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Rhys chiuse gli occhi e si rivide sulle colline, seduto sull’erba a osservare le nubi vagare nel cielo, quasi rispecchiando le pecore dalla lana bianca che gironzolavano sul fianco della collina. Lentamente prese a riguadagnare padronanza di sé, il suo spirito trionfava sul corpo ferito.

Accarezzandosi il dito rotto, rivolse nuovamente l’attenzione al tabellone del khas. Le lezioni di Nightshade gli tornarono in mente e lui sollevò la mano (la mano ferita) e fece la mossa.

«Sono impressionato, monaco», disse Krell, guardando Rhys con un’ammirazione riluttante. «Quasi tutti gli uomini perdono i sensi con me e io devo aspettare che rinvengano.»

Rhys a malapena lo udì. Con la prossima mossa avrebbe avanzato Nightshade, ma voleva dire sacrificare un altro pezzo.

Krell fece la sua mossa e rivolse a Rhys un cenno del capo.

Rhys finse di studiare il tabellone, acquietando nel frattempo il proprio spirito, preparandosi ad affrontare il seguito. Mise la mano sul pezzo del khas, guardò Nightshade.

Il kender era impallidito fortemente, per cui adesso era a malapena distinguibile dal resto dei cadaveri di kender rimpiccioliti. Nightshade sapeva quanto Rhys che cosa fosse in arrivo, ma si doveva fare così. Annuì lievemente.

Rhys sollevò il pezzo, lo spostò, lo depose, e dopo appena una lieve esitazione allontanò la mano. Udì Krell ridacchiare di piacere, lo udì rovesciare uno dei suoi pezzi, udì il cavaliere della morte alzarsi ponderosamente in piedi.

La fredda ombra del cavaliere della morte discese su di lui.

Per un orribile minuto Nightshade si convinse che sarebbe svenuto. Aveva udito chiaramente il rumore straziante e improvviso di quel primo osso spezzato, e il gemito di dolore di Rhys, e il kender dal cuore tenero si era accalorato spiacevolmente. Soltanto il pensiero terribile di se stesso (un pezzo del khas) che si accasciasse all’improvviso totalmente privo di sensi sul suo esagono nero (una mossa non reperibile in nessun regolamento) lo mantenne in piedi. Vacillante ma determinato, portò avanti la sua parte della missione.

Nightshade era un kender insolito nel senso che non era amante dell’avventura. I suoi genitori la consideravano una caratteristica deplorevole e cercavano di farlo ragionare, invano. Suo padre sosteneva tristemente che questa carenza di vero spirito kender derivasse probabilmente dal fatto che Nightshade frequentasse amichevolmente i morti. Certi morti hanno un’analoga visione negativa della vita.

Finora questa avventura aveva fatto molto per confermare l’opinione sfavorevole di Nightshade.

Fin da principio non era stato entusiasta del progetto di Rhys di ridurlo alle dimensioni di un pezzo del khas. In un mondo di gente alta, Nightshade si riteneva già abbastanza basso di statura. Inoltre, non gli piaceva l’idea di dover contare su Zeboim perché in primo luogo lo rimpicciolisse e in secondo luogo lo riportasse alle dimensioni normali. Rhys aveva assicurato Nightshade che avrebbe indotto Zeboim a giurare su qualunque cosa giurino le dee che avrebbe agito come richiesto. Purtroppo la dea aveva inflitto l’incantesimo al kender prima che avessero avuto la possibilità di concludere questo aspetto importante delle trattative. Nightshade si era trovato accanto a Rhys nella cella di prigione della dea e un attimo dopo era finito dentro una puzzolente bisaccia di cuoio, a sudare e a rammentare con uno spasimo che aveva saltato la colazione.

Aveva desiderato uscire da quella bisaccia finché non si era fatto vedere il cavaliere della morte, e poi aveva soltanto desiderato strisciare dentro le cuciture della bisaccia. Riteneva di essere coraggioso quanto ogni kender vivente, ma perfino il suo famoso zio Tas, secondo la leggenda, aveva avuto paura di un cavaliere della morte.

Dopo di che non c’era stato tempo per la paura. Quando Rhys aveva lasciato cadere la bisaccia, Nightshade aveva avuto appena qualche secondo per strisciare fuori dalla bisaccia e rotolare via prima che il cavaliere della morte lo scorgesse. Quindi vi era stata la questione di restare rigido e immobile quando Rhys l’aveva raccolto (il più delicatamente possibile) e l’aveva sistemato sul tabellone del khas. Nella preoccupazione e nell’ansia per tutto questo, non aveva avuto il tempo di essere intimorito dal cavaliere della morte.

Quando quel turbinio di attività si concluse, però, Nightshade poté vedere bene Krell, poiché era costretto a fronteggiare il cavaliere della morte, che era orripilante proprio come se lo era immaginato il kender.

Nightshade si domandò se qualcuno l’avrebbe notato se avesse chiuso gli occhi. Un’occhiata di nascosto gli indicò che tutti gli altri kender sul tabellone avevano gli occhi spalancati.

«Naturalmente, sono cadaveri: bastardi fortunati», gorgogliò Nightshade.

Krell non sembrava un grande osservatore, ma avrebbe potuto notarlo. Nightshade era costretto a fissare dritto il cavaliere della morte; forse non sarebbe stato in grado di sopportare quella vista orrenda ma all’improvviso intravide lo spirito di Krell. Krell era grosso e orribile e terrificante. Il suo spirito invece era piccolo e orribile e codardo. Nel mondo degli spiriti, Nightshade avrebbe potuto aggredire Krell, gettarlo a terra e sederglisi sulla testa. Questa consapevolezza lo fece sentire immensamente meglio, e lui incominciava a pensare che forse sarebbero potuti uscire vivi da tutto questo (una cosa che non aveva realmente previsto) quando Krell spezzò il primo dito di Rhys, e Nightshade quasi crollò.

«Prima porti a termine la tua parte della missione», si disse Nightshade per impedirsi di perdere i sensi, «prima tu e Rhys potete andarvene da qui».

Nightshade deglutì, sbatté gli occhi per scacciare le lacrime e procedette con quello che era stato mandato qui a fare: scoprire quale pezzo del khas racchiudesse lo spirito di Lord Ariakan».

Quando aveva sentito dire che tutti i pezzi del khas erano cadaveri rimpiccioliti, Nightshade si era preoccupato di trovarsi in mezzo a una miriade di spiriti dei morti. Fortunatamente gli spiriti dei morti se n’erano andati da tempo, lasciando lì i loro corpi tormentati. Nightshade percepì la presenza di un solo spirito, ma quello spirito era irato abbastanza per venti.

In condizioni normali Nightshade avrebbe potuto sfruttare simili forti emozioni che sentiva risuonare da parte dello spirito per stabilire quale pezzo del khas fosse quello giusto. Purtroppo la collera che si riversava sul tabellone del khas era tanto intensa che rendeva impossibile distinguere i pezzi. La collera e il feroce desiderio di vendetta erano dappertutto e sarebbero potuti provenire da qualunque pezzo.

Zeboim aveva insistito nell’affermare che suo figlio era intrappolato in uno dei due cavalieri neri, ciascuno in groppa a un drago azzurro, poiché così le aveva detto Krell. Nightshade lo considerava probabile, ma non poteva scartare la possibilità che Krell avesse mentito. Guardò oltre le teste dei goblin disposti di fronte a lui e sbirciò al di là del cadavere di un mago dalla veste nera per osservare bene i due cavalieri e vedere se notasse in loro qualcosa che lo aiutasse a decidere.

Sperava che uno potesse fremere di indignazione o emettere uno sbuffo malefico o punzecchiare un altro pezzo con la lancia...

Niente. I cavalieri restavano rigidi e immobili come, be’, cadaveri.

C’era un unico modo per scoprirlo. Lui si sarebbe palesato allo spirito e lo avrebbe pregato di rivelarsi.

Nightshade generalmente parlava agli spiriti con un tono di voce normale; a loro di solito piaceva così, li faceva sentire a proprio agio. Parlare ad alta voce qui non era possibile. Anche se Krell non sembrava troppo intelligente, perfino lui si sarebbe insospettito di un pezzo del khas parlante. Nightshade poteva, se necessario, parlare agli spiriti al loro livello con una voce affine alla loro, una cosa che talvolta doveva fare con spiriti molto timidi.

Purtroppo, essendo a sua volta un morto vivente, Krell si trovava su entrambi i piani di esistenza (quello mortale e quello spirituale) e avrebbe potuto udire il kender. Nightshade decise di correre il rischio. Non poteva lasciare che Rhys subisse altre torture.