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La voce gli si indurì. «Ho pensato spesso che se il mio esercito si fosse schierato al di fuori delle porte del suo palazzo, con le mie truppe pronte ad assaltare le mura, la Regina Takhisis ci avrebbe pensato due volte. In realtà, sono stato pigro. Mi accontentavo di cavarmela con ciò che avevo. Tutto questo è cambiato. Io non ripeterò mai più lo stesso errore.»

«Vi ho fatto soffrire, mio signore», disse Mina, udendo il rimpianto e l’aspra amarezza nella voce di lui. «Mi dispiace. Questa doveva essere una giornata gioiosa. Una giornata per ricominciare.»

Chemosh prese la mano di Mina, se la portò alle labbra e le baciò le dita. A Mina batteva forte il cuore, aveva il respiro affannoso. Lui sapeva accendere in lei il desiderio con un tocco, con uno sguardo.

«Hai detto la verità, Mina. Nessun altro, nemmeno uno degli altri dèi, oserebbe dire una cosa simile a me. Ai più manca la capacità di capirlo. Tu sei tanto giovane, Mina. Non hai ancora ventun’anni. Dove trovi tanta saggezza? Non nella tua defunta Regina, credo», soggiunse sardonicamente Chemosh.

Mina ci rifletté sopra, guardando verso il mare, piatto ma non particolarmente calmo. L’acqua si agitava incessantemente, avanti e indietro, e le ricordava qualcuno che andasse su e giù all’infinito, nervosamente.

«L’ho vista negli occhi dei morenti», rispose. «Non quelli che adesso offrono la loro anima a te, mio signore. Quelli che una volta offrivano la loro anima a me.»

La battaglia del Canalone di Beckart. I cavalieri di Solamnia avevano fatto irruzione fuori da Sanction, avevano spezzato l’assedio di quella città a opera dei Cavalieri delle Tenebre di Takhisis, allora chiamati ignominiosamente Cavalieri di Neraka. I cavalieri e i soldati di Neraka si erano dati alla fuga quando i cavalieri di Solamnia si erano riversati fuori dalla fortezza. Mentre il comando di Neraka si sgretolava, Mina aveva preso in mano la situazione. Aveva ordinato alle sue truppe di uccidere coloro che scappavano, aveva ordinato di uccidere i compagni, gli amici, i fratelli. Ispirati dalla luce dell’ambra dorata luccicante, i soldati le avevano obbedito. I cadaveri si erano ammucchiati, ostruendo il passaggio. Qui l’assalto dei cavalieri di Solamnia si era bloccato, interrotto da una diga fatta di ossa spezzate e carne insanguinata. La battaglia era stata vinta da Mina. Aveva trasformato una disfatta in una vittoria. Aveva percorso il campo di battaglia, tenendo la mano a coloro che morivano a causa del suo comando, e aveva pregato per loro, offrendo le loro anime a Takhisis.

«Però le anime non andavano a Takhisis», sussurrò Mina al mare che l’aveva cullata da bambina. «Le anime venivano a me. Come fiori, io le coglievo e le radunavo nel mio cuore, tenendole strette, anche mentre pronunciavo il nome di lei.»

Si girò verso Chemosh. «Questa è la mia verità, mio signore. Non l’ho capita per molto tempo. Io gridavo "per la gloria di Takhisis" e pregavo lei ogni giorno e ogni notte. Ma quando le truppe cantilenavano il mio nome, quando urlavano "Mina, Mina", io non le correggevo. Io sorridevo.»

Rimase in silenzio a guardare le onde vagare senza meta verso riva, a guardarle depositare sporcizia ai suoi piedi.

«Ancora una volta l’umanità avrà timore degli dèi», sentenziò Chemosh, «o per lo meno di uno di loro. Laggiù», indicò sotto la sporcizia, i detriti, i rifiuti, «laggiù vi è l’inizio della mia ascesa a re del Pantheon. Ti racconterò una storia, Mina. Sotto il mare vi è un cimitero, il più grande del mondo, e questo è il racconto di coloro che sono sepolti sotto le onde...».

La mia storia ha inizio nell’Era dei Sogni, quando un mago potente di nome Kharro il Rosso stabilì che gli Ordini della Magia avessero bisogno di rifugi sicuri in cui i maghi potessero incontrarsi, studiare assieme, operare assieme. Avevano bisogno di luoghi in cui conservare al sicuro libri di incantesimi e oggetti magici. Propose ai maghi di costruire le Torri dell’Alta Magia, roccaforti della magia.

Kharro inviò maghi in tutto Ansalon per individuare i luoghi in cui costruire queste nuove torri. Le Vesti Bianche, sotto la guida di una maga di nome Asanta, scelsero come loro sede un povero villaggio di pescatori chiamato Istar.

Le Vesti Nere e le Rosse scelsero città grandi e prospere in cui costruire le torri. Kharro convocò Asanta a Wayreth e chiese di conoscere il motivo della sua scelta. Asanta era una veggente. Vedeva il futuro di Istar e predisse che un giorno la sua gloria avrebbe eclissato tutte le altre città di Ansalon. Alle Vesti Bianche fu concesso il permesso di iniziare la costruzione della torre, e quarant’anni dopo Asanta guidò l’incantesimo che istituì la Torre dell’Alta Magia di Istar.

Asanta aveva intravisto l’ascesa di Istar. Non ne aveva previsto il crollo. Nemmeno noi dèi potevamo prevederlo.

Per molti decenni i maghi della Torre di Istar governarono con benevolenza sulla popolazione di quel villaggio e ne favorirono la rapida crescita. Presto Istar non fu più un villaggio ma una città prospera e ricca. Non molto tempo dopo divenne un impero.

Con la crescita di Istar stimolò anche il potere dei suoi chierici, in particolare quelli di Mishakal e di Paladine. Alla fine, uno di tali chierici divenne una figura preminente nel governo di Istar. Si proclamò sovrano, attribuendosi il titolo di Re-Sacerdote. Da quel momento in poi l’influenza dei maghi prese a scemare e quello dei chierici a crescere.

Continuò a sussistere un’alleanza inquieta fra i chierici e i maghi, anche se la diffidenza si accumulava da entrambe le parti. Un mago dalle Vesti Bianche di nome Mawort, Maestro della Torre di Istar, riuscì a mantenere la pace tra le due fazioni.

Il Conclave dei Maghi considerava Mawort un fantoccio del Re-Sacerdote, e quando morì nominarono Maestro della Torre un mago dalle Vesti Rosse, sperando con ciò di ristabilire l’indipendenza dei maghi e di avere maggiore influenza sulla politica di Istar.

Il Re-Sacerdote era furioso, i cittadini di Istar erano indignati. La diffidenza verso i maghi si intensificò divenendo odio. Tradimento e sfortuna fecero scoppiare una guerra aperta fra il Re-Sacerdote, i suoi seguaci e i maghi. Così ebbero inizio le Battaglie Perdute, così chiamate perché nessuno ne uscì vincitore.

Il Re-Sacerdote dichiarò una guerra santa contro i maghi di Ansalon. I maghi si ritirarono nelle loro roccaforti, minacciando di distruggere le Torri e i loro dintorni se fossero stati attaccati. Il Re-Sacerdote non badò a quell’ammonimento e attaccò la Torre di Daltigoth. Sapendo di dover soccombere alla sconfitta, i maghi mantennero la promessa e distrussero la Torre. Nella distruzione andarono perdute moltissime vite innocenti. I maghi ne furono rattristati, ma ritenevano di avere in realtà salvato delle vite, poiché sarebbero morte molte migliaia di persone in più se i libri di incantesimi e gli oggetti magici dei maghi fossero caduti nelle mani di coloro che li avrebbero usati impropriamente.

Sconvolto da questa calamità e temendo che i maghi passassero poi a distruggere la Torre di Istar, il Re-Sacerdote si offerse di negoziare una composizione pacifica. I maghi avrebbero accettato di abbandonare le Torri di Istar e Palanthas. In cambio sarebbe stato loro garantito un rifugio sicuro nella Torre di Wayreth. Il Conclave discusse a lungo e aspramente, ma alla fine i maghi si resero conto di non avere scelta. Il Re-Sacerdote era immensamente potente e sembrava avere dalla sua parte la benedizione degli dèi. I maghi accettarono le sue condizioni.

Un mese dopo le Battaglie Perdute, dalla Torre di Istar uscì l’Arcimaga, ultima fra i maghi ad andarsene. Ne sigillò le porte e cedette la Torre al Re-Sacerdote.

Il Re-Sacerdote non sapeva bene che fare con la Torre e per mesi l’edificio rimase chiuso e vuoto. Poi, seguendo il suggerimento del suo consigliere, Quarath di Silvanesti, trasformò la Torre in una sala di trofei, mettendo in mostra oggetti magici sequestrati agli accusati di eresia e di adorazione di dèi malvagi.