L’incontro più interessante fu con un gruppo di gnomi la cui trebbiatrice ambulante a vapore con impastatrice e panificatrice incorporate era impazzita e giaceva in pezzi sul ciglio della strada. Questo incontro causò un notevole ritardo poiché Rhys si fermò per badare alle vittime.
Tutta questa agitazione occupò gran parte della giornata. Mina era contenta, cortese e ansiosa di incontrare altri gnomi. Si fermarono per la notte. Poiché vi era bel tempo, si accamparono all’aperto, e Mina inizialmente pensò che fosse molto divertente, ma non fu dello stesso avviso verso mezzanotte quando scoprì di essersi preparata il letto sopra un formicaio.
Di conseguenza la mattina dopo era stizzita e scontrosa, e il suo umore non migliorò. Più si allontanavano da Flotsam, meno gente incontravano lungo la strada, finché non rimase più nessuno tranne loro. Il paesaggio si componeva di tratti deserti di terreno disabitato, ravvivato da pochi alberi scarni. Mina si annoiava e prese a lamentarsi. Era stanca. Voleva fermarsi. Gli stivali le pizzicavano la punta dei piedi. Aveva una vescica sul tallone. Le facevano male le gambe. Le faceva male la schiena. Aveva fame. Aveva sete.
“Allora quando arriviamo?” domandò a Rhys, attardandosi al suo fianco e strascicando i piedi nella polvere.
“Vorrei percorrere ancora qualche chilometro prima che faccia buio”, disse Rhys. “Allora ci accamperemo.”
“No, non per accamparci!” disse Mina. “Intendo a Godshome. Sono davvero stanca di camminare. Ci arriveremo domani?”
Rhys stava cercando di pensare a come spiegarle che poteva volerci anche un anno per raggiungere Godshome, quando Atta si mise ad abbaiare acutamente. Con gli orecchi ritti, guardava attentamente lungo la strada.
“Arriva qualcuno”, disse Nightshade.
Cavallo e cavaliere erano lanciati nella loro direzione, a un’andatura rapida a giudicare dallo scalpiccio. Rhys prese per mano Mina e in tutta fretta la trascinò verso il ciglio della strada, per metterla al sicuro dagli zoccoli del cavallo. Ancora non riusciva a vedere il cavaliere, per via di una lieve pendenza della strada. Atta rimase obbediente al fianco di Rhys, ma continuò a ringhiare. Il corpo le tremava. Il labbro le si arricciava.
“Chiunque stia arrivando, ad Atta non piace”, osservò Nightshade. “Non è il suo modo di fare.”
Abituata a viaggiare, Atta tendeva a essere amichevole con gli estranei, ma si teneva a distanza e acconsentiva a essere accarezzata solo se non c’era modo di evitarlo. Li stava mettendo in guardia contro questo sconosciuto ancora prima di vederlo.
Cavallo e cavaliere superarono la china e, avvistandoli, aumentarono la velocità, galoppando lungo la strada verso di loro. Il cavaliere era avvolto in un mantello nero. I lunghi capelli gli ondeggiavano nel vento dietro le spalle.
Nightshade rimase senza fiato. “Rhys! È Chemosh! Che facciamo?”
“Non possiamo fare niente”, rispose Rhys.
Il Signore della Morte tirò le redini del cavallo quando fu vicino. Nightshade cercò freneticamente qualche posto per nascondersi. Erano però stati sorpresi in uno spazio aperto. Non c’era né un albero né un fosso in vista.
Rhys ordinò ad Atta di stare calma e la cagna perlopiù obbedì, anche se di quando in quando le sfuggiva un ringhio. Rhys trasse a sé Mina, reggendo con una mano il bastone davanti a lei e tenendo l’altra mano con fare protettivo sulla spalla della bambina. Nightshade rimase saldamente al fianco dell’amico. Rammentandosi di essere un kender con le corna, assunse un’aria oltremodo feroce.
“Chi è quell’uomo?” domandò Mina, fissando curiosa il cavaliere dal mantello nero. Girò la testa all’indietro per guardare in su verso Rhys. “Lo conosci?”
“Lo conosco”, rispose Rhys. “E tu lo conosci, Mina?”
“Io?” Mina era stupita. Scrollò il capo. “Non l’ho mai visto prima d’ora.”
Chemosh smontò da cavallo e si incamminò verso di loro. Il cavallo rimase immobile dove lui l’aveva lasciato, come fosse stato tramutato in pietra. Nightshade si spostò lentamente più vicino a Rhys.
“Kender con le corna”, disse Nightshade per farsi coraggio. “Kender con le corna.”
Atta ringhiò, e Rhys la zittì.
Chemosh ignorò la cagna e il kender. Lanciò un’occhiata priva di interesse a Rhys. L’attenzione del dio era concentrata su Mina. Chemosh aveva il viso contratto, livido di collera. I suoi occhi scuri erano freddi.
Mina fissò Chemosh da dietro la barricata formata dal bastone del monaco, e Rhys la sentì tremare. La strinse più forte con fare rassicurante.
“Non mi piace quest’uomo”, disse Mina con voce tremula. “Digli di andare via.”
Chemosh si fermò e guardò con occhio furioso la bambina dai capelli rossi che si riparava fra le braccia di Rhys.
“Adesso puoi smetterla con questo tuo giochetto, Mina”, disse Chemosh. “Mi hai fatto apparire sciocco. Hai avuto di che ridere. Adesso torna a casa con me.”
“Io non vado da nessuna parte con te”, ribatté Mina. “Non ti conosco nemmeno. E Goldmoon mi ha detto di non parlare mai con gli sconosciuti.”
“Mina, smettila con queste sciocchezze…” esordì rabbiosamente Chemosh allungando la mano per afferrarla.
Mina sferrò al Signore della Morte un calcio negli stinchi.
Nightshade inspirò, chiuse gli occhi e attese la fine del mondo. Poiché il mondo continuava a esistere, Nightshade socchiuse gli occhi e vide che Rhys aveva tratto Mina dietro di sé, facendole scudo col proprio corpo. Chemosh aveva un’aria estremamente arcigna.
“Stai dando un ottimo spettacolo, Mina, ma io non ho tempo per le recite”, affermò impaziente. “Tu verrai con me e porterai con te gli oggetti sacri che vilmente hai rubato nella Sala del Sacrilegio. Altrimenti fra poco incontrerò i tuoi amici nell’Abisso…”
Una pioggia sferzante soffocò il resto della minaccia di Chemosh. Il cielo si fece nero quanto il suo mantello. Nubi temporalesche ribollivano e fremevano. Arrivò Zeboim con una folata di vento sotto il picchiettio della grandine.
La dea si chinò e offrì la guancia a Mina.
“Dai un bacino a tua zia Ze, mia cara”, disse dolcemente.
Mina seppellì il viso nella veste di Rhys.
Zeboim alzò le spalle e spostò lo sguardo su Chemosh, che la osservava con un’espressione tetra e tonante quanto la tempesta.
“Che cosa vuoi, Sgualdrina del Mare?” domandò.
“Ero preoccupata per Mina”, rispose Zeboim, rivolgendo alla bambina un’occhiata affettuosa. “E tu che ci fai qui, Signore del Putridume?”
“Anch’io ero preoccupato…” cominciò a dire Chemosh.
Zeboim rise. “Preoccupato per come hai mandato all’aria splendidamente le cose? Avevi Mina, avevi la torre, avevi il Solio Febalas, avevi i Prediletti. E hai perso tutto. I tuoi Prediletti sono una catasta orripilante di ceneri oleose depositate sul fondo del Mare di Sangue. La torre ce l’ha mio fratello. Il Dio Supremo si è preso il Solio Febalas. Quanto a Mina, ha detto chiaramente che non vuole più avere a che fare con te”.
Chemosh non aveva bisogno di sentirsi recitare di nuovo la litania delle sue disgrazie. Volse le spalle alla dea e si inginocchiò accanto a Mina, che lo osservava con stupore guardingo.
“Mina, mia cara, per favore ascoltami. Mi dispiace di averti spaventata. Mi dispiace di averti fatto del male. Ero geloso…” Chemosh fece una pausa, poi disse: “Ritorna con me al mio castello, Mina. Mi manchi. Ti amo…”.
“Mina, tesoro mio, non andare da nessuna parte con quest’uomo orribile”, disse Zeboim, spingendo via il Signore della Morte. “Sta mentendo. Non ti ama. Non ti ha mai amata. Ti sta usando. Vieni a vivere con la zietta Ze…”
“Io sto andando a Godshome”, disse Mina prendendo per mano Rhys. “Ed è lontana da qui, per cui noi dobbiamo partire. Andiamo, signor monaco.”
“Godshome”, disse Chemosh dopo un istante di attonito silenzio. “E lontano da qui.” Girò sui tacchi e ritornò al cavallo. Montando in sella, guardò giù verso Rhys da sotto le sopracciglia scure e contratte. “Molto lontano. E la strada è zeppa di pericoli. Non ho dubbi che ti rivedrò presto, monaco.”