Chemosh aveva impartito a Krell istruzioni specifiche di perquisire il corpo del monaco e portargli qualunque oggetto avesse addosso. Krell aveva domandato a bruciapelo che cosa stesse cercando Chemosh. Il dio era stato evasivo. Krell dedusse che il monaco portasse con sé qualcosa di prezioso. Krell cercò di immaginare di che cosa potesse trattarsi (un tesoro prezioso per un dio) e alla fine stabilì che dovessero essere gioielli. Chemosh probabilmente voleva regalarli a Mina.
“E perché dovrebbe riceverli lei e non io?” si domandò Krell. “Io eseguo tutti i lavori sporchi del mio padrone, e in cambio ottengo ben poca gratitudine. Nient’altro che insulti. Non vuole nemmeno trasformarmi di nuovo in cavaliere della morte. Se devo essere un uomo vivo, voglio essere un uomo vivo e ricco. Terrò per me i gioielli.”
Essendo questa la sua decisione, Krell non poteva consentire a nessuno (per esempio a questa sacerdotessa somma e potente) di essere testimone della morte del monaco. Un bel luogo tranquillo come un tempio era la scena perfetta per l’assassinio. Krell aveva già pianificato che cosa avrebbe fatto col denaro. Sarebbe ritornato al Bastione della Tempesta. Anche se Krell non avrebbe mai pensato di dire una cosa del genere, era giunto ad avere nostalgia del luogo in cui aveva trascorso tanti anni felici da morto vivente. Avrebbe riportato all’antica gloria il Bastione della Tempesta, avrebbe assunto dei delinquenti come guardiani e avrebbe trascorso i suoi giorni a terrorizzare la costa settentrionale di Ansalon.
“Krell? Mi stai ascoltando?” domandò la sacerdotessa.
“No”, disse Krell scontroso.
“Quello che stavo dicendo è importante. Se questa Mina è una dea come afferma Chemosh, come prevedi di rapirla? A me pare più probabile”, soggiunse aspramente la sacerdotessa, “che sia lei a rapire te, o forse semplicemente ad appenderti al soffitto”.
La sacerdotessa aveva superato i quarant’anni, era alta per essere una donna ed era estremamente magra. Aveva un volto sparuto, occhi sporgenti e labbra sottili, e non era minimamente impressionata da Ausric Krell.
“Se Sua Signoria avesse voluto farti conoscere i suoi progetti, te l’avrebbe detto, signora”, rispose Krell con un ghigno.
“Sua Signoria me l’ha detto, in effetti”, rispose freddamente la sacerdotessa. “Sua Signoria mi ha detto di chiedere a te. Forse dovrei rammentarti che tu conti sul fatto che i miei sacerdoti e seguaci rischino la vita per assisterti in questa impresa. Io devo essere informata di ciò che hai pianificato.”
Se Krell fosse stato un cavaliere della morte, le avrebbe spezzato quel collo scarno e rinsecchito quasi fosse un ramoscello altrettanto scarno e rinsecchito. Lui però non era più un cavaliere della morte, e lei era stata fra i primi convertiti di Chemosh. I suoi poteri malefici erano formidabili.
“Se proprio devi saperlo, intendo usare queste contro Mina”, affermò Krell estraendo due sferette di ferro intersecate da lamine d’oro. “Sono magiche. Gliene lancerò una. Quando la sfera la colpisce, le lamine d’oro si staccano e le legano le braccia ai fianchi. Rimarrà immobilizzata. Io la prendo su e la porto via.”
La sacerdotessa si mise a ridere: una risata stridula simile a dita scheletriche intente ad artigliare una lavagna.
“Questa bambina è una dea, Krell!” disse la sacerdotessa, quando riuscì a parlare. La bocca senza labbra le si contrasse. “La magia non avrà alcun effetto su di lei. Tanto varrebbe legarle le braccia con ghirlande di margherite!”
“Tu ne sai davvero tanto”, ribatté stizzito Krell. “Questa Mina non sa di essere una dea. Secondo Nuitari, se Mina vede qualcuno che crea un incantesimo magico contro di lei, ne cade vittima.”
“Stai dicendo che è soggetta al potere di suggestione?” domandò scettica la sacerdotessa.
Krell non era sicuro di stare dicendo questo o no, poiché non aveva idea di che cosa intendesse la sacerdotessa.
“Tutto quello che so è che il mio signore Chemosh mi ha detto che funzionerà”, rispose Krell con tono scontroso. “Se vuoi, puoi vedertela con lui.”
La sacerdotessa rivolse a Krell uno sguardo furioso, poi si alzò altezzosamente e uscì dalla sala a grandi passi. Poco dopo, la spia inviò al tempio un messaggio per riferire che Mina, accompagnata da un kender e da un cane, si trovava nella Via dei Templi.
“È ora di prendere posizione”, disse Krell.
5
Rhys raccontò all’abate la sua storia dall’inizio alla fine, partendo da quando era arrivato al monastero il suo povero fratello, e proseguendo fino al termine, quando Mina li aveva condotti da Flotsam a Solace in una giornata. Rhys guardava la luce solare che balenava sul lontano albero di vallen e raccontava la sua storia con semplicità, senza abbellimenti. Confessò liberamente le proprie colpe, accennò appena alle sue tribolazioni e sottolineò l’amicizia, l’aiuto e la fedeltà di Nightshade. Disse tutto ciò che sapeva riguardo a Mina.
L’abate ascoltò la storia del monaco senza interruzioni, rimanendo calmo e composto. Di quando in quando si toccava con le dita la cicatrice sul dorso della mano e talvolta, specialmente quando Rhys parlava di Nightshade, l’abate sorrideva.
Finalmente Rhys sospirando giunse al termine del suo racconto. Chinò il capo. Si sentiva stremato come se l’avessero spremuto.
Finalmente l’abate si scosse e parlò: “Il tuo è un racconto mirabile, fratello Rhys Mason. Devo confessare che lo troverei difficile da credere se non ne fossi stato coinvolto anch’io”. Di nuovo si passò la mano sulla cicatrice. “Sia lode a Majere per la sua saggezza.” “Sia lode a Majere”, ripeté sottovoce Rhys.
“E così, fratello”, disse l’abate, “hai promesso di portare questa dea bambina a Godshome”.
“Sì, eccellenza, e non so come fare. Non so come trovare Godshome. Non so nemmeno dove cominciare a cercare, tranne il fatto che secondo la leggenda è ubicata da qualche parte sui Monti Khalkist.”
“Hai considerato la possibilità che forse Godshome non esista affatto?” suggerì l’abate. “Alcuni pensano che Godshome sia il simbolo della fine del viaggio spirituale che ogni mortale intraprende quando apre gli occhi alla luce del mondo.”
“Voi ci credete, eccellenza?” domandò Rhys, turbato. “Se è vero, che devo fare io? Gli dei rivaleggiano per Mina, ciascuno vuole portarla dalla sua parte. Io sono stato avvicinato da Chemosh e da Zeboim. Lo sceriffo mi ha detto della sommossa di questa mattina nella Via dei Templi. La disputa in cielo ricade come una pioggia tossica sulla terra. Noi potremmo essere invischiati in un’altra Guerra delle Anime.”
“È questo il motivo per cui tu rischi la vita e intraprendi un lungo viaggio per portarla in un luogo che potrebbe anche non esistere, fratello?”
L’abate non lasciò a Rhys il tempo di rispondere, ma fece seguire la domanda da un’altra: “Perché pensi che la dea bambina sia venuta da te?”.
La domanda fece sobbalzare Rhys. Rimase in silenzio per un attimo, riflettendoci sopra. Alla fine disse: “Forse perché anch’io so come ci si sente a trovarsi smarriti, soli e raminghi nel buio di una notte infinita. Anche se”, soggiunse Rhys con tono afflitto, “pare che tutto ciò che ha ottenuto Mina venendo da me sia che adesso siamo smarriti e raminghi in due”.
L’abate sorrise. “Non sembrerà granché, però potrebbe essere tutto. E per rispondere alla tua domanda, fratello, io credo veramente che Godshome sia un luogo reale, un luogo che gli esseri mortali possano visitare. Ho letto il resoconto di Tanis Mezzelfo, uno degli Eroi delle Lance. Lui e i suoi compagni visitarono Godshome, anche se per quanto io mi rammenti lui afferma di non ricordare come raggiunsero quel luogo e nemmeno pensa di poterlo mai ritrovare. Lui e i suoi amici furono condotti lì da un mago di nome Fizban che era in verità Paladine…”
La voce dell’abate si smorzò quando gli venne in mente un pensiero improvviso.
“Paladine…” mormorò.