Pedina e cavaliere ruzzolarono fuori del tabellone.
«Ehi», rimproverò Krell con severità. «Questo è contro le regole.»
Rhys non vedeva i due pezzi del khas, ma li udì atterrare sul pavimento, uno con un rumore di ferraglia e l’altro con un urlo.
Krell emise un cupo rombo di collera. I suoi occhi rossi puntarono su Rhys.
Afferrando il bastone e reggendolo con entrambe le mani, Rhys si alzò dalla sedia e spinse il bastone con tutte le sue forze al centro dell’elmo del cavaliere della morte, colpendo Krell in mezzo agli occhi infuocati.
Rhys sperava che quel colpo di punta nel pesante elmo d’acciaio distraesse il cavaliere della morte, lo rallentasse abbastanza da permettergli di trovare Nightshade e Lord Ariakan. Rhys non prevedeva di causare alcun danno a Krell.
Ma il bastone era sacro, benedetto da Majere, ultimo dono del dio alla sua pecorella smarrita.
Agendo di propria iniziativa, il bastone volò via dalle mani di Rhys. Sotto il suo sguardo sbalordito, il bastone cambiò forma, diventando un’enorme mantide, l’insetto sacro al dio Majere.
La mantide era alta tre metri, con gli occhi tondeggianti e il corpo verde corazzato, e sei enormi zampe verdi. La gigantesca mantide religiosa afferrò con le zampe anteriori provviste di aculei la testa del cavaliere della morte. Le mandibole si serrarono sullo spirito rannicchiato di Krell e l’insetto prese a mangiarselo, con le mascelle del dio che laceravano l’armatura per raggiungere l’anima maledetta sottostante.
Stretto nella presa del gigantesco insetto, Krell urlò di orrore, mentre il suo cuore di codardo avvizziva.
Rhys sussurrò una rapida preghiera di ringraziamento al dio e si inginocchiò velocemente per recuperare il pezzo del khas e il kender. Li trovò con una certa facilità, poiché Nightshade stava saltellando su e giù e si sbracciava e strillava. Rhys raccolse Nightshade.
«Lui non vuole essere salvato!» gridò il kender.
Rhys infilò Nightshade nella bisaccia di cuoio, quindi raccolse il cavaliere nero del khas. Il peltro era incandescente al tatto, come fosse appena uscito dalla fusione nel fuoco.
Rhys guardò Krell, che lottava a corpo a corpo col dio, e immaginò che l’anima assetata di vendetta di Ariakan sarebbe rimasta legata a questo mondo ancora per molto tempo a venire.
A Zeboim interessava lo spirito di suo figlio. Rhys depositò il pezzo del khas nella bisaccia, sobbalzando all’urlo del kender quando Nightshade venne a contatto col metallo infuocato. Rhys non aveva tempo di aiutarlo. Krell incominciava a riprendersi dal primo orripilante colpo dell’attacco della mantide e adesso combatteva, colpendo forte con i pugni il corpo verde dell’insetto, scalciandolo selvaggiamente, cercando di scagliarselo via di dosso. Rhys doveva portare a termine la fuga mentre Krell e la mantide stavano ancora combattendo. Rhys sperava che la mantide annientasse Krell, ma non osò restare lì per vedere l’esito finale.
Si girò per scappare. Aveva compiuto appena pochi passi quando si rese conto che non sarebbe riuscito ad andare lontano. Era troppo debole.
Ansimante, in preda a nausee e capogiri, uscì barcollando nella notte. Le gambe gli tremavano, i piedi incespicavano sull’acciottolato irregolare e lui inciampò su una pietra spezzata. Era tanto debole che non riuscì a recuperare l’equilibrio. Cadde in avanti finendo a quattro zampe. Cercò di riprendere a correre. Tutto quello che riusciva a fare era ansimare. Stava male. Era esausto. Era finito. Gli mancava la forza di correre, e dietro di lui udiva dei passi pesanti e Krell che ruggiva di collera.
Rhys alzò lo sguardo verso il cielo stellato.
«Zeboim», gridò, col fiato corto. «Vostro figlio è al sicuro in mio possesso. Tocca a voi adesso.»
Il mare si agitò. Nubi grigie, ammassate all’orizzonte, attendevano l’ordine di attaccare. Anche Rhys attendeva, fiducioso che da un momento all’altro la dea li avrebbe trasportati via da quell’isola.
Un unico fulmine saettò dal cielo fino a terra. Colpendo la sommità della torre, il fulmine fece saltare via un grosso pezzo di pietra. Rimbombò un tuono, distante in lontananza. Rhys era in piedi nel cortile, con il kender e il pezzo del khas nella bisaccia.
I pesanti stivali del cavaliere della morte si avvicinavano rimbombando.
L’orripilante attacco della mantide aveva fatto impazzire di paura Krell. Nessun mortale poteva infliggere dolore a un cavaliere della morte, ma un dio sì, e Krell conobbe la sofferenza e il terrore quando le mandibole dell’insetto gli masticarono l’anima, mentre quegli orribili occhi tondeggianti riflettevano il nulla dell’esistenza maledetta del cavaliere della morte.
Krell aveva sempre detestato gli insetti.
In preda al panico, riuscì a portare a segno alcuni pugni e questi furono sufficienti per staccarsela di dosso. Krell strappò via la spada dal fodero e conficcò la lama nel corpo dell’insetto. Zampillò fuori sangue verde. Le mascelle della mantide scattarono orribilmente. I suoi artigli aculeati sferzarono Krell.
Krell portò furiosi colpi di taglio contro la mantide, colpendola ripetutamente. Sferrava colpi alla cieca, agitando il braccio, senza capire che cosa stesse colpendo, desiderando soltanto quell’insetto morto, morto, morto. Gli ci vollero alcuni istanti per rendersi conto che sferzava l’aria.
Krell si fermò, si guardò attorno timoroso.
La mantide non c’era più. Il bastone del monaco era lì, disteso a terra. Krell sollevò il piede, pronto a calpestare il bastone e a ridurlo in frammenti. Rimase col piede sospeso in aria. E se toccandolo avesse fatto ritornare l’insetto? Lentamente Krell abbassò il piede a terra e si allontanò. Tenendosi il più lontano possibile dal bastone, gli girò con cautela attorno.
Krell sbirciò sotto il tavolo. Il pezzo del cavaliere non c’era, e nemmeno il kender.
Krell guardò il tabellone. L’altro cavaliere era ancora lì, fermo sul suo esagono. Lo raccolse, lo osservò speranzoso, poi lo scagliò via con un’amara imprecazione.
Poiché durante il furto il cavaliere della morte aveva avuto la visuale bloccata dalla gigantesca mantide che cercava di mangiargli la testa, Krell non aveva realmente visto Rhys scappare via col pezzo del khas. Ma il cavaliere della morte non ebbe alcuna difficoltà a immaginare che cosa fosse successo. Si mise all’inseguimento del monaco, spronato dalla terribile consapevolezza di ciò che gli avrebbe fatto Chemosh se avesse perduto Ariakan.
Krell si precipitò fuori nel cortile. Vide Rhys a una certa distanza più avanti, che correva a perdifiato. Vide anche le nubi temporalesche, grigie e minacciose, radunarsi in alto. Un fulmine colpì una delle torri. Il fulmine successivo, Krell aveva questa sensazione, sarebbe stato mirato contro di lui.
«Giù le mani da me, Zeboim!» urlò Krell, con una finzione disperata. «Il vostro monaco ha rubato il pezzo sbagliato del khas. Vostro figlio è ancora in mio possesso. Se farete qualcosa per aiutare questo ladro a fuggire, Chemosh fonderà il vostro bel ragazzo di peltro e gli martellerà l’anima fino all’oblio!»
I fulmini balenarono di nube in nube; il tuono emise un ringhio cupo e minaccioso. Si alzò il vento, i cieli si fecero scuri e ancora più scuri. Cadde qualche goccia di pioggia, assieme a un paio di chicchi di grandine.
E finì lì.
Krell ridacchiò e, strofinandosi le mani, inseguì il monaco.
Rhys udì l’urlo di Krell e si sentì mancare il cuore.
«Zeboim!» gridò con impazienza Rhys. «Sta mentendo. Ho io vostro figlio! Portateci via di qui!»
Balenò un fulmine. Il rombo del tuono era soffocato. Le nubi che roteavano in alto erano confuse, incerte. Il cavaliere della morte attraversava di corsa la piazza d’armi. Con i pugni serrati, gli occhi rossi infuocati, Krell avanzava, infiammato d’ira. Quando avesse preso Rhys, gli avrebbe fatto ben di più che spezzargli qualche dito.