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Un raggio di luce entrava obliquo dalla finestrina, lasciando in ombra gran parte della cella. Inizialmente Rhys non vide niente nella cella tranne un letto, un bugliolo e uno sgabello. Stava per dire a Gerard che la cella era vuota, quando udì un fruscio. Ammassato in un angolo della cella, ammucchiato nella parte più buia della cella, vi era un fagotto di abiti che Rhys immaginò racchiudesse una persona. Non poteva dirlo con certezza, perché non vedeva un volto.

«Io sono Rhys», disse, facendo un passo dentro la cella. Non provava paura, soltanto pietà per l’evidente sofferenza di quella persona. «Lo sceriffo dice che avete chiesto di vedermi.»

«Digli di lasciarci soli», richiese la persona con voce soffocata, col viso ancora nascosto. «E chiudi la porta.»

«Niente da fare», protestò con fermezza Gerard. «Come ho detto: pazzia.»

Alzò gli occhi al cielo e agitò il dito attorno alla tempia.

«Sono in grado di badare a me stesso, sceriffo», lo rassicurò Rhys con un lieve sorriso. «Per favore...»

«Be’, va bene», concesse con riluttanza Gerard. «Ma cinque minuti. Non di più. Io sarò nel corridoio. Se avete bisogno di me, urlate.»

Gerard si chiuse dietro le spalle la porta della cella. La stanza si fece più buia. L’aria era viziata e odorava di pioggia. Rhys appoggiò il bastone contro la parete, quindi si azzardò ad avvicinarsi al detenuto. Si inginocchiò accanto al fagotto informe.

«Che cosa posso fare per aiutarvi?» domandò gentilmente.

Una mano bellissima e aggraziata scivolò fuori dal fagotto di abiti neri. La mano afferrò Rhys per il braccio. Unghie affilate gli penetrarono nella carne. Gli occhi verde mare luccicarono, e una voce sibilò dall’ombra del cappuccio.

«Uccidi Ausric Krell», sibilò Zeboim, pronunciando il nome con odio velenoso, «e salva mio figlio».

4

Gli occhi di Zeboim brillavano di una luce intensa e fiammeggiante. Aveva il volto mortalmente pallido, le guance segnate da graffi sanguinanti, come se fossero state artigliate. Aveva le labbra screpolate e contornate di polvere bianca, come sale marino o forse il sale delle sue lacrime.

«Maestà?» balbettò Rhys, stupefatto. «Che cosa fate in questo posto? In carcere? Siete... siete ammalata?»

Sapeva che era una domanda stupida, ma la situazione era tanto bizzarra e irreale che lui aveva difficoltà a riordinare i pensieri e disse la prima cosa che gli venne in mente.

«O dèi, perché io bazzico voi mortali!» gridò Zeboim. Gli diede uno spintone che gli fece perdere l’equilibrio e lo mandò a ruzzolare di lato. Quindi, tirandosi il cappuccio sopra la testa, nascose il volto fra le mani e prese a singhiozzare.

Rhys guardò severamente la dea. Non sapeva che cosa fosse più incline a fare: consolarla o scrollarla fino a farle battere i denti immortali.

«Che cosa fate qui, maestà, in una cella di prigione?» domandò.

Nessuna risposta. La dea singhiozzava violentemente.

Rhys ci riprovò: «Perché mi avete mandato a chiamare?».

«Perché ho bisogno del tuo aiuto, maledizione!» gridò con un tono soffocato dalle lacrime.

«E io ho bisogno del vostro, maestà. Ho scoperto alcune cose profondamente inquietanti riguardo a questi seguaci di Chemosh. Vi ho pregata innumerevoli volte negli ultimi giorni ma non mi avete risposto. Tutti questi discepoli sono morti. Sembrano vivi, ma non lo sono. Vanno fuori tra i vivi e ingannano persone innocenti inducendole a proclamare la loro devozione a Chemosh, e poi le assassinano...»

«Chemosh!» Zeboim sollevò il volto gonfio e rigato di lacrime per guardare Rhys con occhio furioso. «Dietro tutto questo c’è Chemosh, lo sai. Quell’idiota rivestito d’acciaio di Krell non avrebbe potuto escogitarlo da solo. Ma non importa. Non importa niente. Mio figlio: soltanto questo importa.»

«Maestà, per favore cercate di controllarvi...»

Zeboim balzò su all’improvviso, afferrò Rhys per le braccia, lo strinse con entrambe le mani. «Devi salvarlo, monaco! Altrimenti lo annienteranno. Io non posso fare nulla...» La voce divenne uno strillo. «Devi salvarlo!»

«Tutto bene, fratello?» gridò Gerard, la cui voce riecheggiò per tutto il lungo corridoio.

«Tutto bene, sceriffo», si affrettò a rispondere Rhys. «Datemi ancora qualche istante.»

Prese le mani di Zeboim, le strinse forte. Le parlò con tono tranquillizzante, con voce bassa e ferma. «Dovete spiegarmi che cosa succede, maestà. Non posso aiutarvi se non so di che cosa stiate parlando. Non abbiamo molto tempo.»

Zeboim inspirò singhiozzando. «Hai ragione, monaco. Starò calma. Lo prometto. Devo stare calma.»

Prese ad andare su e giù per la cella, battendo le mani mentre parlava.

«Mio figlio, Lord Ariakan. Sì, lo so che è morto», soggiunse, prevenendo la domanda che era sulle labbra di Rhys. «Mio figlio è morto tanto tempo fa nella Guerra del Chaos.» Serrò le mani a pugno. «È morto a causa di un tradimento, della perfidia di un uomo di cui si fidava. Un uomo che lui aveva sollevato dal fango...»

«Maestà, per favore...» la sollecitò con calma Rhys.

Zeboim si passò una mano sulla fronte, fuori di sé.

«Quando mio figlio è morto, ho pensato... ho immaginato che il suo spirito proseguisse verso la fase successiva del suo viaggio. Invece», respirava a fatica, «invece Chemosh ha trattenuto il suo spirito, l’ha imprigionato. Ha tenuto prigioniero mio figlio per tutti questi lunghi anni.»

La voce di Zeboim si abbassò, pulsante di paura. «Adesso ha dato lo spirito di mio figlio al cavaliere della morte che lo ha tradito. Un cavaliere della morte di nome Ausric Krell», quel nome le andò di traverso, come fosse stato un sapore disgustoso in bocca, «minaccia di distruggere lo spirito di mio figlio, per gettarlo nell’oblio. Naturalmente Krell agisce per ordine di Chemosh».

«Presumo allora, maestà, che Chemosh tenga in ostaggio lo spirito di vostro figlio affinché voi facciate qualcosa per lui in cambio. Che cosa vuole da voi?»

«Prima di tutto, devo fermare te», spiegò Zeboim. «Chemosh ti trova fastidioso.»

«Non capisco perché», disse amaramente Rhys. «Io non sono una minaccia per lui né è probabile che lo diventi, per come stanno andando le cose.»

«Inoltre, io non devo interferire nelle trame e nei progetti di Chemosh. Non ho idea di quali siano», soggiunse la dea, «ma io non devo fare niente per ostacolarlo».

«Allora Chemosh sta tramando qualcosa...» mormorò Rhys.

«Oh, sì», sibilò Zeboim con uno scatto maligno. «Sta tramando qualcosa di grandioso, di questo puoi starne certo. E qualunque cosa sia, mi teme. Teme che io lo blocchi, cosa che farei!»

«E teme anche me, a quanto pare», soggiunse Rhys.

«Te?» Zeboim rise, poi disse di malavoglia: «Be’, sì, suppongo di sì. Io devo sbarazzarmi di te e del kender, ma non è questo l’importante. L’importante è mio figlio. Io non posso fare niente per aiutarlo. Se appena una goccia di pioggia gli cade sull’elmo, Krell annienterà l’anima di mio figlio. Ma tu, monaco...».

Zeboim gli si avvicinò furtiva. Prendendo le mani di Rhys, lo accarezzò. «Puoi andare al Bastione della Tempesta. Krell non sospetterà di te.»

«Maestà», protestò Rhys, preso alla sprovvista, «io non mi metterei in mezzo a una battaglia fra due divinità...».

«Ci sei già in mezzo», ribatté rabbiosamente Zeboim, spingendolo via. «Chemosh ordina che io mi sbarazzi di te. Secondo te intende dire che devo rispedirti al tuo monastero con una pacca sul sedere e l’ordine di fare il bravo bambino?»

Rhys rimase lì fermo nella cella, con lo sguardo fisso sulla dea.

Zeboim si sistemò le vesti, si lisciò i capelli scarmigliati. «Tu andrai al Bastione della Tempesta. Io ti trasporterò lì via etere, non preoccupartene. Dovrai trovare qualche scusa per la tua presenza lì, in modo che Krell non si insospettisca. Ha meno cervello di un mollusco, per cui non sarà difficile. Forse puoi dirgli che sei stato inviato da me per trattare. Sì, a Krell piacerà. Si annoia facilmente e si diverte a torturare le sue vittime. È un peccato che tu non sia più affascinante, più divertente. A lui piace divertirsi.»