«Sarà mia nella morte come lo è stata in vita», ribatté Chemosh, con disinvoltura.
«Non sarà proprio la stessa cosa», disse sarcasticamente Nuitari.
Chemosh decise di ignorare quell’insinuazione salace. «Nella morte, la sua anima verrà a me. Tu non puoi impedirlo.»
«Non mi sognerei di provarci.»
Gli occhi di Mina si dischiusero. Il suo sguardo morente incontrò Chemosh. Mina tese la mano verso di lui, non per supplicarlo. Per dirgli addio.
Chemosh rimase con le braccia lungo i fianchi. I pugni, nascosti dal pizzo dei polsini, erano serrati.
Nuitari chiuse le dita su Mina.
Tra le dita del dio filtrò del sangue. Le gocce rosse caddero a terra, dapprima lentamente, una dopo l’altra. Quindi le gocce divennero un rigagnolo, il rigagnolo un torrente. La mano del dio era imbevuta di sangue. Nuitari la aprì...
Chemosh si voltò.
13
Su tutto il continente di Ansalon i Prediletti di Chemosh percorrevano il territorio. Giovani uomini e donne, sani, forti, belli, morti. Assassini tutti, vagavano apertamente qua e là, non temendo legge né giustizia. Seguaci di Chemosh, si crogiolavano al sole ed evitavano i cimiteri. Prediletti di Chemosh, gli portavano nuovi seguaci di notte, uccidendo impunemente, seducendo le loro vittime con dolci baci e ancora più dolci promesse: vita eterna, bellezza che non sfiorisce, giovinezza infinita. Tutto ciò che chiedevano in cambio era un giuramento a Chemosh, poche semplici parole, pronunciate con indifferenza; il bacio letale, il segno delle labbra marchiato a fuoco sulla carne, un cadavere che risuscita.
Col passare del tempo, i Prediletti scoprirono che la vita eterna non era tutto ciò che avessero guadagnato. Incominciarono a perdere la memoria di chi fossero, di ciò che avessero fatto, di dove fossero stati. I loro ricordi venivano sostituiti da una coazione a uccidere, una coazione a trovare nuovi convertiti. Se fallivano in questo, se passava una notte senza che loro dessero quel bacio fatale, il dio faceva loro sapere la sua delusione. Vedevano nella loro mente morta il suo volto, i suoi occhi che li osservavano. Percepivano nel loro corpo morto la sua ira, che ardeva nella loro carne morta, facendosi più dolorosa giorno dopo giorno. Soltanto quando i Prediletti venivano a lui con offerte di nuovi convertiti il dio alleviava il loro tormento.
E così i Prediletti di Chemosh vagavano per Ansalon, spostandosi di villaggio in città, di fattoria in foresta, viaggiando sempre verso est, col sole mattutino in viso, per incontrare il loro dio.
Un dio che non era disponibile a riceverli.
Il Signore della Morte si allontanò dalla presenza di Nuitari più che determinato a perlustrare l’intera maledetta Torre, dalle guglie alle cantine, dai pilastri alle colonne, alla ricerca dei suoi oggetti sacri. Aprì una porta e lì c’era Mina.
Adesso non sarò più una mortale.
Chiuse quella porta sbattendola, ne aprì un’altra. Mina era lì.
Più utile da morta...
Mina era in ogni stanza in cui lui entrasse. Lo accompagnava nei corridoi della Torre. I suoi occhi d’ambra lo scrutavano nel buio. La sua voce, la sua ultima preghiera, era sussurrata ripetutamente. Il rumore del sangue che cadeva, goccia dopo goccia, sul pavimento ai piedi di Nuitari gli provocava tonfi sordi nel petto come il battito del cuore di un mortale.
«Questa è pazzia», disse fra sé Chemosh con rabbia. «Io sono un dio. Lei è una mortale. Lei è morta. E allora? I mortali muoiono ogni giorno, a migliaia. Lei è morta. Le sue debolezze da mortale sono morte con lei. Il suo spirito sarà mio per l’eternità, se lo desidero. Posso scacciarlo se non lo voglio. Molto più pratico...»
Si sorprese a fissare un baule vuoto, soltanto i cieli sapevano quanto a lungo, senza vedere che era vuoto, vedendo solo il volto di Mina, che lo fissava a sua volta. Si rese conto di stare perdendo tempo.
«Nuitari mi ha colto di sorpresa. Io non mi aspettavo di trovare la Torre ricostruita. Non mi aspettavo di trovare il Dio della Luna Nera assumere la residenza qui. Non c’è da meravigliarsi se sono fuori di me. Mi serve tempo per pensare come combatterlo. Tempo per progettare, per escogitare una strategia.»
Chemosh si calmò, riflettendo.
«Adesso me ne andrò, ma ritornerò», promise al dio dal volto di luna.
Attraversò le pareti di cristallo, le profondità marine in movimento, attraversò l’etere per tornare alle tenebre dell’Abisso.
Tenebre vuote e silenziose.
Tanto silenziose. Tanto vuote.
«Il suo spirito sarà qui», si disse. «Forse deciderà di proseguire per la fase successiva del viaggio della sua vita. Forse mi lascerà, mi abbandonerà, come io ho abbandonato lei.»
Si incamminò verso il luogo in cui le anime passano da questo mondo all’aldilà, varcando la porta che le conduce dovunque abbiano bisogno di andare per compiere la missione della loro anima. Lui andò lì per accogliere l’anima di Mina.
O per guardarla allontanarsi da lui.
Si fermò. Non poteva andare nemmeno lì. Non sapeva dove andare e alla fine non andò da nessuna parte.
Chemosh era disteso sul letto, sul loro letto.
Riusciva ancora a sentire il profumo di Mina. Vedeva l’incavo sul cuscino dove lei poggiava la testa. Trovò un capello rosso luccicante e lo raccolse e se lo avvolse ripetutamente sul dito. Passò la mano sul lenzuolo, lisciandolo, come per passare la mano sulla pelle morbida e liscia, deliziandosi per la sensazione della sua carne calda e arrendevole.
Deliziandosi della vita. Perché lei gli portava la vita.
Una volta le aveva detto: «Quando sono con te, è il momento in cui sono maggiormente vicino alla mortalità. Ti vedo distesa sul cuscino, e il tuo corpo è ricoperto di una lieve patina di sudore, e tu sei arrossata e languida. Il cuore ti batte forte, il sangue ti pulsa sotto la pelle. Io sento la vita in te, Mina».
Tutto questo era finito.
Chemosh rimaneva disteso sul letto vuoto e fissava il buio. I suoi progetti erano tutti scompigliati. I «Prediletti» vagavano per Ansalon, i loro baci micidiali portavano sempre più convertiti al suo culto, convertiti che avrebbero obbedito al suo minimo comando. Lui avrebbe avuto a sua disposizione un esercito potente. Non sapeva bene che farsene.
Aveva previsto che fosse Mina a comandarli.
Chemosh chiuse gli occhi addolorato e, quando li riaprì, Mina era in piedi davanti a lui.
«Mio signore.»
«Sei venuta a me.»
«Naturalmente, mio signore», rispose Mina. «Ho giurato fedeltà a voi, amore mio.»
Chemosh allungò la mano verso di lei.
Gli occhi d’ambra erano di cenere. Le labbra erano polvere. La sua voce era un fantasma di voce. Il suo tocco era di un freddo spettrale.
Chemosh si rotolò sul letto, allontanandosi da lei.
Nessun mortale, nemmeno se morto, deve vedere un dio piangere.
Epilogo
Molto lontano dall’Abisso, nell’ex Torre dell’Alta Magia di Istar (che era stata ribattezzata Torre del Mare di Sangue), Nuitari, dio della magia nera, si era rinchiuso in una delle stanze della torre con due suoi maghi.
I tre fissavano con intensità rapita una grande bacinella d’argento di forma e disegno singolari. Costruita in modo da assomigliare al corpo attorcigliato di un drago, la base della bacinella rappresentava il corpo del drago avvolto ripetutamente su se stesso, terminante in una coda. La testa del drago, con la bocca spalancata, formava la bacinella. Quattro zampe di drago costituivano il supporto del corpo. Quando la bocca spalancata veniva riempita di sangue di drago (sangue che doveva essere prelevato a un drago consenziente), la bacinella aveva la capacità di svelare a coloro che ci guardavano dentro ciò che accadeva non nel mondo (cosa di scarso interesse per Nuitari) bensì in cielo.