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Bugiarda, pensò Chemosh.

«Te l’ho detto soltanto per cortesia», rispose lui con noncuranza, «Ciò che Nuitari fa o non fa con la sua Torre a me non interessa.»

Bugiardo, pensò Zeboim.

«Al prossimo incontro, mio caro amico», disse lei con espansività.

«Al prossimo incontro», disse Chemosh soavemente.

«Uh, come odio quel disgraziato!» disse fra sé Zeboim mentre percorreva a grandi passi il fondo del mare. «Gliela farò pagare!»

«Strega intrigante», mormorò Chemosh. «La sistemerò io.» Alzò la voce. «Krell! Adesso puoi venire fuori! Mina ci verrà presto restituita, e allora io voglio essere pronto ad agire.»

5

Ignaro del fatto che la sua vita fosse stata usata dalla sua dea come merce di scambio, Rhys rimaneva a Solace, come aveva promesso a Gerard. Trascorsero diversi giorni dopo la loro conversazione, e durante questo tempo Rhys vide ben poco lo sceriffo. Quando si imbatteva in lui, Gerard gli sfrecciava sempre accanto facendo un gesto con la mano e mormorando le parole: «Non posso parlare adesso, ma presto. Molto presto».

Rhys ritornò al suo lavoro alla taverna, dove la proprietaria gli rivolse un caloroso benvenuto.

«Sono contento che siate di ritorno, fratello», disse Laura, detergendosi le mani sul grembiule. «Ci siete mancato, e non solo per tagliare le patate, anche se qui in giro nessuno sa tagliarle in quei bei quadratini come fate voi.»

«Sono contento di essere di nuovo qui», disse Rhys.

«Voi avete un certo modo di fare, fratello», proseguì Laura, dandosi da fare in cucina. Sollevò un coperchio e da un bollitore fuoriuscì un getto di vapore speziato. Laura sbirciò nella pentola, infilò dentro un cucchiaio e scrollò il capo. «Serve ancora sale. Dov’ero rimasta? Ah, sì. Voi avete una sorta di calma che si diffonde in tutti quando ci siete voi, fratello, ed evapora quando non ci siete.»

Prendendo da una pentola di metallo una pallina di pasta di pane, prese a impastarla abilmente, mentre continuava a parlare.

«Il giorno in cui ve ne siete andato, il cuoco ha litigato con la sguattera, e questa è rimasta tanto sconvolta che ha rovesciato una pentola di prosciutto e fagioli e si è quasi ustionata. Per non parlare delle due scazzottate che abbiamo avuto in cortile, e poi c’è stato quel ragazzo a cui è venuto in mente di scivolare lungo tutta la balaustrata dal livello dell’albero fino a terra e ha finito col rompersi il braccio. Quando voi siete qui, fratello, non succede mai niente del genere. Tutto sembra andare liscio come un sedere di signora. Oh, santo cielo!» Laura si batté la mano sulla bocca e arrossì vividamente. «Chiedo perdono, fratello. Non intendevo parlare di un sedere di signora.»

Rhys sorrise. «Credo che sopravvalutiate la mia influenza, padrona Laura. Ora, poiché siamo vicini all’ora di cena, dovrei mettermi all’opera su quelle patate...»

Rhys affettò patate e cipolle, andò a prendere acqua e ascoltò con commiserazione le lamentele del cuoco riguardo alla sguattera, e poi consolò la sguattera, che non sapeva mai che cosa fare per compiacere il cuoco. A Rhys piaceva lavorare nella cucina della taverna. Gli piacevano i momenti frenetici, come il pranzo e la cena, quando spesso faceva tre cose insieme, lavorando con le maniche rimboccate sopra il gomito, correndo qua e là senza tempo per pensare a niente tranne preoccuparsi se le patate erano ancora poco cotte o se il cosciotto di carne che si arrostiva sullo spiedo sopra il fuoco scoperto stava cuocendo in maniera non uniforme.

Quando la folla se ne andava e le porte della taverna si chiudevano per la notte, Rhys si godeva la pace e la tranquillità, anche se vi erano montagne di stoviglie da lavare e bollitori e pentole da strofinare e il pavimento da spazzare e l’acqua da andare a prendere e la pasta di pane da miscelare in modo che potesse passare la notte a lievitare. Quei lavoretti semplici e senza pretese gli rammentavano la sua vita al monastero. Con le braccia immerse fino ai gomiti nell’acqua schiumosa, lavava i boccali per la birra e rifletteva su Majere e si domandava che cosa stesse facendo quel dio enigmatico e perché lo facesse.

Quando finì col rompere un boccale, Rhys si rese conto di essere ancora in collera con Majere e vide che la sua collera, lungi dal placarsi, veniva alimentata dalla presenza continua e ostinata di Majere nella sua vita. Come un bambino viziato e maleducato, i cui genitori insistono a coccolarlo per quanto lui si comporti male, Rhys non si meritava l’interesse del dio nei suoi confronti; si sentiva in colpa nell’accettarlo non potendo contraccambiarlo.

Giunse quasi a provare risentimento per l’emmide. Il giorno prima aveva cercato di abbandonarlo nella sua stanza, ma aveva scoperto di sentirsi goffo e a disagio senza il bastone, quasi stesse attraversando Solace nudo, e Atta fu tanto infastidita da quell’assenza (continuava a fermarsi per fissare Rhys con un’espressione perplessa) che lui alla fine si era arreso ed era ritornato indietro a prenderlo.

La sua fede veniva sottoposta ad altre prove. Talvolta Laura mandava Rhys al mercato per fare la spesa quotidiana, se lei era troppo indaffarata per andarci di persona. Lungo il cammino Rhys passava per la strada che i cittadini per scherzo chiamavano «Via degli Dèi». Qui i chierici delle varie divinità di Krynn costruivano nuovi templi di culto per accogliere il ritorno degli dèi che erano stati a lungo assenti dal mondo. Il tempio di Majere era una struttura modesta ubicata circa a metà della via. Rhys vedeva spesso i chierici di Majere lavorare nell’orto o passeggiare in giardino, ed era dolorosamente tentato di entrare nel tempio e ringraziare umilmente Majere per il suo interesse verso quel servitore indegno e chiedere perdono al dio.

Ogni volta che pensava di farlo, ogni volta che i suoi piedi facevano per condurlo in quella direzione, Rhys rivedeva i suoi confratelli stesi morti sul pavimento del monastero, con i corpi contorti nell’agonia mortale. Pensava a suo fratello e a tutti coloro che suo fratello aveva ingannato e assassinato. Perfino Zeboim (per quanto crudele, arrogante, capricciosa e inaffidabile) aveva fatto più del buono e saggio Majere per aiutare Rhys a trovare risposte alle sue domande. Rhys deviava dal tempio e ritornava al suo incarico di acquistare cipolle.

Mentre Rhys tagliava ortaggi e lottava col suo dio, Nightshade vagava per le strade di Solace, tenendo d’occhio i Prediletti. Atta accompagnava il kender, tenendo d’occhio Nightshade. Atta non doveva impegnarsi molto per mantenere onesto il kender. Nightshade era particolarmente inetto nell’arte secolare e assai celebrata (fra i kender, per lo meno) del «prendere a prestito».

«Ho le mani impacciate e due piedi sinistri», ammetteva allegramente Nightshade.

Non era molto bravo nel prendere a prestito perché non era granché interessato alle cose che interessavano agli altri kender. Non era abbastanza curioso, supponeva, o piuttosto era curioso ma non riguardo agli averi degli altri. Era curioso riguardo alle loro anime, specialmente quelle anime che ancora non avevano progredito verso lo stadio successivo del viaggio della loro vita. Nightshade aveva la capacità di comunicare con tali spiriti, che fossero perduti e vaganti, irati, infelici, vendicativi o distruttivi. Sapeva anche, come aveva detto Rhys a Gerard, vedere i Prediletti per quelli che erano: cadaveri ambulanti.

Talvolta però le mani del kender assumevano vita propria e prendevano a pensare per conto loro, e allora trovavano la strada verso le tasche o il borsellino di qualcuno o distrattamente infilavano un sacchetto di kumquat nella gamba dei pantaloni del kender oppure portavano via una torta che veniva ridotta in briciole prima che Nightshade si rendesse conto di non averla pagata.

Ad Atta era stato insegnato a sorvegliare da vicino il kender, e quando vedeva Nightshade stare troppo vicino a qualcuno o deviare verso la bancarella del fornaio, la cagna frapponeva rapidamente il proprio corpo tra quello del kender e la vittima potenziale e guidava delicatamente il kender verso la retta via.