«Mina», disse Chemosh. «Ti ho dato un ordine. Ti ho detto di andartene.»
Mina sembrò incline a discutere. Dopo un’occhiata al viso rabbuiato e torvo del dio, però, si acquietò. Raccolse la lunga gonna e si allontanò.
«Dovete tenerla in riga», consigliò Krell. «Si sta un po’ montando la testa. Peggio di una moglie. Dovreste ucciderla e basta. Da morta darebbe meno fastidio che da viva.»
Chemosh assalì il cavaliere. La luce negli occhi del dio era sinistra, una luce più buia delle tenebre. Quel poco che rimaneva del cavaliere della morte si accartocciò dentro l’armatura.
«Adesso sei mio, Krell, non dimenticarlo», sussurrò Chemosh, «e che con un colpetto del dito posso ridurti a un cumulo di sterco».
«Sì, mio signore», disse Krell, soggiogato. «Chiedo scusa, mio signore.»
Chemosh evocò una sedia, evocò un’altra sedia, evocò un tavolo e lo collocò in mezzo a loro due.
«Siediti, Krell», lo invitò con stizza. «Mi pare che ti piaccia giocare a khas.»
«Forse sì, mio signore», rispose Krell guardingo, sospettando una trappola.
Fissò intensamente la sedia, che si era materializzata dall’oscurità dell’Abisso. Quando pensava che Chemosh non stesse guardando, Krell diede alla sedia un colpetto di nascosto col dito.
«Siediti, Krell», ripeté freddamente Chemosh. «Mi piace vedere gli occhi, perfino gli occhi di maiale, allo stesso livello dei miei.»
Il cavaliere della morte calò pesantemente sulla sedia il proprio nulla incassato nell’armatura.
Chemosh agitò la mano e un unico punto di luce illuminò dall’alto un tabellone per il khas.
«Che ne dici di questi pezzi, Krell?» domandò con noncuranza Chemosh. «Li ho fatti fare appositamente. Sono fatti di osso.»
Krell stava per dire che non gli importava un fico secco anche se fossero stati fatti di sterco di cavallo, ma poi incrociò lo sguardo di Chemosh. Con pollice e indice guantati Krell raccolse una pedina, realizzata in modo da assomigliare a un goblin, e fece finta di ammirarla.
«Ottima fattura, mio signore. È degli elfi?»
«No», disse Chemosh. «Goblin. Questi pezzi sono degli elfi.» Indicò i due chierici elfi.
«Non sapevo che i goblin sapessero intagliare così bene», osservò Krell, stringendo il goblin per il collo mentre lo scrutava intensamente.
Chemosh emise un sospiro profondo. Perfino la vita di un dio era troppo breve per sopportare uno così duro di comprendonio come Ausric Krell.
«Non è affatto intagliato, zuccone ottuso. Quando ho detto che è fatto di osso, volevo dire che... Oh, lascia perdere. È un goblin quello che hai in mano. Un goblin morto, rimpicciolito.»
«Ah, ah!» Krell rise di cuore. «Questa è bella. E questi sono elfi morti?» Diede un colpetto a uno dei chierici. «E questo è un kender morto...»
«Basta, Krell!» Chemosh inspirò profondamente, quindi proseguì con quanta più pazienza poté. «Io sto per lanciare la mia campagna.»
Il dio poggiò i gomiti sul tavolo, sui due lati del tabellone per il khas, e si chinò su questo, come contemplando una mossa.
«L’azione che progetto di intraprendere attirerà necessariamente l’attenzione degli altri dèi. Una sola dea costituisce una minaccia significativa per me. Una sola dea potrebbe essere un ostacolo serio. In effetti ha già incominciato a infastidirmi notevolmente.»
Fissò lo sguardo su Krell, per accertarsi che stesse attento.
«Sì, mio signore.» Krell adesso pareva meno stupido. Campagna, battaglia: queste erano cose che lui capiva.
«La dea che mi interessa è Zeboim», disse Chemosh.
Krell grugnì.
«Si è trovata un seguace, un monaco di Majere espulso dall’ordine, che per caso ha scoperto il segreto dei Prediletti di Chemosh. Lo ha detto a Zeboim, e lei minaccia di smascherarmi se io non ti riporto al Bastione della Tempesta.»
«Voi non avete intenzione di farlo, vero, mio signore?» domandò nervosamente Krell.
Allungando la mano, Chemosh raccolse uno dei suoi pezzi dal lato delle tenebre, il pezzo chiamato cavaliere. Accarezzò il pezzo, lo rigirò in mano.
«In realtà sì. Aspetta!» Sollevò una mano, mentre Krell squittiva un’irata protesta. «Stammi a sentire. Che ne pensi di questa mossa, Krell?»
Lentamente e intenzionalmente collocò il pezzo davanti alla regina nera.
«Non potete fare una mossa del genere, mio signore», tuonò Krell. «È contro le regole.»
«Infatti, Krell», ammise Chemosh. «Contro ogni regola. Prendi quel pezzo. Guardalo bene. Che cosa ti sembra?»
Krell sollevò il pezzo e lo scrutò attraverso le fessure per gli occhi del proprio elmo. «È un cavaliere che cavalca un drago.»
«Descrivilo meglio», lo sollecitò Chemosh.
«Il cavaliere è un Cavaliere delle Tenebre di Takhisis», affermò Krell, dopo un esame più attento. «Ha sull’armatura il simbolo col giglio e col teschio.»
«Acuta osservazione, Krell», osservò Chemosh.
Krell ne rimase compiaciuto, non notando il sarcasmo. «Indossa una cappa e un elmo e cavalca un drago azzurro.»
«Ti sembra di riconoscere quel cavaliere, Krell?» domandò Chemosh.
Krell tenne il pezzo praticamente contro il naso. Gli occhi rossi gli si infiammarono.
«Lord Ariakan!» Krell fissò il pezzo, incredulo. «Fino al minimo dettaglio!»
«Infatti, Lord Ariakan, amato figlio di Zeboim. Il tuo compito è custodire quel pezzo del khas, Krell. Conservalo al sicuro ed esegui alla lettera i miei ordini. Perché è così che terremo imprigionata la Regina del Mare nel suo lato del tabellone, completamente e assolutamente inerme.»
Gli occhi rossi del cavaliere della morte si fissarono sul pezzo e tremolarono dubbiosi. «Non vi capisco, mio signore. Perché alla dea dovrebbe importare un pezzo del khas? Anche se assomiglia effettivamente a suo figlio...»
«Perché è suo figlio, Krell», precisò Chemosh. Si appoggiò all’indietro sulla sedia, poggiò i gomiti sui braccioli e congiunse la punta delle dita.
La mano di Krell si contorse e quasi lasciò cadere il pezzo. Lo depose in fretta e se ne ritrasse.
«Puoi toccarlo, Krell. Non ti morde. Be’, ti morderebbe, se potesse prenderti. Ma non può.»
«Ariakan è morto», fece notare Krell. «Sua madre si è portata via il corpo...»
«Oh, sì, è proprio morto», concordò compiacente Chemosh. «È morto, per via del tuo tradimento, e la sua anima è venuta a me, come tutte le anime dei morti. Per la maggior parte mi passano per le mani fuggevolmente come scintille che si sollevano verso il cielo, dirette verso la prosecuzione del loro viaggio. Altre, come te, Krell, restano imprigionate in questo mondo per punizione.»
Krell ringhiò, un rimbombo nella bara della sua armatura.
«Altre ancora, come il mio Lord Ariakan, si rifiutano di andarsene. Talvolta non sopportano di separarsi da una persona amata. Talvolta non sopportano di separarsi da qualcuno che odiano. Queste anime sono mie.»
Gli occhi rossi tremolarono, quindi Krell incominciò a capire. Gettò indietro la testa ed emise una risata sgangherata che riecheggiò in tutto l’Abisso.
«La sete di vendetta di Ariakan nei miei confronti lo tiene intrappolato qui. Ora, questa sì che è una bella battuta, una che io so apprezzare.»
«Sono contento che tu ti diverta tanto facilmente, Krell. Adesso, se puoi smettere di gongolare per un attimo, ho i miei ordini per te.»
«Sono tutto orecchi, mio signore.»
Krell ascoltò attentamente gli ordini, quindi pose alcune domande che effettivamente rasentavano l’intelligenza.
Soddisfatto perché questa parte del piano sarebbe andata avanti, Chemosh congedò il cavaliere della morte.
«Confido che non ti dispiacerà tornare al Bastione della Tempesta, Krell.»
«No, fintanto che sono libero di andarmene quando voglio, mio signore», disse il cavaliere della morte. «Potrò andarmene quando il mio dovere sarà compiuto?»
«Naturalmente, Krell.»
Il cavaliere della morte raccolse il pezzo del khas, lo guardò per un attimo, ridacchiò, quindi se lo infilò nel guanto. «A dire il vero, sento quasi la mancanza di quel posto.»