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“Forse non sapevi che cosa stavi guardando!” lo canzonò Mina.

“Oh, lo sapevo”, disse Nightshade. Per fortuna le macchie cominciavano a svanire. Il kender si deterse il sudore dalla fronte. Gli sembrava strano sudare mentre aveva ancora la pelle d’oca sulle braccia.

Mina si infilò in tasca gli oggetti sacri e poi gli sorrise.

“Tocca a te”, disse. “Per che cosa?”

Mina agitò la mano. “Sei venuto con me. Puoi prendere un oggetto sacro. Quello che preferisci.”

Nightshade vedeva Basalt steso insanguinato a terra e udiva gli strilli di terrore di Caele. Si infilò le mani in tasca.

“No. Grazie, comunque.” “Gatto fifone”, lo schernì Mina.

Andando all’altare di Majere, raccolse qualcosa di lucente e lo porse a Nightshade.

“Ecco”, disse. “Dovresti prendere questo.”

In mano teneva uno spillone d’oro da mantello a forma di cavalletta. Nightshade si rammentò di quella volta che lui e Atta erano stati aggrediti da due Prediletti ed erano stati salvati da un esercito di cavallette. Lo spillone, sul quale dei rubini fungevano da occhi, era fabbricato con una tale perizia che sembrava potesse saltare da un momento all’altro. Nightshade ne era affascinato e lo desiderava più di ogni altra cosa in vita sua. La mano gli tremava nella tasca.

“Sei sicura che a Majere non dispiacerà se lo prendo?” domandò. “Non vorrei fare qualcosa che lo faccia arrabbiare.”

“Sono sicura”, disse Mina, e prima che Nightshade potesse protestare gli appuntò lo spillone sulla camicia.

Nightshade si irrigidì per la paura, quasi aspettandosi che lo spillone gli volasse su per il naso o lo picchiasse sulla testa. La cavalletta se ne stava docile sulla camicia. A Nightshade, che la osservava meravigliato, parve che gli occhi rossi ammiccassero verso di lui.

“Che cosa fa?” domandò.

“È una cavalletta, tonto”, disse Mina. “Che cosa pensi che faccia?”

“Salta?” Nightshade azzardò questa ipotesi.

“Sì”, disse Mina, “e farà saltare anche te. Tanto in alto e lontano quanto tu vorrai andare”.

“Oooh, ragazzi”, sospirò Nightshade.

Rhys non aveva né udito né visto nulla. Il nano ululava, Caele imprecava, Atta abbaiava e Rhys ne era ignaro. L’unico suono che udisse era la voce del dio. E poi Rhys sentì una mano che gli picchiava sulla spalla, e alzò la testa. La voce del dio cessò. “Signor monaco, ho i miei doni per Goldmoon”, disse Mina, mostrandogli i due oggetti. “Adesso possiamo andare.”

Rhys si alzò. Era rimasto in ginocchio per terra a lungo, a quanto pareva, poiché aveva le ginocchia doloranti e le gambe rigide. Guardandosi attorno, rimase sbalordito nel vedere le due Vesti Nere stese a terra: un mago legato e strillante, l’altro insanguinato e privo di sensi.

Guardò Nightshade per avere una spiegazione.

“Hanno fatto arrabbiare gli dei”, rispose il kender.

Rhys rimase notevolmente sconcertato da questa affermazione, ma prima che potesse porre domande Mina urlò impaziente che era pronta per partire.

“Che ne facciamo di faccia di donnola e palla di pelo?” domandò Nightshade.

“Lasciamoli qui”, disse Mina, con occhio torvo. “Chiudiamoli dentro e lasciamoli morire. Così imparano.”

“Ma non possiamo!” disse Rhys, sconvolto.

“Perché no? Stavano per ucciderci”, ribatté Mina.

Rhys abbassò lo sguardo verso Caele, legato con la fune benedetta, che si contorceva sul pavimento. Il mezzelfo lottava tra la furia e la paura. Un momento digrignava i denti e ringhiava minacce e un momento dopo piagnucolava per essere salvato. L’altro mago, Basalt, aveva ripreso conoscenza e si lamentava che gli doleva la testa.

“So come si sente Rhys”, disse Nightshade dando un’occhiata a Mina. “Lei però ha ragione, Rhys. Faccia di donnola stava per ucciderti con un incantesimo magico, se non fosse stato fermato da chissà quale dio con quella corda. Non dovremmo lasciarli liberi.”

“Io non lascerò morire nessuno”, disse Rhys severamente, con un tono che non accettava discussioni. “Possiamo perlomeno portarli fuori di qui. Tu prendilo da quella parte.”

“Puah!” disse Nightshade, arricciando il naso mentre sollevava i piedi nudi di Caele. “Non avrei mai pensato di dirlo, ma mi dispiace che qui dentro non ci sia più acqua.”

Mentre Mina osservava con disapprovazione, Rhys e Nightshade trasportarono prima Caele e poi Basalt fuori della Sala del Sacrilegio e deposero i due maghi sulla sabbia umida.

“Atta, guardia!” disse Rhys, indicando i maghi.

“Non penso che sarà necessario”, disse Nightshade a bassa voce. “Penso che stia arrivando qualcuno a prenderli.”

Un uomo che indossava una sontuosa veste nera attraversò la sabbia umida. Il volto di luna rotonda dell’uomo era pallido per la furia, gli occhi erano freddi e scintillanti. Mina afferrò la mano di Rhys. Atta si infilò dietro a Rhys, e Nightshade ritenne prudente ritornare nella Sala. Lo sguardo irato dell’uomo si posò di sfuggita su tutti loro, si soffermò brevemente su Mina, poi investì con piena forza i maghi.

Caele vide chi stava arrivando e prese a farfugliare.

“Padrone Nuitari, non è stata colpa mia! Basalt mi ha costretto a venire…”

“Ti ho costretto io?” sbottò Basalt, ma il suo grido gli fece dolere la testa e gli provocò un gemito. “Non credetegli, padrone. È stato questo bastardo di elfo…”

Il volto di luna si contorse per la furia. Nuitari tese la mano, e i due maghi scomparvero.

Il Dio della Luna Nera si rivolse a Rhys. “Le mie scuse, monaco di Majere. Questi due non ti infastidiranno più.”

Rhys si inchinò.

“Scusatemi, Nuitari”, intervenne Nightshade al sicuro sulla soglia, “per compensare il fatto che i vostri maghi hanno cercato di ucciderci, non potreste sbarazzarci dei Prediletti? Non intendo lamentarmi, ma hanno invaso la vostra torre e non ci lasceranno partire”.

“Questa non è più la mia torre”, rispose Nuitari e con una fredda occhiata a Mina scomparve.

“E allora chi li teneva a bada?” domandò Nightshade, perplesso.

“Probabilmente Mina”, disse Rhys. “Solo che non lo sapeva.”

Nightshade brontolò qualcosa di inintelligibile, quindi disse: “Allora che facciamo riguardo ai Prediletti?”.

“Fintanto che Mina è con noi, non penso che i Prediletti ci facciano del male”, rispose Rhys.

“E che succede se Mina cerca di andarsene?”

“Non lo so, amico mio”, disse Rhys. “Dobbiamo avere fede che…” Si interruppe, stringendo gli occhi. “Nightshade, dove hai preso quello spillone d’oro?”

“Non l’ho preso”, disse prontamente il kender.

“Sono sicuro che tu non intendessi prenderlo”, suggerì Rhys. “Immagino che tu l’abbia trovato per terra…”

“…dove l’ha lasciato cadere un dio?” Nightshade gli sorrise. “Non l’ho rubato, Rhys. Sinceramente. Me l’ha dato Mina.”

Abbassò lo sguardo con orgoglio verso la cavalletta. “Ti ricordi quando Majere ha mandato le cavallette a salvarmi? Penso che sia il suo modo per dire grazie.”

“Sta dicendo la verità”, intervenne Mina. “Il dio voleva che lo tenesse lui. Così come gli dei volevano che io prendessi i miei doni per Goldmoon. Adesso che ci penso, non potresti portarmeli tu?” Mina porse i due oggetti sacri a Rhys. “Ho paura di perderli.”

“Qualunque cosa tu faccia”, lo avvertì Nightshade, “non metterti la collana!”.

“Penso che a Goldmoon piaceranno”, proseguì Mina, consegnando a Rhys prima la piramide di cristallo e poi la collana. “Quando gli dei se n’erano andati, Goldmoon mi diceva di essere molto triste. Anche se erano trascorsi anni e anni, sentiva ancora la loro mancanza. Io le ho promesso di ritrovare gli dei e di riportarglieli. E così ho fatto.”

Mina sorrise, compiaciuta di se stessa.

Rhys rabbrividì. Mina non aveva trovato una dea. La dea, Takhisis, aveva trovato lei. Takhisis aveva mentito a Mina e l’aveva corrotta rendendola schiava delle tenebre, quando avrebbe dovuto gioire della luce. Mina era stata una vittima inconsapevole oppure sapeva distinguere il Bene dal Male e aveva scelto volontariamente le tenebre? E ora stava cancellando i ricordi, cercando di dimenticare i crimini terribili che aveva commesso? Oppure aveva davvero dimenticato? Stava recitando? Oppure si trattava di follia?