Zeboim perlustrò i cieli in cerca di aiuto. Invocò suo padre, Sargonnas, ma lui aveva orecchi soltanto per i suoi minotauri. Cercò il suo fratello gemello, Nuitari, Dio della Luna Nera, ma non si trovava da nessuna parte.
Loro non potevano fare niente comunque, si rese conto Zeboim. Neanche lei poteva fare niente.
La dea emise un profondo gemito raccapricciante. Dai cieli caddero goccioline di pioggia. Le nubi si disintegrarono in filamenti frastagliati. Il vento si smorzò fino a diventare appena un sussurro. Le acque del mare si appiattirono.
Sul Bastione della Tempesta le onde lambivano mitemente gli scogli. Le nubi tonanti si allontanarono e il sole splendette vivido, tanto vivido che Krell, non essendovi abituato, trovò fastidiosa quella luce e fu costretto ad abbandonare la partita a khas per chiudere le imposte.
3
Le navi della forza di spedizione dei minotauri strisciavano come insetti su un mare piatto come l’olio. I rematori delle enormi triremi faticavano incessantemente, giorno e notte, finché molti crollavano per lo sfinimento. Cibo e acqua dovettero essere razionati. Equipaggi e passeggeri incominciarono ad ammalarsi e a morire. In tutto il mondo le navi languivano su mari privi di vita. Dappertutto i marinai pregavano Zeboim perché venisse in loro soccorso, ma non giunse nulla. Per la disperazione, alcuni si rivolsero ad altri dèi affinché intercedessero a loro favore presso Zeboim.
Sargonnas, in particolare, sarebbe stato lieto di farlo. I suoi eserciti dovevano approdare a Silvanesti a mezza estate, per sfruttare il bel tempo per fortificare le difese, conquistare nuovi tenitori, costruire nuove case per gli immigrati. Per come si muovevano lentamente le navi, sarebbero arrivate in tempo per celebrare la festa del solstizio d’inverno.
Quelle che fossero arrivate...
Infuriato, il dio dalle corna percorse a grandi passi i cieli alla ricerca di sua figlia. Non aveva idea di quale perverso capriccio avesse colto Zeboim, ma quest’ultima smania bizzosa doveva finire. I piani di Sargonnas per la conquista sia del mondo mortale sia del piano celeste venivano pregiudicati.
Sargonnas perlustrò i mari e i fiumi, i torrenti e i ruscelli. Cercò fra le nubi che non ribollivano e non si rimescolavano più ma si radunavano in una massa grigia che densa e piangente si disponeva sopra i mari calmi. Il dio dissolse le foschie, lacerò le nebbie e urlò con voce tonante il nome di Zeboim.
La dea non rispose. Era scomparsa e nessuno degli altri dèi, nemmeno Zivilyn dalla vista acuta, sapevano dove fosse andata.
Anche Rhys cercava Zeboim. Pur essendo molto più umile degli dèi, la cercava con pari zelo e finora con pari fortuna.
Rhys e Nightshade rimasero a Solace per diversi giorni, proseguendo le loro indagini su quei morti robusti e amanti della vita. Rhys teneva d’occhio da vicino suo fratello, mentre Nightshade vagabondava per la città, cercando altri cadaveri viventi. Il loro numero cresceva. Il kender ne notava ogni giorno di più. Tutti loro ridevano, parlavano, bevevano, facevano baldoria. Tutti loro erano involucri di carne tenebrosi, vuoti e privi di vita.
«Ieri mattina ne ho vista una di loro che amoreggiava con un giovanotto», raccontò Nightshade a Rhys. «Stamattina ho visto di nuovo lui.»
Rhys rivolse al kender un’occhiata interrogativa.
«Non ho potuto farci niente, Rhys», protestò Nightshade, disorientato. «Ho cercato di avvertirlo di non ronzare attorno a quel genere di donna. Mi ha risposto che dovevo farmi gli affari miei e che se mi avesse beccato di nuovo a ficcare il naso mi avrebbe ridotto in poltiglia e mi avrebbe infilato in una delle mie sacche.»
«Dobbiamo fare qualcosa per fermare questi Prediletti di Chemosh», disse Rhys. «Io sono riuscito a impedire a mio fratello di uccidere diverse volte, più spaventando la vittima e facendola scappare che facendo qualcosa a lui. Lleu si rifiuta di parlare con me, quando si ricorda di me, il che è raro. A quanto pare non ha alcun ricordo di me che cercavo di ucciderlo oppure, se ne ha, non mi serba rancore, perché quando io lo affronto lui si limita a ridere e si allontana. E io non posso stargli attorno giorno e notte. Lui non ha bisogno di dormire. Io sì.»
Guardò con amara frustrazione Lleu, il quale gironzolava spavaldo per la strada principale di Solace, col cappello inclinato all’indietro, come per sentire sul volto il sole del mattino, a parte che piovigginava. Piovigginava ormai da giorni, e Solace era un mare di fango e di abitanti fradici e scontrosi.
Lleu procedeva canticchiando. Dapprima accennava un motivetto ballabile. Poi aveva preso a canticchiarne alcuni brani e frammenti. Adesso il suo canticchiare non era più riconoscibile, era stonato e stridente, come se lui avesse dimenticato la canzone, ed era probabilmente così, pensò Rhys. Proprio come dimenticava da un momento all’altro se avesse mangiato o bevuto oppure no. Proprio come dimenticava Rhys. Proprio come dimenticava le sue vittime nel momento in cui le uccideva.
«Rhys», chiamò all’improvviso Nightshade, tirandolo per la manica bagnata. «Guarda! Dove sta andando?»
Rhys era assorto nei suoi pensieri, che erano deprimenti come la giornata, e non prestava attenzione. Aveva immaginato che Lleu stesse ritornando alla Mangiatoia, dove passava il tempo quando non faceva l’amore micidiale con una giovane donna condannata. Rhys scrutò attraverso la pioggia intermittente e vide che Lleu aveva deviato prendendo una direzione diversa. Si dirigeva verso la strada maestra.
«Credo che stia uscendo dalla città», suggerì Nightshade.
«Penso che tu abbia ragione», convenne Rhys, fermandosi tanto di colpo che colse di sorpresa Atta. La cagna avanzò di alcuni passi prima di rendersi conto di avere perso il padrone. Si girò, lo fissò con uno sguardo offeso, come per dirgli che avrebbe potuto avvertirla, quindi si scrollò di dosso la pioggia e ritornò trotterellando.
«Adesso che ci penso», rifletté Nightshade, «non ho visto nessuno dei Prediletti quando ho attraversato il mercato stamattina e non ce n’erano nemmeno alla taverna. Di solito ce n’è sempre un paio a bazzicare da quelle parti».
«Si stanno trasferendo», disse Rhys. «Sono andato a trovare i genitori della povera Lucy. Speravo di parlare con lei, ma mi hanno detto che è scomparsa e così pure suo marito. Guarda come Lleu si è spostato di città in città. Forse, quando i Prediletti di Chemosh hanno compiuto la loro missione in un posto, hanno l’ordine di passare a un altro e poi a un altro ancora. In questo modo nessuno si insospettisce, come potrebbe avvenire se rimanessero in giro troppo a lungo. E tutti si dirigono verso est.»
«Come fai a saperlo?» domandò Nightshade.
«Non lo so per certo», ammise Rhys, «ma per tutto questo tempo Lleu ha viaggiato in questa direzione. È come se lo stesse attirando qualcosa...».
«Qualcuno», lo corresse cupo Nightshade.
«Chemosh, sì», ammise Rhys. «Per quale motivo, mi domando? Per quale scopo?»
Nightshade alzò le spalle. Non vedeva a che scopo continuare a porre domande che non trovavano risposta e ritornò alle questioni pratiche.
«Gli andiamo dietro?»
«Sì», rispose Rhys, riprendendo il cammino. «Andiamo.»
Nightshade emise un sospiro malinconico. «Non è che così arriviamo da nessuna parte, sai. Spostandoci da un posto all’altro, guardando tuo fratello mangiare venti volte al giorno e bere tanto liquore dei nani da soffocare un coboldo...»
«Non c’è altro da fare», ribatté Rhys, frustrato. «La dea non mi aiuta. Le ho chiesto di aiutarmi a trovare questa Mina e a cercare di scoprire che cosa stia tramando Chemosh. Zeboim non risponde alle mie preghiere. Sono andato al suo tempio e ho scoperto che è chiuso, con la porta sbarrata. Credo che mi stia evitando intenzionalmente.»
«Allora ci limitiamo a seguire tuo fratello e speriamo che ci porti da qualche parte? Da qualche parte al di là della prossima taverna, voglio dire.»
«Proprio così», rispose Rhys.
Nightshade scrollò il capo e proseguì il cammino. Avevano percorso appena qualche centinaio di metri, però, quando udirono delle urla e un rumore di zoccoli.