Nei due decenni successivi, centinaia di idoli, icone, oggetti magici e reliquie sacre furono portate alla Torre che fu ribattezzata Solio Febalas, Sala del Sacrilegio. Molti miei oggetti magici furono portati lì, perché naturalmente i miei seguaci furono tra i primi a essere perseguitati. Essendo in comunicazione con gli spiriti dei morti, venni a sapere degli ambiziosi progetti del Re-Sacerdote di ascendere alla condizione di divinità. Intendeva conseguirla rovesciando la bilancia, distruggendo il potere degli dèi delle tenebre e della neutralità. Quindi avrebbe usurpato il potere degli dèi della luce.
Io cercai di avvisare gli altri dèi che presto sarebbe toccato a loro. Sarebbe venuto il giorno in cui anche le loro reliquie sacre sarebbero entrate nella Sala del Sacrilegio. Loro alzarono le spalle e ci risero sopra.
Non risero a lungo, però. Ben presto i miti e inoffensivi chierici di Chislev vennero stanati dalle loro foreste e imprigionati o uccisi. Le icone di Majere fecero la loro comparsa nelle teche del Re-Sacerdote.
Gilean si unì a me nell’avvertire che la bilancia del mondo veniva inclinata e alcuni dèi della luce sommarono le loro voci alle nostre. Il Re-Sacerdote individuò tali dèi quali successivi bersagli della persecuzione, e alla fine perfino il simbolo di guarigione di Mishakal fu trovato esposto al ludibrio nella Sala del Sacrilegio.
Il Re-Sacerdote annunciò al mondo che lui era più saggio degli dèi. Era più potente degli dèi. Si proclamò dio e pretese di essere adorato come un dio. Fu allora che i veri dèi scagliarono su Istar la montagna infuocata.
La terra tremò per la nostra ira. I terremoti spianarono la città e spezzarono in due la Torre dell’Alta Magia di Istar. Il fuoco la sventrò, distruggendo la Sala del Sacrilegio. La Torre crollò in macerie, che furono trasportate fino sul fondo del Mare di Sangue assieme al resto di quella città condannata.
«Lì giace la Torre ancora oggi», concluse Chemosh, «e dentro quelle rovine si trovano molti degli oggetti magici e delle reliquie sacre più potenti del mondo».
«Una pia illusione, temo, mio signore», osservò Mina. «Non sarebbero potuti sopravvivere a una distruzione tanto terribile.»
«Non so degli altri dèi», Chemosh sorrise scaltramente, «ma io ho fatto in modo che i miei oggetti magici fossero al sicuro. E non ho dubbi che gli altri abbiano fatto lo stesso.»
«Mi sembrate certissimo, mio signore.»
«Ne sono certo. Ne ho le prove. Poco dopo la distruzione di Istar, io andai alla ricerca della Torre, ma scoprii che gli Dèi della Magia l’avevano nascosta alla vista. Zeboim è sorella gemella di Nuitari e cugina degli altri Dèi della Magia. Questi andarono da lei e la convinsero a usare la potente turbolenza del Vortice per seppellire la Torre molto al di sotto del fondo marino, in modo che nessun occhio, mortale o immortale, la scoprisse mai.
«"Ora", mi domandai, "perché gli Dèi della Magia dovettero prendersi tutto questo disturbo per nascondere una tonnellata di macerie carbonizzate e bruciate? A meno che non vi fosse all’interno delle macerie qualcosa che loro non volevamo farci trovare...".»
«I vostri oggetti sacri», concluse Mina.
«Precisamente.»
«E adesso che il Vortice si è placato, voi potete andare a cercarli.»
«Non solo posso andare a cercarli, ma posso cercarli senza tema di essere interrotto. Se io avessi immerso anche solo un dito del piede nella spuma del mare, Zeboim l’avrebbe saputo. Sarebbe accorsa dagli angoli più remoti dei cieli per fermarmi. Invece in questa bella giornata lei non si trova da nessuna parte. Io posso fare quello che voglio nel suo mare, anche pisciarci, se voglio, e lei non oserà protestare.»
Chemosh strinse la mano di Mina, intrecciò le dita alle sue. «Insieme, Mina, io e te scoveremo le favolose e da tempo perdute rovine della Sala del Sacrilegio. Pensaci, amore mio! Centinaia di oggetti sacri laggiù, alcuni risalenti all’Era dei Sogni, impregnati di una potenza divina che in questa "Era dei Mortali" non è neanche immaginabile. E non è raggiungibile. Laggiù vi sono oggetti magici appartenenti a Takhisis. Anche se lei non c’è più, la sua potenza vive ancora dentro di essi.
«Manufatti di Morgion, Hiddukel, Sargonnas. Manufatti appartenenti a Paladine e Mishakal. Io progetto di distribuire queste reliquie potenti fra i Prediletti, che stanno percorrendo Ansalon, diretti qui per riceverle. Una volta compiuto questo, i miei seguaci saranno i più formidabili e potenti del mondo. Io allora sarò in grado di sfidare gli altri dèi per la sovranità sui cieli e sul mondo.»
«Io verrei con voi in capo al mondo, mio signore, e vedrei volentieri le meraviglie che vivono nelle profondità marine, ma come io dimentico che voi siete un dio, voi dimenticate che io non lo sono», fece notare Mina, sorridendo. «Io so nuotare, ma non molto bene. Quanto a trattenere il respiro...»
Chemosh rise. «Non ti serve nuotare, Mina. E neanche trattenere il respiro. Tu camminerai con me sul fondo marino come cammini sul pavimento della tua camera da letto. Respirerai l’acqua così come respiri l’aria. Il peso dell’acqua ti sarà lieve sulle spalle quanto un mantello di pelliccia.»
«Allora voi mi trasformerete in un dio, mio signore», lo canzonò Mina.
La risata di Chemosh si interruppe. L’espressione nei suoi occhi era profonda e insondabile, più tenebrosa delle profondità marine.
«Non posso farlo, Mina. Perlomeno, non ancora.»
Mina avvertì un’improvvisa fitta di paura, un terrore che le scioglieva le ossa, come quello che aveva provato sull’infida scalinata spezzata del Bastione della Tempesta, guardando giù lontano verso le rocce frastagliate e affilate come rasoi e l’acqua schiumante e famelica. Le si serrò la gola; il cuore le rabbrividì. Ebbe voglia, all’improvviso, di girarsi e scappare, correre via. Non aveva mai provato un terrore così, nemmeno quando il feroce drago Malys stava calando in picchiata su di lei dai cieli da cui pioveva sangue, nemmeno quando la Regina Takhisis, mortalmente pazza, avanzava a grandi passi verso di lei, con l’intento di strapparle la vita.
Mina fece un passo indietro, ma Chemosh la trattenne.
«Che cosa c’è, Mina? Che ti succede?»
«Io non voglio essere un dio, mio signore!» gridò Mina, lottando, cercando di liberarsi della sua presa.
«Tu volevi il potere, Mina, il potere sulla vita e sulla morte...»
«Ma non così! Voi dimenticate, mio signore», protestò, «che io ho toccato la mente di un dio. Io ho guardato dentro quella mente, ho visto l’immensità, il vuoto, la solitudine! Non posso sopportare...».
Le parole le si congelarono sulle labbra. Mina guardò Chemosh con terrore. Proprio lei, che aveva tradito i segreti più intimi di lui.
«Io ero solo, Mina», mormorò Chemosh. «Io ero vuoto. Poi ho trovato te.»
La strinse fra le braccia. La premette contro di sé, corpo contro corpo, carne mortale contro carne di dio resa mortale. Chemosh mise la bocca su quella di lei, con le labbra ansiose e calde. La trascinò giù sulla sabbia, i suoi baci si riversarono come melassa sulla paura di lei, celando il suo terrore sotto la dolcezza di lui che le arrivava densa in bocca. Mina si consumò nell’amore di lui finché della sua paura rimase soltanto il ricordo e le carezze di lui ben presto lo dissiparono nell’ardore.
La marea si alzò mentre loro erano distesi fra le dune sabbiose. Le onde lambirono loro i piedi, poi le caviglie. L’acqua del mare si insinuò attorno a loro, liscia e morbida come lenzuola di seta. Le onde ricoprirono le spalle di Mina. I suoi capelli rossi le si appiccicarono alla carne bagnata. Mina sentì in bocca il sale e tossì.
Chemosh la strinse. «Il prossimo bacio che ti darò, Mina, porterà via il tuo respiro di mortale. Ti sentirai soffocare per un istante, ma solo per un istante. Io ti insufflerò nei polmoni il respiro degli dèi. Fintanto che sarai sott’acqua, il mio respiro ti sosterrà. L’acqua sarà per te ciò che adesso è l’aria.»