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Simili assenze non erano insolite. Il drago di quando in quando se ne andava in battute di caccia. Nuitari aveva la sensazione però che questa volta Midori se ne fosse andata senza alcuna intenzione di tornare. Si era incollerita enormemente con lui.

Nuitari rimase dentro il globo marino a fissare il Solio Febalas. Ripensò a tutto quanto avesse a che fare con Mina.

Mina, si risolse, non voleva dire altro che guai.

«Che liberazione», mormorò. Se ne andò, con un sospiro feroce, per vedere se gli riuscisse di trovare e placare il drago.

PARTE TERZA

Il bacio di Mina

1

La taverna, se la si poteva chiamare pomposamente con questo termine, si trovava dentro una barca rovesciata che era stata portata a riva dal vento durante una tempesta. La taverna si chiamava Lo Scafo, ma l’umorismo locale la chiamava Lo Schifo.

Lo Schifo teneva fede al suo nome. Non aveva né tavoli, né sedie, né finestre. Gli avventori se ne stavano raggruppati attorno al bancone che era stato abborracciato con travi di legno in putrefazione, oppure si accovacciavano su cassette di verdura rovesciate. Le crepe nello scafo fornivano quella poca luce che riuscisse a penetrare all’interno, unitamente a un minimo di aria fresca che combatteva una battaglia persa contro il fetore di liquore dei nani, urina e vomito. Coloro che frequentavano Lo Schifo venivano qui principalmente perché erano stati buttati fuori da ogni altro posto.

Rhys e Nightshade sedevano su cassette quanto più vicino possibile a una delle crepe, e anche così Nightshade trovava che l’odore quasi gli guastava l’appetito. Atta contraeva continuamente le narici e starnutiva e tirava su col naso.

Oltre alla mancanza di tavoli e di finestre, non vi erano nemmeno risate, né allegria. L’oste distribuiva un distillato dubbio che lui affermava essere liquore dei nani, ma probabilmente non lo era, versandolo in boccali di stagno ammaccati che erano stati recuperati dal naufragio. Gli avventori per la maggior parte bevevano da soli, sprofondati nella malinconia, fissando storditi i ratti che correvano sul pavimento e che erano gli unici a divertirsi, almeno finché non scorsero Atta. Essendole stato proibito di cacciarli, Atta osservava quelle bestiacce a occhi socchiusi e, quando uno le arrivava troppo vicino, gli ringhiava contro.

Uno degli avventori che bevevano quel giorno era Lleu.

Rhys e Nightshade avevano perso per breve tempo le tracce di Lleu quindi, proprio per caso, avevano ritrovato il suo percorso, diretto da Solace verso sud, non verso est. Lo rintracciarono nella città di New Port situata sulla Baia Nuova nella parte meridionale del Mare Nuovo. Rhys si domandò perché suo fratello andasse verso sud, quando gli altri Prediletti erano attirati verso est. Trovò la risposta quando raggiunse New Port. Lleu aveva prenotato un posto su una nave diretta a Flotsam, la cui partenza era prevista di lì a qualche giorno.

Trovare Lleu non era stato difficile. Rhys era andato semplicemente da un’osteria malfamata all’altra, fornendo agli osti la descrizione di Lleu. A New Port lo individuarono al terzo tentativo.

Gli osti ricordavano sempre Lleu, poiché si distingueva dagli altri clienti, i quali erano generalmente trasandati, schiavi del liquore dei nani che governava la loro vita. Quelli «catturati dai nani», come si usava dire, erano in genere macilenti e pallidi, poiché il liquore diventava per loro pane e carne; avevano gli occhi vitrei, le guance incavate. Lleu, invece, era sano e pasciuto, bello e affascinante. Da tempo aveva abbandonato le vesti di chierico di Kiri-Jolith e adesso indossava la camicia e il farsetto, gli stivali di cuoio e le calze di lana di un giovanotto di nobili natali.

In un modo o nell’altro aveva trovato dei soldi, poiché i suoi abiti erano di buona fattura e lui era riuscito a pagare il prezzo elevato del viaggio per mare. Forse una delle sue vittime era stata ricca. Altrimenti si era dato al furto, il che non sarebbe stato sorprendente. Dopo tutto, Lleu non aveva nulla da temere dalla giustizia, che sarebbe andata incontro a una brutta sorpresa se avesse cercato di impiccarlo.

Quando Rhys entrò nello Schifo, Lleu lo osservò, poi distolse lo sguardo. In quegli occhi morti non vi era traccia di riconoscimento. Lleu non aveva alcun ricordo di Rhys né di alcunché. Lleu sapeva il proprio nome, ed era l’unica cosa che sapesse. Chemosh gli diceva chi era, presumibilmente. Ciò che era stato era andato perduto per sempre.

Gli altri avventori della taverna erano assorti nel bere e non volevano avere nulla a che fare con un forestiero, per cui Lleu intrattenne un’allegra conversazione con se stesso. Si vantava delle sue baldorie e delle donne che si gettavano su di lui. Rideva per le proprie battute e cantava canzoni sguaiate, e a Rhys doleva il cuore. Lleu bevve finché non finì le monete per pagare gli alcolici, quindi cercò di bere a credito. L’oste non voleva saperne, però; eppure Lleu continuò a restare seduto lì, col boccale in mano.

Andò avanti così per l’intero pomeriggio. Lleu da un momento all’altro si dimenticava che non aveva niente da bere e portava il boccale alle labbra. Trovandolo vuoto, sbatteva il boccale sulla cassetta e a voce alta chiedeva dell’altro liquore. L’oste, sapendo che lui non poteva pagare, semplicemente lo ignorava. Lleu continuava a sbattere il boccale sulla cassetta finché dimenticava perché lo facesse, e allora lo metteva giù. Dopo qualche istante lo raccoglieva e urlava per avere ancora da bere.

Rhys stava seduto a osservare quell’essere che un tempo era stato suo fratello e di quando in quando faceva finta di bere il liquore che era stato costretto a pagarsi per placare l’oste. Nightshade si era annoiato, inizialmente, ma poi si era messo a cercare di colpire i ratti con fagioli secchi che aveva trovato in qualche vecchia tela di sacco infilata dentro la cassetta su cui era seduto. Il kender aveva reperito (Rhys non gli domandò come) una fionda, e anche se inizialmente era stato impacciato nell’usarla, poi aveva acquisito una certa abilità. Sapeva colpire un ratto con un fagiolo a venti passi di distanza e fargli fare una capriola sul pavimento di terra. Però si stava stancando di quel divertimento. I ratti intelligenti adesso restavano nelle loro tane e inoltre lui aveva esaurito i fagioli.

«Rhys», disse Nightshade, avvolgendo la fionda e infilandosela alla cintola, «è ora di cena».

«Pensavo che avessi perso l’appetito», disse Rhys sorridendo.

«Il mio naso l’ha perso. Il mio stomaco no», ribatté Nightshade. «Anche Atta pensa che sia ora di cena, vero, ragazza?» Diede alla cagna una pacca sulla testa.

Atta alzò gli occhi e scodinzolò, sperando che stessero per andarsene.

«Non possiamo andarcene ancora», esordì Rhys, e poi, vedendo Nightshade fare il muso lungo e Atta abbassare gli orecchi, soggiunse: «Ma voi due potete andare a fare una passeggiata. Io ho questi avanzi del pranzo».

Rhys e Nightshade avevano aiutato un contadino a rimettere una ruota al carro quella mattina mentre arrivavano in città e, anche se Rhys si era rifiutato di accettare un pagamento, l’uomo aveva spartito con loro i viveri. Rhys porse al kender un pacchetto di carne essiccata.

«La porto fuori per mangiarmela», disse Nightshade. «Così il mio naso potrà avere fame come lo stomaco.»

Si alzò e si sgranchì. Atta si scrollò tutta, partendo dal naso e finendo con la coda, e guardò con entusiasmo la porta.

«E tu?» domandò Nightshade, vedendo che Rhys restava seduto. «Non hai fame?»

Rhys scrollò il capo. «Io resto qui e tengo d’occhio Lleu. Ha detto qualcosa riguardo a un incontro con una ragazza, più tardi stasera.»

Nightshade prese i viveri, ma non se ne andò subito. Rimase a guardare Rhys e parve cercare di decidere se dire qualcosa o no.

«Sì, amico mio», disse dolcemente Rhys. «Che c’è?»

«Parte con una nave fra due giorni», disse Nightshade.

Rhys annuì.

«Che faremo allora? Lo inseguiremo a nuoto sul Mare Nuovo?»