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Nuitari sapeva che sua sorella sarebbe rimasta sconvolta per il fatto che lui avesse riedificato l’antica Torre dell’Alta Magia nel suo mare senza prima chiederle il permesso. Conoscendola, sapeva che era capace di rifiutarglielo per puro capriccio. Temendo inoltre che questo le mettesse in testa strane idee, Nuitari aveva ritenuto più saggio costruire prima la Torre e poi chiedere perdono alla sorella.

Adesso stava cercando di fare proprio questo, ma Zeboim si rifiutava di ascoltare.

«Te lo giuro, fratello», si adirò Zeboim, «nemmeno una delle tue Vesti Nere oserà mettere piede sull’acqua, altrimenti affronterà la mia ira! Se un mago cercasse di fare un bagno caldo, io lo spingerò sotto! Qualunque nave trasportasse un mago si rovescerà. Le zattere che traghettassero maghi attraverso i fiumi affonderanno. Se un mago metterà il dito del piede in un torrente, io lo rigonfierò facendone un fiume impetuoso. Un mago che appena bevesse un bicchiere d’acqua soffocherà...».

Continuò così, sbraitando e infuriandosi e pestando i piedi. A ogni pestata, il fondo del mare tremava. La sua furia faceva ondeggiare la Torre sulle fondamenta. Nuitari poteva solo immaginare la devastazione che le scosse provocavano all’interno. Aveva perso il contatto con i due maghi, e questo lo preoccupava.

«Mi dispiace, cara sorella, se ti ho sconvolta», disse contrito. «Davvero, non è stato intenzionale.»

«Innalzare questa torre a mia insaputa non è stato intenzionale?» urlò Zeboim.

«Pensavo lo sapessi!» protestò Nuitari, innocenza fatta persona. «Pensavo sapessi tutto quello che avviene nel tuo mare! Se non è così, se questa ti giunge come una sorpresa, è forse colpa mia?»

Fremendo, Zeboim lo guardò con occhio furioso. Si dimenava e si dibatteva, ma non vedeva modo di uscire dalla rete di parole del fratello che l’aveva intrappolata così bene. Se affermava di sapere che lui stava costruendo la Torre, allora perché non l’aveva fermato, visto che ne era tanto offesa? Ammettere di non averlo saputo significava ammettere di non sapere ciò che avveniva nel suo stesso regno.

«Ero impegnata in altre questioni più importanti», disse con tono altezzoso. «Ma adesso che lo so, tu devi fare ammenda.»

«Che cosa desideri?» domandò untuoso Nuitari. «Sarò fin troppo lieto di acconsentire alle tue richieste, cara sorella. Purché siano ragionevoli, naturalmente.»

Presumeva che lei fosse venuta a sapere non soltanto della Torre ma anche della Sala del Sacrilegio. Si immaginava che gli chiedesse la restituzione dei suoi oggetti sacri in cambio del permesso di tenere la Torre. Nuitari era pronto a consegnare un oggetto sacro o forse anche due, se lei avesse persistito nelle minacce contro i maghi. La risposta di Zeboim fu del tutto inaspettata.

«Voglio Mina», dichiarò la dea.

«Mina?» ripeté Nuitari, sbalordito. Prima Takhisis. Poi Chemosh. Adesso Zeboim. Ogni dio dell’universo voleva forse questa ragazza?

«Tu la tieni prigioniera. La consegnerai a me. In cambio potrai tenerti la Torre», propose magnanima Zeboim. «Non te la farò abbattere.»

«Che gentilezza da parte tua, sorella», disse Nuitari con tono adulatorio e velenoso. «Che cosa vuoi da questa femmina umana, se mi permetti di domandartelo?»

Zeboim guardò su verso la superficie del mare illuminata dal sole.

«Quante delle tue Vesti Nere pensi che stiano navigando in mare aperto attualmente, fratello?» domandò. «Io ne conto sei in questo momento.»

Sollevò le mani e l’acqua del mare prese a ribollire attorno a lei. La luce del sole svanì, sopraffatta da nubi temporalesche. Nuitari ebbe visioni dei suoi maghi che cadevano giù da ponti squassati dal rollio.

«Molto bene! L’avrai!» disse rabbiosamente. «Ma non so perché tu la voglia. Lei appartiene a Chemosh, anima e corpo.»

Zeboim sorrise con aria avveduta, e Nuitari indovinò subito che lei e Chemosh avevano stretto qualche sorta di patto.

«Ecco perché il dio non è venuto a reclamare la sua sgualdrina», mormorò Nuitari. «Ha stretto un patto con Zeboim. Mi domando a che scopo. Non la mia Torre, spero.»

Scrutò la sorella. Lei lo scrutò di rimando.

«Vado a prenderla», disse Nuitari.

«Vai», disse Zeboim. «E non metterci molto. Io mi annoio facilmente.»

Impartì alla Torre una scossetta supplementare.

Entrando nella Torre del Mare di Sangue, Nuitari convocò i suoi maghi.

Non risposero.

Lo considerò un cattivo presagio. Caele di solito era sempre pronto, desiderando ardentemente di essere il primo a profondersi in lodi per il ritorno del padrone, e Basalt, solido e affidabile, aspettava di lanciarsi in lamentele nei confronti di Caele.

Nessuno dei due rispose alla convocazione del padrone.

Nuitari li chiamò di nuovo, con tono terribile.

Nessuna risposta.

Nuitari andò al laboratorio, pensando che potessero essere lì. Vi trovò un caos indescrivibile: il pavimento inondato di pozioni versate e vetri rotti, un piccolo fuoco che ardeva in un angolo, diversi folletti evasi che vagavano liberamente qua e là. Nuitari spense il fuoco con uno sbuffo irritato, intrappolò i folletti e li rinchiuse nuovamente nelle loro gabbie, quindi proseguì le ricerche dei maghi scomparsi. Aveva la sensazione di sapere dove guardare.

Arrivando all’appartamento di Mina, trovò la porta spalancata. Nuitari entrò.

Due bare di pietra e nessuna traccia di Mina.

Nuitari sollevò le lastre di pietra dai sarcofagi. Caele, ansimando per respirare, afferrò i lati della bara e si tirò su. Il mezzelfo pareva mezzo morto. Cercò di alzarsi in piedi, ma aveva le gambe troppo malferme. Rimase seduto nella bara e rabbrividì. Poiché i nani erano abituati a vivere in luoghi bui, Basalt aveva affrontato con facilità il suo isolamento. Era molto più preoccupato di affrontare il dio irato, e teneva la testa china, col cappuccio abbassato, cercando disperatamente di evitare lo sguardo torvo di Nuitari.

«Oh, se mi perdonate, padrone, mi occupo io di fare le pulizie...» Basalt cercò di uscire furtivamente dalla stanza.

«Dov’è Mina?» domandò Nuitari.

Basalt si guardò attorno furtivamente, come sperando che Mina si nascondesse sotto il divano. Non trovandola, guardò il padrone e quasi subito distolse di nuovo lo sguardo.

«È stata colpa di Caele», disse Basalt, mormorando nella barba. «Ha cercato di ucciderla, ma ha pasticciato come al solito, e lei gli ha preso il coltello...»

«Serpente!» sibilò Caele. Inerpicandosi fiaccamente per uscire dalla bara, sollevò contro il nano una mano indebolita.

«Smettetela, tutti e due!» comandò Nuitari. «Dov’è Mina?»

«È successo tutto nello stesso momento, padrone», piagnucolò Caele. «Zeboim ha cominciato a scrollare la Torre, e un attimo dopo Mina aveva il mio coltello e minacciava di uccidermi...»

«È vero, padrone», disse Basalt. «Mina minacciava di uccidere il povero Caele se io avessi cercato di fermarla, e naturalmente io temevo per la sua vita, e poi è arrivato Chemosh e ci ha ficcati dentro queste bare...»

«Tu menti», disse con calma Nuitari. «Il Signore della Morte non può entrare nella mia Torre. Non più.»

«Ho udito la sua voce, padrone», ansimò Basalt, trasalendo. «La sua voce era dappertutto. Ha parlato con Mina. Le ha detto che la Torre è sua. A parte il guardiano...»

«Il guardiano», ripeté Nuitari, e capì dove fosse andata Mina: la Sala del Sacrilegio. Si rilassò. «Midori la sistemerà, e questo significa che non ne rimarrà granché. Devo escogitare qualcosa per placare mia sorella. Metterò i resti di Mina in una bella scatola. Zeboim potrà offrire questa a Chemosh in cambio di qualunque cosa lui le abbia promesso; una promessa che lui probabilmente non intenderà comunque mantenere.»