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Rhys si spostò verso il ciglio della strada. Una guardia cittadina tirò le redini fermando il cavallo accanto a loro.

Nightshade fu lesto ad alzare le mani. «Non l’ho preso io», si affrettò a dire, «e se l’ho preso lo restituisco».

La guardia ignorò il kender. «Siete voi Rhys Mason?»

«Sì», rispose Rhys.

«Siete desiderato a Solace. Lo sceriffo mi ha inviato a prendervi.»

Rhys tornò a incamminarsi verso Solace. Nightshade gli si accostò.

«Lo sceriffo non mi ha parlato di kender», osservò la guardia, con uno sguardo torvo.

«Lui è con me», disse Rhys con calma, mettendo una mano sulla spalla di Nightshade.

La guardia esitò per un attimo, rimase a osservare per accertarsi che fossero in cammino, quindi tornò indietro al galoppo per riferire.

«Che cosa pensi che voglia lo sceriffo», domandò Nightshade, «visto che non sono io?».

Rhys scrollò il capo. «Non ne ho idea. Forse c’entra qualcosa una delle vittime di omicidio.»

«Ma nessuno sa che sono state assassinate, tranne noi.»

«Forse lui l’ha scoperto in qualche modo.»

«Sarebbe bello, vero? Per lo meno non saremmo più soli.»

«Sì», assentì Rhys, pensando all’improvviso quanto si sentisse solo, unico mortale a opporsi a un dio. «Sarebbe bellissimo.»

Trovarono Gerard che li attendeva impaziente in fondo alle scale che conducevano alla Taverna dell’Ultima Dimora. Lo sceriffo strinse la mano a Rhys e rivolse perfino un cenno amichevole col capo a Nightshade.

«Grazie per essere venuto, fratello. Vorrei parlarvi in privato, se non vi dispiace.»

Prese da parte Rhys e gli disse a bassa voce: «Pensate che quel vostro cane guardiano di kender possa tenere d’occhio il vostro piccolo amico per un’oretta circa? Voglio che voi veniate con me al carcere. È per un detenuto che abbiamo lì».

«Vorrei che Nightshade mi accompagnasse», ribatté Rhys, pensando che se si fosse trattato di un Prediletto di Chemosh lui avrebbe avuto bisogno dell’aiuto del kender. «Ha dei talenti speciali...»

«E proprio così» disse Nightshade con modestia.

I due uomini si girarono e trovarono il kender in piedi subito dietro a loro. Gerard lo guardò con occhio furioso.

«Oh, per privato immagino intendeste privato», disse Nightshade. «Comunque volevo solo aggiungere che non mi dispiace restare con Atta, Rhys. Ho già visto il carcere di Solace, e anche se è molto carino», si affrettò a soggiungere a beneficio di Gerard, «non è un luogo che io voglia visitare di nuovo».

«Laura gli darà da mangiare», propose Gerard. «E anche al cane.»

Il pasto suggellò l’accordo, per ciò che riguardava Nightshade. «Tu non hai bisogno di me. Sai già piuttosto bene che cosa cercare», disse sottovoce a Rhys. «Gli occhi. Sta tutto negli occhi.»

Rhys mandò Atta con Nightshade, dicendo al kender di tenere d’occhio la cagna e ordinando alla cagna, con una parola muta e un gesto, di tenere d’occhio il kender.

Gerard si allontanò e Rhys lo raggiunse tenendo il suo passo. I due attraversarono in silenzio le strade di Solace. Era ormai metà mattina e malgrado la pioggia le strade erano affollate. La gente rivolgeva saluti rispettosi e amichevoli a Gerard, il quale rispondeva con un cenno allegro della mano o del capo. Gli sfaccendati si allontanavano al suo avvicinarsi, oppure se lui capitava accanto a loro troppo rapidamente chinavano la testa con aria colpevole. Gli sconosciuti lo guardavano con aria audace o furtiva. Gerard prendeva nota di tutti, notò Rhys. Quasi vedeva l’uomo archiviare in testa le loro immagini per una futura consultazione.

«Non siete molto loquace, fratello, vero?» osservò Gerard.

Rhys, non vedendo motivo di rispondere, non rispose.

Gerard sorrise. «Chiunque altro mi avrebbe tempestato di domande, ormai.»

«Non pensavo che avreste risposto», disse dolcemente Rhys, «per cui non vedevo motivo di porle».

«In questo avete ragione. Anche se più che non volere rispondere è che non posso.»

Gerard si asciugò la pioggia dal volto.

«Ecco il nostro carcere, laggiù. Solace è diventata troppo grande per il vecchio carcere, purtroppo, così abbiamo costruito questo qui. È stato terminato appena un mese fa. Ho sentito dire che Lleu Mason ha lasciato la città stamattina», soggiunse Gerard con lo stesso tono di conversazione. «Voi stavate partendo per seguirlo?»

«Sì, certo», rispose Rhys.

«Lleu è sembrato comportarsi bene mentre era qui», lo informò Gerard, rivolgendogli un’occhiata rapida e intensa. «Vostro fratello sembra piuttosto strano, ma nessuno si è lamentato di lui.»

«Che cosa direste, sceriffo, se vi dicessi che mio fratello è un assassino?» domandò Rhys. Il suo bastone sbatteva per terra, sollevando schizzi di fango e acqua ogni volta che toccava il terreno. «Che l’altra notte ha ucciso una giovane donna a Solace?»

Gerard allungò la mano, afferrò Rhys per la spalla e lo girò verso di sé. Lo sceriffo aveva il volto arrossato, i suoi occhi azzurri fiammeggiavano.

«Come? Quale donna? Che diavolo volete dire raccontandomi questa storia, fratello? Che intendete lasciarlo scappare? Per gli dèi, impiccherò voi al suo posto...»

«La donna si chiama Lucy», disse Rhys. «Lucy Wheelwright».

Gerard lo guardò fisso. «Lucy Wheelwright? Ehi, fratello, siete scemo. Io l’ho vista viva e vegeta quanto voi stamattina. Lei e suo marito. Ho domandato che cosa ci facessero in piedi così presto, e lei mi ha risposto che partivano per un villaggio vicino, verso est, per far visita a un cugino.»

Lo sguardo di Gerard si restrinse, si indurì. «È una sorta di scherzo, fratello? Perché se lo è non è divertente.»

«Chiedo scusa per avervi sconvolto, sceriffo», disse con calma Rhys. «L’ho posta solo come domanda ipotetica.»

Gerard scrutò Rhys. «Non fatelo più. Stavate per finire strangolato. Eccoci arrivati. Non è granché a vedersi, ma serve allo scopo.»

Rhys a malapena diede un’occhiata all’edificio che era situato alla periferia della città. Sembrava più una caserma militare che un carcere, e in questo Rhys riconobbe la mano di Gerard, ex cavaliere di Solamnia.

Gerard fece strada all’interno della struttura realizzata in legno e ricoperta di intonaco. Punteggiavano le pareti numerose finestrine con sbarre di ferro, non più grandi del pugno di un uomo. Vi era un’unica porta, un’unica via per entrare e uscire, ed era sorvegliata ventiquattr’ore al giorno. Gerard salutò con un cenno del capo le guardie mentre conduceva Rhys dentro il carcere.

«Un nostro detenuto ha chiesto di vedervi», spiegò Gerard.

«Ha chiesto di vedere me?» ripeté Rhys, sbigottito. «Non capisco.»

«Neanch’io», mormorò Gerard. Era ancora di cattivo umore, ancora infastidito dall’affermazione precedente di Rhys. «Soprattutto perché anche questa persona è forestiera qui a Solace. Ha chiesto di voi per nome. Ho mandato qualcuno alla taverna, ma voi eravate già partito.»

Facendosi dare una chiave dal carceriere, Gerard condusse Rhys per un lungo corridoio fiancheggiato da porte sui due lati. Il carcere aveva il solito fetore di carcere, anche se era più pulito della maggior parte di quelli visti da Rhys. Una grande cella comune era piena zeppa di kender, che salutarono allegramente con la mano al passaggio dello sceriffo e gridarono con tono gioioso domandando quando sarebbero stati liberati. Gerard ringhiò qualcosa di inintelligibile e proseguì lungo il corridoio superando altre grandi celle comuni che lui definì recinti.

«Luoghi dove gli ubriachi possono dormirci sopra, le coppie possono superare i loro bisticci, i truffatori possono stare calmi per un po’.»

Girando l’angolo, entrò in un corridoio fiancheggiato da porte di legno.

«Queste sono le nostre celle private. Per i detenuti più pericolosi.»

Infilò la chiave nel lucchetto di ferro della porta di una cella, aprì il lucchetto e, mentre la porta si apriva, soggiunse: «E per i pazzi».