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“State pensando a Valthonis”, disse Rhys, sentendosi ridestare la speranza. “Ritenete che possa conoscere la strada, eccellenza?”

“Quando Paladine si sacrificò per preservare l’equilibrio, assunse su di sé il pesante fardello della mortalità”, rispose l’abate. “Non ebbe più poteri divini. La sua mente è quella di un mortale, eppure è un mortale che un tempo era un dio e questo lo rende più saggio di quasi tutti noi. Se vi è qualcuno su Krynn in grado di guidare te e Mina a Godshome, sì, questo sarebbe il Dio che Cammina.”

“Valthonis è noto come Dio che Cammina perché non rimane mai a lungo nello stesso posto. Chissà dove si trova adesso?”

“In realtà”, disse l’abate, “io lo so. Diversi nostri sacerdoti hanno scelto di viaggiare con Valthonis, come fanno molti altri. Quando i nostri fratelli per caso incontrano qualcuno del nostro Ordine, mi fanno avere delle relazioni. Ho avuto notizie di uno di loro proprio la scorsa settimana, e mi diceva che Valthonis e i suoi seguaci erano diretti a Neraka”.

Rhys si alzò, rinvigorito, rinnovato. “Grazie, eccellenza. Non sono sicuro che sia opportuno incoraggiare Mina a usare i suoi poteri miracolosi, ma in questo caso ritengo di poter fare un’eccezione. Potremmo essere a Neraka all’imbrunire…”

“Sei ancora un uomo molto impetuoso, fratello Rhys”, osservò l’abate con un lieve rimprovero. “Hai dimenticato le tue lezioni di storia sulla Guerra delle Anime, fratello?”

Era la seconda volta che Rhys si sentiva domandare delle lezioni di storia. Non riusciva a capire che cosa intendesse l’abate.

“Temo di non capire, eccellenza…”

“Al termine della guerra, quando gli dei avevano recuperato il mondo scoprendo il grande crimine di Takhisis, giudicarono che la dea dovesse essere resa mortale. Per preservare l’equilibrio, affinché gli Dei del Bene avessero un numero pari agli Dei del Male, Paladine si sacrificò, divenne mortale a sua volta. Sotto i suoi occhi, l’elfo Silvanoshei uccise Takhisis, che morì fra le braccia di Mina, e Mina incolpò Paladine della dipartita della sua Regina. Stringendo il corpo della sua Regina, Mina promise solennemente di uccidere Valthonis.”

Rhys si accasciò sulla sedia, vedendo svanire le sue speranze. “Avete ragione, eccellenza. L’avevo dimenticato.”

“Il Dio che Cammina ha guerrieri elfi che lo proteggono”, suggerì l’abate.

“Mina potrebbe uccidere un esercito pestando un piede”, disse Rhys. “Questa è un’amara ironia! L’unica persona che possa dare a Mina ciò che desidera di più a questo mondo è l’unica persona di questo mondo che lei abbia giurato di uccidere.”

“Tu dici che sotto forma di bambina sembra non rammentare il suo passato. Non ha riconosciuto il Signore della Morte. Forse non riconoscerà Valthonis.”

“Forse”, disse Rhys. Stava pensando alla torre, ai Prediletti, e a come Mina, costretta a fronteggiarli, era stata obbligata ad affrontare se stessa. “La domanda è: rischiamo la vita di Valthonis contando sulla probabilità che lei non se lo rammenti? Da quanto ho sentito dire, Valthonis è riverito e amato dovunque vada. Ha fatto un gran bene nel mondo. Ha negoziato la pace fra nazioni che erano in guerra. Ha dato speranza a chi era disperato. Anche se il suo volto non ha più lo splendore radioso del dio, comunque lui apporta luce alle tenebre dell’umanità. Dobbiamo rischiare di distruggere una persona di tale valore?”

“Mina è figlia degli Dei della Luce”, disse l’abate, “nata nella gioia del momento della creazione. Ora è smarrita e spaventata. Ogni genitore non sarebbe forse contento di ritrovare la figlia perduta e riportarla a casa, anche a costo della sua stessa vita? Il rischio c’è, fratello, ma io ritengo che Valthonis sarebbe disposto a correrlo”.

Rhys scrollò il capo. Non ne era sicuro. Vi era per lui la possibilità di trovare Godshome da solo. Altri ce l’avevano fatta. Certo, Tanis Mezzelfo viaggiava in compagnia di una divinità, ma d’altronde anche Rhys.

Cercava di pensare a come spiegare i propri dubbi quando vide lo sguardo dell’abate spostarsi verso la porta, dove uno dei sacerdoti di Majere si trovava in silenzio all’ingresso, attendendo con pazienza di attirare l’attenzione dell’abate.

“Eccellenza”, disse il sacerdote, inchinandosi, “perdonatemi se vi disturbo, ma due ospiti chiedono di fratello Rhys. Uno è un kender e sembra particolarmente ansioso di parlare col nostro fratello”.

“La nostra faccenda è conclusa, vero, fratello?” disse l’abate, alzandosi. “Oppure c’è qualcos’altro che io possa fare per te?”

“Mi avete dato tutto quanto mi servisse e molto di più, eccellenza”, rispose sinceramente Rhys. “Vi chiedo ora soltanto la vostra benedizione per il viaggio difficile che ci attende.”

“Con tutto il cuore, fratello”, disse l’abate. “Hai la benedizione di Majere e la mia. Andrai a cercare Valthonis?” domandò, mentre Rhys stava per allontanarsi.

“Non lo so, eccellenza”, disse Rhys. “Devo tenere conto di due vite: quella di Valthonis e quella di Mina. Temo che le conseguenze di un tale incontro possano essere terribili per entrambi.”

“Sta a te la scelta, fratello”, disse solennemente l’abate, “ma ti rammento l’antico detto: “Se ti guida la paura, non uscirai mai di casa”.

6

Nightshade, Mina e Atta furono accolti nel tempio di Majere da uno dei sacerdoti, che li salutò con solenne cortesia. Ogni visitatore del tempio di Majere veniva accolto con cortesia, nessuno veniva mai mandato via. Tutto ciò che i sacerdoti chiedessero era che gli ospiti parlassero a bassa voce, per non disturbare le meditazioni dei fedeli. I sacerdoti stessi parlavano a voce bassa, attutita. I visitatori che provocassero rumore o scompiglio venivano invitati educatamente ad andarsene. Raramente vi erano problemi, poiché la serenità mirabile del tempio era tale per cui tutti entrando percepivano un senso di tranquillità.

Perfino i kender erano i benvenuti, cosa che compiacque Nightshade.

“I kender sono i benvenuti in pochissimi luoghi”, disse al sacerdote.

“Vi serve qualcosa?” domandò il sacerdote.

“Solo il nostro amico Rhys”, rispose Nightshade. “Siamo d’accordo di incontrarci qui.” Lanciò un’occhiata di traverso a Mina e con tono eloquente disse: “Se poteste chiedergli di affrettarsi, ve ne sarei grato”.

“Il fratello Rhys è a colloquio con sua eccellenza”, disse il sacerdote. “Gli dirò che siete qui. Nel frattempo, posso offrirvi da mangiare o da bere?”

“No, grazie, fratello, ho appena fatto colazione. Bè, forse potrei mangiare qualcosina”, rispose Nightshade.

Mina scrollò il capo silenziosamente. Pareva improvvisamente timida, poiché se ne stava con la testa china, lanciando occhiate all’ambiente circostante da sotto le palpebre abbassate. Era pulita, spazzolata e vestita graziosamente con un bell’abito lungo con i bottoni di madreperla sulla schiena e maniche lunghe e attillate. Pareva l’immagine stessa della schiva figlia del mercante, anche se non recitava questa parte. Le sue marachelle alla taverna e poi lungo la strada verso il tempio avevano quasi fatto impazzire Nightshade.

Mina si era stancata di fare il pane e Laura l’aveva mandata fuori a giocare. Una volta fuori della taverna, Mina aveva schivato le guardie ed era schizzata su per le scale fino in cima all’albero, costringendo Nightshade e un paio di guardie a rincorrerla per farla scendere. Ritornati a terra per mettersi in cammino, Mina aveva preso a pestare i talloni a Nightshade cercando di fargli lo sgambetto, e gli mostrava la lingua quando lui la rimproverava.

Stancandosi presto di importunare Nightshade, aveva stuzzicato Atta, tirandole la coda e gli orecchi, finché la cagna aveva perso la pazienza e l’aveva morsa. I denti della cagna le avevano appena scalfito la pelle, ma Mina aveva strillato come fosse stata stritolata dai lupi, inducendo tutti in strada a fermarsi a guardare. Sgraffignò una mela da un carretto, poi diede la colpa a Nightshade, provocando la reazione di un’anziana signora che era sorprendentemente vigorosa per la sua età e aveva nocche straordinariamente spigolose. Nightshade si stava ancora strofinando la testa dolorante dopo quell’incontro. Quando raggiunsero il tempio, il kender era ormai esasperato e non vedeva l’ora di consegnare Mina a Rhys.