Premette i talloni nei fianchi del cavallo e si allontanò con ira. Zeboim lo guardò andarsene, poi si volse di nuovo verso Rhys.
“È davvero lontano, Rhys”, disse Zeboim con un sorriso giocoso. “Starete sulla strada per mesi, forse per anni. Se vivrete così a lungo. Ma adesso che ci penso…”
Zeboim si chinò rapidamente per sussurrare qualcosa all’orecchio di Mina.
Mina ascoltò, inizialmente accigliandosi, poi spalancando gli occhi. “Io ci riuscirei?”
“Certo che sì, bambina.” Zeboim le diede una pacca sulla testa. “Tu puoi fare qualsiasi cosa. Viaggiate sicuri, amici.”
Zeboim rise e allargando le braccia divenne un vento sferzante, che poi si ridusse a una brezza molesta, e la dea, sempre ridendo, si dissolse.
La strada era ormai deserta. Rhys sospirò di sollievo e abbassò il bastone.
“Perché quell’uomo dall’aria stupida voleva che andassi con lui?” domandò Mina.
“Si è sbagliato”, disse Rhys. “Pensava che tu fossi un’altra. Una che lui conosceva.”
Era appena metà pomeriggio, ma Rhys, esausto per la tensione dell’incontro con gli dei e per una giornata trascorsa a sopportare Mina, decise di accamparsi presto. Stesero le coperte accanto a un corso d’acqua che serpeggiava nell’erba alta. Un gruppetto di alberi offriva riparo.
Nightshade recuperò presto la sua vivacità e prese a tormentare Mina perché gli riferisse che cosa le aveva detto la dea. Mina scrollò il capo. Stava riflettendo profondamente su qualcosa. Aveva la fronte corrugata, le labbra increspate. Alla fine si scrollò di dosso quello che la infastidiva e, togliendosi scarpe e calze, andò a giocare nel ruscello. Consumarono un pasto frugale a base di piselli essiccati e carne affumicata, quindi si sedettero attorno al fuoco.
“Voglio vedere la carta geografica che hai disegnato”, disse Mina all’improvviso.
“Perché?” domandò sospettoso Nightshade sbattendo la mano con fare protettivo sopra la sacca.
“Voglio solo guardarla”, ribatté Mina. “Tutti continuano a dirmi che Godshome è tanto lontana. Voglio vedere per conto mio.”
“Te l’ho già mostrata”, disse Nightshade.
“Sì, ma voglio vederla di nuovo.”
“Oh, va bene. Ma vai a lavarti le mani”, ordinò Nightshade estraendo la carta dalla sacca e stendendola sopra la sua coperta. “Non voglio ditate unte qui sopra.”
Mina corse al ruscello per lavarsi le mani e il viso.
Rhys si era steso a terra in tutta la sua lunghezza, riposandosi dopo il pasto. Atta era coricata accanto a lui e gli teneva il mento sul petto. Rhys le accarezzava il pelo e osservava il firmamento. Il sole era in equilibrio precario sul margine del mondo. Il cielo era una miscela di sfumature tenui del crepuscolo, rosa e oro, porpora e arancione. Al di là del tramonto, Rhys percepiva occhi immortali intenti a osservare.
Mina tornò di corsa, a far vedere le mani pulite alla bell’e meglio. Nightshade ancorò la carta geografica con qualche sasso e poi indicò a Mina la strada che dovevano percorrere.
“Qui è dove siamo adesso”, disse.
“E dov’è Flotsam da dove siamo partiti?” domandò Mina.
Nightshade indicò a un capello di distanza.
“Tutto questo camminare e siamo arrivati appena qui!” esclamò Mina, sconvolta e sgomenta.
Si accovacciò accanto alla carta e la studiò, col labbro inferiore in fuori. “Perché dobbiamo andare in tutti questi posti, su e giù e in giro? Perché non possiamo semplicemente andare dritti da qui a qui?”
Nightshade le spiegò che arrampicarsi su montagne altissime era piuttosto difficile e pericoloso, ed era molto meglio girarci attorno. “Peccato che ci siano tante montagne”, soggiunse. “Altrimenti potremmo andare dritti a volo di drago e non ci vorrebbe molto.”
Mina fissò pensosamente il puntino che era Flotsam e il puntino che Nightshade diceva essere Solace, dove avrebbero trovato il suo grande amico Gerard e i monaci di Majere che avrebbero detto loro dove cercare Godshome.
Rhys si era lasciato avvolgere in un piacevole velo di oblio crepuscolare quando fu scosso con forza. Nightshade emise uno stridio.
Rhys balzò su tanto rapidamente che spaventò Atta, la quale guaì seccata.
“Che c’è?”
Nightshade puntò un dito tremante.
La carta geografica non era più una serie di linee e scarabocchi tracciati sul dorso di una vecchia camicia di kender. La carta era un mondo in miniatura, con montagne e specchi d’acqua veri che baluginavano sotto la luce morente, deserti veri spazzati dal vento e paludi melmose.
Così gli dei potevano vedere il mondo, disse fra sé Rhys.
Nightshade strillò di nuovo e all’improvviso il kender stava galleggiando in aria, lieve come il pappo di un cardo. Rhys si sentì farsi lieve, il suo corpo perdere peso e massa, le ossa divenire cave come quelle di un uccello, la carne simile a bolle di sapone. I piedi gli si sollevarono da terra, e lui veleggiò in alto. Atta gli si avvicinò librandosi, con le zampe che penzolavano inerti al di sotto.
“Dritti a volo di drago”, disse Mina.
Rhys rammentò l’episodio in cui avevano sfiorato l’annegamento nella torre. Rammentò i pasticci di carne e la conflagrazione infuocata che aveva consumato i Prediletti, e sapeva che doveva porre fine a tutto questo. Doveva riprendere il controllo della situazione.
“Smettila, Mina!” disse severamente Rhys. “Smettila subito! Mettimi giù immediatamente!”
Mina lo fissò, con gli occhi spalancati che cominciavano a luccicarle di lacrime.
“Subito!” disse Rhys digrignando i denti.
Si sentì farsi pesante e ricadde a terra. Nightshade venne giù come un sasso, atterrando con un tonfo. Atta, una volta giù, sgattaiolò via di fretta andando a rannicchiarsi sotto un albero, il più possibile lontano da Mina.
Mina discese molto lentamente atterrando davanti a Rhys.
“Noi andiamo a Solace a piedi”, disse lui, con la voce che gli tremava per la collera. “Mi capisci, Mina? Non ci andiamo a nuoto né in volo. Ci andiamo a piedi!”
Le lacrime le si riversarono fuori e le colarono lungo le guance. Mina si gettò a terra e prese a singhiozzare.
Rhys tremava. Era sempre stato orgoglioso della propria disciplina ed eccolo lì adesso a sgridare una bambina. All’improvviso provò una profonda vergogna.
“Non intendevo sgridarti, Mina…” esordì stancamente.
“Io volevo solo arrivarci più in fretta!” gridò Mina, sollevando il volto rigato di lacrime e imbrattato di terra. “Non mi piace camminare. È noioso e mi fanno male i piedi! E ci vorrà troppo tempo, un’infinità. Inoltre, zia Zeboim mi ha detto che posso volare”, soggiunse con un fremito e un singulto.
Nightshade assestò a Rhys una gomitata nelle costole. “È davvero molto lontano e volare potrebbe essere alquanto interessante, se è per questo…”
Rhys lo guardò. Nightshade deglutì.
“Ma hai ragione tu, naturalmente. Dobbiamo camminare. È per questo che gli dei ci hanno dato piedi e non ali. Adesso andrò a dormire…”
Rhys si inginocchiò e prese Mina fra le braccia. Lei gli cinse il collo con le braccia e gli singhiozzò sulla spalla. A poco a poco i singhiozzi diminuirono, Mina si acquietò. Rhys, abbassando lo sguardo verso di lei, vide che a forza di piangere si era addormentata. La portò alla coperta che lui le aveva steso su un soffice letto d’erba sotto un albero e la distese lì. Le stava rimboccando addosso un’altra coperta quando Mina si svegliò.
“Buonanotte, Mina”, disse Rhys allungando la mano per scostarle delicatamente i capelli dalla fronte.
Mina gli afferrò la mano e le diede un bacio pieno di rimorso.
“Mi dispiace, Rhys”, disse. Era la prima volta che lo chiamava per nome e non “signor monaco”. “Possiamo andare a piedi. Ma potremmo almeno camminare svelti?” soggiunse lamentosa. “Credo di dovere raggiungere Godshome in fretta.”