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Margaret Weis

Ambra e ferro

Senza la realizzazione di sé, nessuna virtù è autentica.

Sir Nisargardatta Maharaj

Dedica

Questo libro è dedicato con profonda riconoscenza ai membri del Concilio di Whitestone e a tutti quei volontari che hanno donato il proprio tempo e il proprio talento a Dragonlance. Queste persone mi sono state di enorme aiuto. Sono sempre presenti per rispondere alle mie domande. Fanno andare avanti senza intoppi il sito dragonlance.com. Forniscono assistenza nelle ricerche e nella stesura e nella sperimentazione del prodotto gioco. Alcuni di loro lavorano con Dragonlance da anni, fin da principio.

Cam Banks

Shivam Bhatt

Ross Bishop

Neil Burton

Richard Connery

Luis Fernando De Pippo

Matt Haag

André La Roche

Sean Macdonald

Joe Mashuga

Tobin Melroy

Ashe Potter

Joshua Stewart

Trampas Whiteman

PARTE PRIMA

Nel nome di Chemosh

Prologo

Timothy Tanner non era un uomo cattivo, soltanto debole.

Aveva una moglie, Getta, e un figlio neonato, che era sano e grazioso. Timothy li amava teneramente entrambi e avrebbe dato la vita per loro. Ma proprio non riusciva a restare fedele. Si sentiva terribilmente in colpa per via del proprio «sfarfallare», come lo chiamava lui, e quando arrivò il neonato Timothy si ripromise di non guardare più alcuna altra donna.

Trascorsero tre mesi e Timothy mantenne la sua promessa. Effettivamente respinse un paio di sue precedenti amanti, dicendo loro che era un uomo cambiato, e sembrava proprio che fosse così, poiché veramente adorava il figlio e provava per la moglie tanto amore e gratitudine.

Poi un giorno entrò nella sua bottega Lucy Wheelwright.

Pur provenendo da una famiglia di conciatori, Timothy era stato apprendista presso un calzolaio e adesso si guadagnava da vivere fabbricando stivali e scarpe di cuoio.

«Vorrei sapere se questa scarpa si può aggiustare», disse Lucy.

Posò il piede su uno sgabello dalle gambe corte e si tirò su la gonna ben oltre il ginocchio scoprendo una gamba molto ben tornita e anche dell’altro.

«Ebbene, mastro calzolaio?» disse maliziosamente.

Timothy distolse a forza lo sguardo dalla gamba per osservare la scarpa. Era nuovissima. Timothy alzò lo sguardo sulla donna, che gli sorrise. Abbassando la gonna, Lucy si chinò, fingendo di allacciarsi la scarpa, ma offrendogli nel frattempo un panorama del seno prosperoso. Timothy notò sopra il seno sinistro un marchio strano: sembrava il bacio di due labbra. Si immaginò di accostare le proprie labbra a quel punto, e trattenne il respiro.

Lucy era una delle ragazze più carine di Solace e anche una delle più inavvicinabili, anche se vi erano dicerie...

Era sposata, come Timothy. Suo marito era un bestione di uomo, fortemente geloso.

Lucy si drizzò, risistemandosi la camicetta e dando un’occhiata alla porta. «Potresti forse sistemare subito questa scarpa? Ne ho bisogno veramente. Un bisogno acuto...»

«E tuo marito?» Timothy tossì.

«È via per una partita di caccia. Inoltre tu potresti sbarrare la porta, così nessuno interromperà il tuo lavoro.»

Timothy pensò alla moglie, al figlio, ma loro non erano qui e Lucy sì. Timothy si alzò dalla panca e andò alla porta, chiudendola e sbarrandola. Era quasi mezzogiorno; i clienti avrebbero pensato che lui fosse andato a casa per il pranzo.

Tanto per essere sicuro, condusse Lucy nel ripostiglio. Mentre ancora attraversavano la bottega, lei lo baciava, lo accarezzava, gli slacciava la camicia, armeggiava con le mani sui suoi calzoni alla zuava. Timothy non aveva mai conosciuto una donna tanto ardente, ed era consumato dalla passione. Ruzzolarono su una catasta di pelli. Lucy si contorse per liberarsi della camicetta, e lui le baciò un punto sul seno giusto sopra a quella strana voglia con la forma di due labbra.

Lucy gli mise la mano sulla bocca. «Voglio che tu faccia una cosa per me, Timothy», disse, col respiro affannoso.

«Qualunque cosa!» Premette il corpo più vicino al suo.

Lei lo tenne a bada. «Voglio che tu ti offra a Chemosh.»

«Chemosh?» Timothy rise. Era un momento particolarmente inopportuno per parlare di religione! «Il dio della morte? Che cosa ti ci fa pensare?»

«Solo un mio capriccio», disse Lucy, avvolgendosi più volte attorno al dito i capelli di lui. «Io sono una sua seguace. Lui è il dio della vita, non della morte. Quegli orrendi chierici di Mishakal dicono di lui queste cose cattive. Tu non devi crederci.»

«Non so...» A Timothy tutto questo pareva molto strano.

«Tu vuoi farmi contenta, vero?» disse Lucy, baciandogli il lobo dell’orecchio. «Io sono molto grata agli uomini che mi fanno contenta.»

Gli passò le mani sul corpo. Era abile, e Timothy gemette di desiderio.

«Ti basta pronunciare le parole "io mi offro a Chemosh"», sussurrò Lucy. «In cambio avrai vita eterna, giovinezza eterna, e avrai me. Noi potremo fare l’amore così ogni giorno, se lo desideri.»

Timothy non era un uomo cattivo, soltanto debole. Non aveva mai desiderato una donna tanto quanto desiderava Lucy in quel momento. Non era poi tanto religioso, e non vedeva che male ci fosse nel promettersi a Chemosh se questo rendeva felice Lucy.

«Io mi offro a Chemosh... e a Lucy», disse con tono canzonatorio.

Lucy gli sorrise e gli premette le labbra sul lato sinistro del petto, sopra il cuore.

Timothy fu scosso da un dolore terribile. Il cuore gli prese a battere in maniera tumultuosa e irregolare. Il dolore gli arse nelle braccia e nel tronco e nelle gambe. Timothy cercò freneticamente di spingere via Lucy, ma lei aveva una forza incredibile e lo teneva inchiodato e continuava a premergli le labbra sul petto. Il cuore di Timothy ebbe un sobbalzo. L’uomo cercò di urlare, ma non ne ebbe il fiato. Il corpo gli rabbrividì, fu preda di convulsioni e si irrigidì, mentre il dolore, come la mano di un dio malvagio, lo prendeva e lo contorceva, lo tormentava, lo frantumava e lo trasportava nell’oscurità.

Timothy uscì dall’oscurità. Entrò in un mondo che pareva tutto un crepuscolo. Vide oggetti che gli sembravano familiari, ma non riusciva a collocarli. Sapeva dove si trovava, ma non gli importava. Non gli interessava. La donna che era stata con lui non c’era più. Timothy cercò di ricordarne il nome, ma non ci riuscì.

Nella sua mente vi era soltanto un nome, e lui sussurrò quel nome: «Mina...»

La conosceva, anche se non l’aveva mai incontrata. Aveva bellissimi occhi d’ambra.

«Vieni da me», disse Mina. «Il mio signore Chemosh ha bisogno di te.»

«Verrò», promise Timothy. «Dove ti trovo?»

«Segui la strada verso il sorgere del sole.»

«Vuoi dire andarmene di casa? No, non posso...»

Il dolore pugnalò Timothy, un dolore orribile che era come il dolore del morire.

«Segui la strada verso il sorgere del sole», disse Mina.

«Va bene!» ansimò Timothy, e il dolore si alleviò.

«Portami dei discepoli», gli disse Mina. «Offri agli altri il dono che è stato offerto a te. Non morirai mai, Timothy. Non invecchierai mai. Non conoscerai mai la paura. Offri agli altri questo dono.»

Gli venne in mente un’immagine di sua moglie. Timothy aveva la vaga idea di non voler fare tutto questo, di poter causare un dolore terribile a Gerta se le avesse fatto questo. Non voleva...

Il dolore lo lacerò, lo piegò e lo contorse.

«Va bene, Mina!» gemette. «Va bene!»

Timothy tornò a casa dalla sua famiglia. Il bambino dormiva nella culla, per il pisolino pomeridiano. Timothy non prestò attenzione al figlio. Non si ricordava che fosse suo figlio. Non gliene importava nulla. Vedeva soltanto sua moglie e udiva soltanto quella voce, la voce di Mina, che gli diceva: «Portami lei...».

«Mio caro!» lo salutò Gerta, compiaciuta ma sorpresa. «Che ci fai a casa? Siamo a metà giornata!»