«Ma ecco la prova.»
Rhys e il kender erano sulla strada ad alcune centinaia di metri dalla riva del lago Crystalmir. Il nome derivava dall’acqua azzurra cristallina, ma il nome ormai era inadeguato. L’acqua aveva una nauseabonda sfumatura giallo-verde e puzzava di uova in putrefazione. Sulla riva giacevano innumerevoli pesci, morti o moribondi. Perfino da quella distanza, col vento che soffiava nella direzione opposta, l’odore era orripilante.
Nightshade si strinse il naso. «Sì, penso che tu abbia ragione. Lo sai che non potrò mai più mangiare pesce», soggiunse con tono addolorato.
I due si incamminarono di nuovo verso Solace, superando la folla di gente che si era recata a vedere la moria di pesci. Ognuno aveva una propria teoria, dall’avvelenamento del lago a opera di banditi fino a una maledizione scagliata dai maghi. La paura ammorbava l’aria tanto quanto l’odore di pesce morto.
«Stavo pensando, Rhys», disse Nightshade, mentre ritornavano in città. «Io non sono molto affidabile e non sono affatto bravo in combattimento. Se tu non vuoi portarmi con te, non ferirai i miei sentimenti. Sarò lieto di restare con lo sceriffo per aiutarlo a prendersi cura di Atta.»
Mise la mano sulla testa di Atta, coccolandola. La cagna glielo permise, anche se teneva lo sguardo fisso su Rhys.
Rhys sorrise alla generosa offerta di Nightshade. «Lo so che è pericoloso. Non ti chiederei di rischiare la vita, amico mio, ma davvero ho bisogno di te. Io non sarei in grado di dire con certezza quale pezzo del khas contenga l’anima del cavaliere...»
«La dea ti ha detto che è il cavaliere nero», lo interruppe Nightshade.
«Mia madre diceva sempre: "tieni conto della fonte"», rispose Rhys beffardo.
Nightshade sospirò. «Già, penso che tu abbia ragione.»
«In questo caso la nostra fonte non è molto attendibile. Potrebbe averci mentito. Krell potrebbe avere mentito a lei. Krell potrebbe spostare lo spirito da un pezzo a un altro. Perché funzioni il mio piano, devo sapere quale pezzo racchiude l’anima del cavaliere. Tu sei l’unico che possa dirmelo. Inoltre», soggiunse Rhys con un sorriso, «pensavo che i kender fossero avventurosi, pieni di curiosità, totalmente privi di paura».
«Io sono un kender», precisò Nightshade. «Non sono stupido. Questa cosa è stupida.»
Rhys era incline a essere d’accordo. «Non abbiamo molta scelta, amico mio. Zeboim ha chiarito bene che se noi non facciamo questo tentativo lei ci ucciderà.»
«Così invece ci ucciderà il cavaliere della morte. Non mi pare che ci guadagniamo molto, tranne forse una gita al Bastione della Tempesta, e probabilmente non vivremo abbastanza da godercela. Sai, Rhys, quasi nessuno affiderebbe a un kender una missione così importante. E devo dire che non gliene farei una colpa. Non si può contare sui kender. Io mi lascerei qui se fossi in te.»
«Io ti ho sempre trovato estremamente degno di fiducia, Nightshade», rispose Rhys.
«Davvero?» Nightshade fu colto di sorpresa. Sospirò. «Allora immagino che dovrei mostrarmene all’altezza.»
«Credo di sì.»
«Per farlo dovrei però sopravvivere», sottolineò Nightshade.
«Mettiamola in questo modo. Per lo meno abbiamo conseguito qualcosa», fece notare Rhys. «Abbiamo attirato l’attenzione del dio.»
«Una cosa che persone con un minimo di buonsenso eviterebbero», osservò contrariato Nightshade. «Mio padre diceva sempre: "Non attirare mai l’attenzione di un dio".»
«Lo diceva tuo padre? Davvero?» Rhys ammiccò al kender.
«Be’, l’avrebbe detto se ci avesse pensato.» Nightshade si fermò in mezzo alla strada per discutere la questione. «Come facciamo a raggiungere il Bastione della Tempesta, Rhys? Io non so niente di barche. E tu? Bene! Allora ecco come ne veniamo fuori. Non possiamo andare al Bastione della Tempesta se non sappiamo come arrivarci. La dea dovrà capirne la logica...»
«La dea ci manderà lì col vento di tempesta, presumo. Devo solo farle sapere che siamo pronti.»
Nightshade alzò gli occhi al cielo. Atta, vedendo il suo padrone abbattuto e scontento, gli leccò delicatamente la mano. Rhys le accarezzò la testa, la strofinò sotto la mascella, le lisciò gli orecchi. Atta gli si strinse addosso, guardandolo con tristezza e desiderando che lui sistemasse tutto per bene.
«Le mancheremo», disse Nightshade con voce strozzata.
«Sì», convenne Rhys tranquillamente, «le mancheremo».
Posò la mano sulla spalla del kender. «Per tutta la tua vita ti sei dato da fare per salvare spiriti perduti, Nightshade. Considera che sei nato per fare questa cosa: sarà la tua più grande impresa.»
Nightshade ci rifletté. «È vero. Immagino che potrò salvare un’anima. Ma se questo vale per me, Rhys, com’è per te? Tu sei nato per fare che cosa?»
«Come tutti gli uomini», disse semplicemente Rhys, «sono nato per morire».
Più tardi quel mattino, fuori della Taverna dell’Ultima Dimora, Rhys si inginocchiò davanti ad Atta e pose la mano sulla testa della cagna, quasi a impartirle una benedizione. «Farai la brava, Atta, e obbedirai a Gerard. Adesso è lui il tuo nuovo padrone. Tu lavorerai per lui.»
Atta alzò lo sguardo verso Rhys. Udiva la sofferenza nella sua voce, ma non la capiva. Non avrebbe capito mai, non avrebbe mai saputo perché lui l’avesse abbandonata. Rhys si alzò. Gli ci volle un momento per parlare.
«Dovreste portarla via, adesso, sceriffo», suggerì.
«Vieni, Atta», chiamò Gerard, impartendo il comando che Rhys gli aveva insegnato. «Vieni con me.»
Atta guardò Rhys. «Vai con Gerard, Atta», gli ingiunse Rhys, con un gesto con la mano, mandando via la cagna.
Atta lo guardò ancora una volta, poi, con la testa e la coda penzoloni, obbedì. Consentì a Gerard di condurla via. Lo sceriffo ritornò, scrollando il capo.
«L’ho riportata alla taverna. Spero che stia bene. Laura le ha offerto del cibo, ma lei non ha voluto mangiare.»
«È un animale sensibile», disse Rhys. «Datele del lavoro per tenerla occupata e tornerà presto in sé.»
«Avrà lavoro in abbondanza con tutti quei kender che sciamano qui per vedere la moria di pesci. Allora voi due ve ne andate. Quando partite?» domandò Gerard.
«Nightshade e io dovremo prima far visita alla prigioniera e poi ce ne andremo.»
«Alla prigioniera?» Gerard era sbalordito. «Quella pazza? Volete vederla di nuovo?»
«Presumo che sia ancora lì», disse Rhys.
«Oh, sì. Mi pare di non riuscire a sbarazzarmi di lei. Perché volete vederla, fratello?» domandò Gerard con curiosità sfacciata.
«A quanto pare ritiene che io possa esserle di aiuto», rispose Rhys.
«E il kender? Anche lui l’aiuta?»
«Io sono un influsso incoraggiante», spiegò Nightshade.
«Non è necessario che ci accompagniate, sceriffo», soggiunse Rhys. «Ci serve soltanto il vostro permesso di entrare nella sua cella.»
«Credo che farei meglio a venire con voi. Giusto per accertarmi che non vi succeda niente. A nessuno di voi.»
Rhys e Nightshade si scambiarono occhiate.
«Dobbiamo parlare con lei in privato», disse Rhys. «La questione è confidenziale. Di natura spirituale.»
«Pensavo che non foste più un monaco di Majere», disse Gerard, rivolgendo a Rhys un’occhiata penetrante.
«Ciò non significa che non posso più assistere chi è turbato», ribatté Rhys. «Per favore, sceriffo. Soltanto alcuni istanti con lei da soli.»
«E va bene», concesse Gerard. «Non vedo come possiate cacciarvi troppo nei guai chiusi a chiave in una cella di prigione.»
«La sa lunga», disse malinconicamente Nightshade.
Dentro il carcere, Nightshade dovette fermarsi a dire qualche parola ai kender. Rhys rimase preoccupato nell’udire Nightshade rivolgere loro quello che sembrava un addio definitivo. Quando il kender mise le mani nelle sacche, preparandosi a distribuire tutte le sue ricchezze terrene (l’equivalente di un testamento per i kender), Rhys afferrò Nightshade per il colletto e lo trascinò via.
Gerard fece un gesto verso la porta della cella. «Non si è mai mossa dal letto», riferì. «Non vuole mangiare. Rimanda via il cibo senza averlo assaggiato. Avete visite, signora», gridò, aprendo la porta.