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Lleu era adagiato contro un albero, con le braccia ripiegate sul petto, e osservava con un sorriso gli eventi.

Rhys afferrò il bastone e prese ad avanzare contro il fratello.

«Attento! Dietro di te!» si levò stridula la voce di Nightshade.

Rhys si girò, guardò, inorridì.

Lucy avanzava verso di lui, con i fianchi ondeggianti, le labbra dischiuse, le mani tese.

«Chemosh avrà la tua anima», gli disse, ridendo, con cadenza ritmata. La testa aveva un’angolazione strana nel punto in cui lui le aveva spezzato il collo. Con una torsione e uno strattone Lucy se la raddrizzò e continuò ad avanzare. «Che tu lo voglia o no.»

Rhys udì alle sue spalle il raschio della spada di Lleu che scivolava fuori dal fodero. Rhys affrontò Lucy, tenendola a bada con l’emmide; con gli occhi guardava lei mentre con gli orecchi seguiva i movimenti di Lleu. Nightshade borbottava qualcosa e agitava le mani, come se stesse creando qualche sorta di incantesimo. Rhys sperava che il kender stesse zitto. Udì un fruscio nell’erba, un crepitio di aghi di pino secchi e l’improvviso respiro trattenuto di Lleu.

Rhys balzò di lato, contorcendo il corpo. La spada sferzò l’aria dove fino a un attimo prima stava lui.

Il violento affondo trasportò Lleu fino a metà della radura. Rhys colpì Lucy in faccia con l’emmide. Il colpo le schiacciò il naso, allargandoglielo sul viso. Dalla ferita scese un rivolo di sangue, ma non quel torrente impetuoso che sarebbe dovuto scorrere da una simile lesione. Lucy gridò, più per la collera che per il dolore, e barcollò all’indietro.

Rhys si spostò per affrontare Lleu, in tempo per vedere il fratello correre di nuovo verso di lui, con la spada in una mano e il coltello nell’altra.

Rhys colpì la spada col bastone spezzandola in due. Roteando rapidamente il bastone e facendolo sembrare un mulino in un forte vento, lo abbassò con forza sul polso di Lleu e udì l’osso spezzarsi. Lleu lasciò cadere il coltello. Rhys rammentava chiaramente che l’ultima volta in cui aveva colpito Lleu lui aveva gridato per il dolore. Adesso Lleu non gridò, non sembrò nemmeno notare il fatto che la sua mano non funzionasse più.

Senza armi, Lleu si scagliò contro suo fratello, cercando di afferrarlo per la gola con la mano buona e percuotendolo con la mano fratturata, usandola come un bastone.

Con l’anima nauseata dall’orrore, Rhys si scansò facendo un passo di lato. Lleu lo superò con lo slancio e al suo passaggio Rhys gli diede un calcio sul piede d’appoggio. Lleu cadde sul ventre.

In piedi sopra il fratello caduto, Rhys spinse con tutte le sue forze l’estremità grossa del bastone nella colonna vertebrale di Lleu, separando le vertebre e arrivando al midollo spinale, spezzandolo.

Rhys indietreggiò, sulla difensiva, osservando il fratello.

«Il mio incantesimo mistico non ha funzionato!» ansimò Nightshade, correndo verso di lui. «Ho creato questo incantesimo miriadi di volte e ha sempre bloccato i morti viventi. Di solito li fa cadere come birilli. Tuo fratello non si è neanche scomposto.»

Lleu fece una smorfia, come fosse inciampato, poi lentamente, come rimettendosi a posto, prese a rimettersi in piedi. Si strofinò la schiena, inarcandola.

«Se vuoi il mio parere, Rhys», soggiunse il kender, ansante, «non puoi fare niente per ucciderli. Adesso sarebbe il momento giusto per scappare!»

Rhys non rispose. Stava osservando Lleu.

«Subito!» insistette Nightshade, tirando per la manica Rhys.

«Te l’ho già detto, Rhys», disse Lleu. Pose l’altra mano su quella menomata, afferrò il polso e con uno scatto se lo rimise a posto. «Io sono uno dei Prediletti di Chemosh. Io ho questo dono. La vita eterna...»

«Anch’io sono una Prediletta di Chemosh», disse Lucy. Sembrava ignara di avere il naso maciullato e sanguinante. «Io ho questo dono. La vita eterna. Puoi averla anche tu, Rhys. Offriti a Chemosh.»

I due cadaveri avanzarono contro di lui, con gli occhi illuminati non dalla vita ma dal bisogno disperato di togliere la vita.

A Rhys si riempì di bile la bocca. Lo stomaco gli si strinse. Rhys si girò e fuggì, correndo nel bosco, schiantandosi contro i rami degli alberi, tuffandosi a capofitto in tratti di erbacce. Si fermò per vomitare, poi fuggì di nuovo, fuggì dalle risate di scherno che danzavano fra gli alberi, fuggì dal corpo della ragazza fra le sue braccia, fuggì dai cadaveri nella fossa comune del monastero. Corse alla cieca, sventatamente, corse finché non ebbe più forze e cadde a terra, ansimante e singhiozzante. Vomitò ancora e ancora, anche quando non vi era più niente da vomitare, e poi rigettò sangue. Alla fine, esausto, si rigirò sulla schiena e rimase lì disteso, stringendosi il corpo tremante.

Lì lo trovò Nightshade.

Anche se gli aveva consigliato di scappare, il kender non era preparato a vedere Rhys mettere in pratica il suo suggerimento in maniera tanto improvvisa. Preso alla sprovvista, Nightshade aveva avuto una partenza lenta. Gli occhi famelici dei due Prediletti di Chemosh rivolti nella sua direzione gli misero le ali ai piedi. Non vedeva Rhys, ma lo udiva avanzare nel bosco spezzando rami. I kender hanno un’ottima vista anche di notte, molto migliore degli esseri umani, e Nightshade ben presto trovò Rhys disteso a terra nel bosco, con gli occhi chiusi e il respiro affannoso.

«Adesso non metterti a morirmi qui», ordinò il kender, accovacciandosi accanto all’amico.

Gli mise la mano sulla fronte e la sentì calda. Rhys aveva il respiro aspro e raschiante per via della gola infiammata, ma respirava intensamente. Nightshade recitò una breve cantilena che aveva appreso dai suoi genitori e accarezzò i capelli del monaco per calmarlo, più o meno come il kender coccolava Atta.

Rhys sospirò profondamente. Il corpo gli si rilassò. Aprì gli occhi e, vedendo Nightshade chino su di lui, gli rivolse un lieve sorriso.

«Come ti senti?» domandò ansiosamente Nightshade.

«Molto meglio», rispose Rhys. Lo stomaco aveva smesso di rivoltarglisi, la gola irritata gli pareva calda e lenita, come se lui avesse bevuto latte caldo e miele. «Hai dei talenti nascosti, a quanto pare.»

«Solo un piccolo incantesimo di guarigione che ho imparato dai miei genitori», spiegò con modestia Nightshade. «Torna utile ogni tanto, per riaggiustare le ossa rotte e fermare le emorragie e far andare via la febbre. Io non so fare niente di importante, niente di simile al riportare in vita i morti...» Deglutì, si morse il labbro. «Oh, scusa. Non intendevo parlarne.»

Rhys si alzò rapidamente in piedi. «Quanto tempo sono rimasto svenuto?»

«Non molto. Avresti potuto aspettarmi, sai?»

«Non ci ho pensato», mormorò Rhys. «Non riuscivo a pensare a niente tranne a quanto fosse orribile...» Scrollò il capo. «Ci inseguono?»

Nightshade si guardò alle spalle. «Non so. Immagino di no. Io non li sento, e tu?»

Rhys scrollò il capo. «Magari li sentissi.»

«Tu vuoi che ci inseguano? Vogliono ucciderci! Offrirci a Chemosh!»

«Sì, lo so. Ma se ci inseguissero, vorrebbe dire che ci temono. Per come stanno le cose...» Alzò le spalle. «Non gli interessa sapere che ne è di noi. È inquietante.»

«Capisco», disse solennemente Nightshade. «Sanno che non possiamo fare niente per fermarli. E hanno ragione. La mia magia non ha avuto effetto su di loro. E non mi era mai capitato prima. Be’, non più da quando ero un piccolo kender e facevo i primi passi. Forse se avessimo un’arma magica...»

«L’emmide è un’arma magica benedetta dal dio. Me l’ha donato Majere, un dono di addio.» Rhys strinse più forte il bastone. Rivide Atta salterellare col bastone in bocca e percepì un momentaneo calore nel mezzo di quella fredda oscurità. «Anche se chi maneggia il bastone non è benedetto da Majere, l’arma lo è. E come hai visto non è servita a uccidere mio fratello e nemmeno a rallentarlo granché. Come ha detto Lleu, lui non ha paura che noi raccontiamo a qualcuno che lui è un assassino. Chi ci crederebbe?»