«Immagino che tu abbia ragione», convenne Nightshade. «Non l’avevo vista in questo modo. Allora che facciamo?»
«Non lo so. Non riesco più a pensare razionalmente.» Rhys si guardò attorno. «Non ho idea di dove siamo né di come tornare alla taverna. E tu?»
«Non molto», rispose allegramente Nightshade. «Ma vedo delle luci laggiù in quella direzione. E tu?»
«No, ma d’altronde io non ho gli occhi di un kender.» Rhys mise una mano sulla spalla di Nightshade. «Fai strada tu. Grazie per l’aiuto, amico mio.»
«Non c’è di che», disse Nightshade. Dal tono sembrava abbattuto, però, non della solita allegria. Si incamminò, ma non guardava dove stesse andando e quasi subito mise il piede in una buca.
«Ahi», si lamentò, e si strofinò la caviglia.
«Stai bene?»
«Credo di sì.»
«Che succede?»
«Devo dirti una cosa, Rhys.»
«Sì, che c’è?»
«Non ti piacerà», lo avvertì Nightshade.
Rhys sospirò. «Puoi aspettare fino a domattina?»
«Immagino di sì. Però... be’, potrebbe essere importante.»
«Vai avanti allora.»
«Ho visto altre persone come tuo fratello e Lucy. Voglio dire, come quegli esseri che una volta erano tuo fratello e Lucy. Le ho viste oggi, a Solace.»
Il viso del kender era un bagliore bianco alla luce di Solinari.
«Quante?» domandò Rhys, disperandosi.
«Due. Tutte e due giovani donne. E anche carine. Ma morte. Morte come più morte non si può.» Nightshade scrollò tristemente il capo. «Te l’avrei detto prima, ma non sapevo che cosa avevo visto. Finché non ho visto tuo fratello nella taverna. Allora ho capito. Quelle donne erano proprio come lui: non brillava in loro nessuna luce spirituale, eppure gironzolavano qua e là contente come non mai, parlavano, ridevano...»
Rhys ripensò alla figlia del mugnaio, che si era messa con Lleu, poi era scappata di casa. Quante altre ragazze Lleu aveva sedotto e assassinato, offrendo la loro anima a Chemosh? Rhys rivide la fame terribile negli occhi di Lucy. Quanti giovanotti avrebbero sedotto a loro volta queste donne? Sedotti e assassinati. I Prediletti di Chemosh.
«Nessuno sa che cosa intendano fare, perché nessuno sa che sono morti», rifletté, colpito dalla terribile perfezione del progetto del dio.
Rhys sapeva che le cose stavano davvero così ma, come aveva detto al kender, chi gli avrebbe creduto? Come avrebbe potuto convincere qualcuno? Nightshade poteva sempre dire ciò che vedeva, ma i kender non erano noti per la loro sincerità. Rhys poteva catturare Lucy, legarla e trascinarla davanti ai magistrati, chiedendo loro che la guardassero negli occhi. Rhys poteva immaginarsi la loro reazione. Sarebbe stato arrestato lui, e incarcerato in quanto pazzo furioso.
La morte aveva un volto nuovo e quel volto era giovane e bello; il corpo della Morte integro e forte.
Rhys poteva gridarlo al mondo.
E nessuno gli avrebbe creduto.
LIBRO TERZO
I Prediletti di Chemosh
1
Mina passò le dita fra i capelli biondi dell’uomo. Aveva capelli morbidi e sottili, come quelli di un bambino. La frangetta era tagliata corta e gli ricadeva sulla fronte, e Mina la scostò per vedergli gli occhi. Non si ricordava come si chiamasse. Non ricordava mai i nomi. Rammentava però gli occhi, rammentava l’aria indagatrice, bramosa e stupefatta. Dolore, talvolta, infelicità, collera, frustrazione. Adorazione, naturalmente. Tutti la adoravano. Il giovane le prese la mano e le baciò le dita.
Durante la Guerra delle Anime i suoi soldati la adoravano. La adoravano quando lei li conduceva alla morte. La adoravano quando lei si inginocchiava su di loro e pregava per loro, inviando le loro anime nel vasto fiume dei perduti. Vedeva nei loro occhi la paura, paura dell’ignoto.
Tanta paura. Paura della vita, di vivere. Lei aveva il potere di portare via la paura. Portare via l’ignoto. Al suo bacio, lo spirito abbandonava il corpo, percorreva vacillando una breve distanza, con le braccia tese verso Chemosh, come un bambino avanza barcollando verso sua madre. Chemosh rispediva lo spirito nel corpo, lavato, purificato, spogliato di ogni sensazione sgradevole. Niente amore, niente senso di colpa, niente angoscia, niente gelosia...
«Sarai un Prediletto di Chemosh», disse al giovane, con le labbra calde sulla mano aperta di lui. «Avrai vita eterna. La fine del dolore. Non conoscerai mai né freddo né fame.»
«Un dio è uguale all’altro, presumo», disse il giovane, e il suo fiato era bollente sul collo di lei. «Promettono e non mantengono mai, almeno da quanto ho sentito.»
«Chemosh ti darà tutto ciò che io ti ho promesso», continuò Mina, scostandogli all’indietro i capelli biondi. «Vuoi accoglierlo come tuo dio?»
«Se vieni anche tu», rispose il giovane, e rise.
«Viene anche lei», si udì una voce. «È lei che lo accompagna.»
L’innamorato balzò in piedi. Avevano steso una coperta in un luogo isolato sulla riva del fiume, un recesso ombroso di foglie umide e radici di alberi ed erba calpestata.
«Chi siete voi?» domandò il giovane al dio bello ed elegantemente vestito che sembrava essere spuntato fuori dalla terra, poiché lui non aveva udito alcun rumore del suo avvicinarsi.
«Chemosh», rispose, e mentre il giovane restava a bocca aperta il dio allungò la mano e lo toccò sul petto, sopra il cuore. «E tu sei mio.»
Il giovane restò senza fiato per il dolore e si strinse il petto. Il corpo gli rabbrividì. Cadde in ginocchio. I suoi occhi fissavano il dio, mentre la luce al loro interno lentamente svaniva. Cadde in avanti e rimase lì disteso immobile. Chemosh passò sopra il corpo. Guardò Mina, con un’espressione rabbuiata e accigliata.
«Non mi piace questa cosa.»
«Come vi ho recato dispiacere, mio signore?» domandò Mina. Si alzò con dignità e si mise davanti a lui. «Io faccio tutto quello che mi chiedete.»
Ciò che aveva detto era perfettamente vero, ma non fece che rendere ancora più irato Chemosh, così come il fatto di non capire perché dovesse essere in collera con lei.
«Tu sei somma sacerdotessa del Signore della Morte», affermò Chemosh. «Non è opportuno che questi zotici ti strapazzino con le loro mani ruvide e goffe. Tu però sembri trarre un gran piacere da questi strapazzi e maltrattamenti. Forse faccio male a fermarti.»
«Mio gentile signore», disse Mina, avvicinandoglisi e alzando lo sguardo verso di lui. I suoi occhi d’ambra, liquidi e dorati, si riversarono su di lui. «Voi mi ordinate di portare a voi questi giovanotti. Io obbedisco ai vostri comandi.»
Si avvicinò ancora, in modo da fargli sentire il suo calore, annusare la fragranza dei suoi capelli e il profumo della sua carne ancora morbida e arrendevole per il desiderio.
«Le mani che mi toccano sono le vostre mani», gli disse. «Le labbra che mi baciano sono le vostre. Di nessun altro.»
Chemosh la prese fra le braccia e la baciò intensamente, brutalmente, sfogando la propria collera su di lei, che ne era la causa, anche se lui non sapeva dire di preciso perché. Mina rispose al suo bacio, feroce e disperata, come sul campo di battaglia, quando tutto il tumulto del combattimento svanisce e lascia i due avversari avvinghiati assieme in un momento prezioso che vivrà finché uno dei due morirà.
«Mio signore...» sussurrò Mina. «Volete che io gli conceda la vostra benedizione?»
Indicò con un gesto il corpo del giovane disteso sulla coperta presso la riva del fiume.
«Ci penso io», rispose e, chinandosi, pose la mano sul torace immobile del giovane.
Il cadavere aprì gli occhi. Aveva occhi verdi e bei capelli biondi. Guardò Chemosh e riconobbe il Signore della Morte, e nel suo sguardo vi era reverenza. Si alzò in piedi e si inchinò.
«Tu sei uno dei miei Prediletti», disse Chemosh al giovane. «Procedi verso est, verso il mattino della tua nuova vita. E durante il cammino trova altri che giurino di adorarmi e conducili al mio servizio.»
«Sì, mio signore.» Il giovane fece un altro lungo inchino a Chemosh, che lo congedò con un brusco gesto della mano.