’è lei?» domandò ansimando Lleu terribilmente impaziente. «È qui in giro da qualche parte? Dimmi come trovarla! Dimmelo!»

Rhys abbassò lo sguardo sulle mani del fratello, che gli stringevano la stoffa tessuta in casa. Aveva le nocche bianche per la tensione. Le dita gli tremavano.

«Non ho idea di dove sia», rispose Rhys. «Speravo me lo dicessi tu.»

Lleu lo guardò con occhio furioso e sospettoso. Poi lo lasciò andare.

«Scusa», mormorò Lleu. «Devo trovarla, ecco tutto. Va bene. Continuerò a cercarla.»

Lleu aprì la porta e uscì, sbattendo l’uscio alle proprie spalle. L’oste ruggì che voleva il suo denaro, ma ormai Lleu se n’era andato.

Rhys si alzò in piedi. Nightshade balzò su per tutta risposta.

«Dove andiamo?»

«Dietro a lui.»

«Perché?»

«Per vedere che fa, dove va.»

«Ehi!» urlò l’oste. «Pagate voi per il vostro amico?»

«Io non ho soldi...» incominciò a dire Rhys, ma fu interrotto dal suono di monete d’acciaio che tintinnavano sul bancone.

«Grazie», disse l’oste, raccogliendo le monete.

Rhys guardò Nightshade con fare accusatorio.

«Non sono stato io», si affrettò a dire il kender.

«Me ne devi due, monaco», disse la voce ardente di Zeboim dalle ombre fumose. «Adesso inseguilo!»

Rhys e Nightshade uscirono dalla taverna, correndo in silenzio dietro a Lleu, che si dirigeva verso Solace.

Presero precauzioni per evitare che lui notasse di essere seguito, anche se si rivelarono non necessarie, poiché lui nemmeno una volta si guardò alle spalle. Camminava spensieratamente per la strada, con la testa gettata all’indietro, cantando il ritornello della canzone oscena.

«Nightshade, ho sentito dire che ci sono morti viventi chiamati zombie.» Si sentiva strano a fare questa domanda, irreale, come in un sogno orribile. «È possibile...»

«... che lui sia uno zombie?» Nightshade scrollò violentemente il capo. «Tu non hai mai visto uno zombie, vero? Gli zombie sono cadaveri risuscitati dopo la morte. Il loro fetore basta a farti venire il voltastomaco. Hanno la carne in putrefazione, gli occhi fuori dalle orbite. Quando camminano procedono a passi strascicati perché non sanno muovere né le gambe né i piedi. Sono più simili a orribili marionette che a qualunque altra cosa. Non cantano, te lo assicuro, e non sono giovani e belli.»

«Dirò una cosa a favore di tuo fratello, Rhys», concluse solennemente Nightshade. «È il morto di più bell’aspetto che io abbia mai visto in vita mia.»

12

Rhys e Nightshade seguirono Lleu in una delle zone più nuove di Solace. Per alloggiare le numerose persone che si trasferivano in città, venivano costruite in tutta fretta delle case sotto gli alberi di vallen, anziché sui rami. Coloro che vivevano in queste case nuove erano in genere profughi sfuggiti alla distruzione causata da Beryl. Al loro arrivo a Solace vivevano in tende, ma ormai alcuni di loro si erano sistemati bene e volevano un’abitazione permanente.

Attorno al tronco di uno di questi alberi giganteschi si potevano costruire moltissime case. Per risparmiare denaro e legno, il progettista seguì l’idea degli elfi di usare l’albero stesso come una delle pareti della casa, per cui le case assomigliavano a funghi spuntati fuori dal fango alla base dell’albero. L’ora era tarda. Quasi tutte le case erano buie, i loro occupanti erano andati a dormire, ma qua e là brillava una luce a una finestra, riversando il suo bagliore sulla strada.

Lleu rallentò il passo, quando raggiunse questa zona della città, e smise di cantare. Si avvicinò a una delle case oscurate e sbirciò in una finestra. Quindi gironzolò su e giù per la strada, dando di quando in quando un’occhiata alla casa. Rhys e Nightshade rimasero nell’ombra a osservare e ad aspettare.

Qualcuno socchiuse la porta della casa. Una giovane donna avvolta in un mantello scivolò fuori e con fare silenzioso e furtivo si chiuse la porta alle spalle. Aveva difficoltà a vedere nel buio e si guardava attorno timorosa.

«Lleu?» chiamò con tono tremulo.

«Lucy, colombina mia.» Lui la prese fra le braccia e la baciò.

«No, no, non qui!» protestò lei senza fiato, respingendolo. «Immagina se mio marito dovesse svegliarsi e vederci!»

«Dove andiamo, allora?» disse Lleu, stringendola alla vita e strofinandole il viso sul collo. «Non riesco a staccare le mani da te.»

«Conosco un posto», disse lei. «Vieni con me.»

Tenendosi stretti, ridendo e scherzando, i due si affrettarono lungo la strada. Rhys e Nightshade li seguirono. Rhys era turbato, incerto sul da farsi. A quanto pareva era soltanto un appuntamento di mezzanotte con una giovane donna, perfettamente normale per un giovanotto come Lleu, a parte il fatto che Lleu era tutt’altro che normale e che la giovane donna era sposata.

Rhys avrebbe probabilmente dovuto interrompere tutto questo, prendere la donna e trascinarla a casa sua. Ci sarebbe stata una scenata col marito: lacrime e piagnistei, collera, una baruffa. I vicini si sarebbero svegliati. Qualcuno avrebbe chiamato le autorità.

No, si risolse Rhys. Da un tumulto non sarebbe venuto nulla di buono. Preferiva attendere il momento opportuno, aspettare fino a trovarsi in qualche luogo tranquillo, poi avrebbe cercato di parlare con Lleu.

La coppia raggiunse una zona isolata e deserta in mezzo a una pineta. Dall’aspetto dell’erba calpestata, questo doveva essere il luogo d’incontro degli innamorati. Non avevano neanche smesso di camminare che Lleu aveva già messo le mani dappertutto addosso alla donna. Le baciò il collo, le passò le mani sul seno, le sollevò la gonna.

«Per essere morto è piuttosto vivace», osservò Nightshade.

Rhys era a disagio nel guardare tutto questo. Sentiva di dover intervenire, anche se aveva dubbi su che cosa dire. La donna sarebbe stata imbarazzata e sconvolta. Lleu sarebbe stato furioso. Di nuovo, vi sarebbero state lacrime, recriminazioni.

La donna sospirò, ansimò e si aggrappò a Lleu, premendosi la testa di lui sul seno, passandogli le dita fra i capelli. Lleu le tolse il mantello e lo distese sugli aghi di pino. I due sprofondarono nel terreno.

«Dovremmo andarcene», osservò Rhys, e stava per voltarsi e andare quando le parole del fratello lo fermarono.