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E qui, nel sancta sanctorum, ci sono i tre uomini che contano i soldi, e le guardie di sicurezza che li sorvegliano e portano i soldi avanti e indietro; e poi c’è un’altra persona. Il suo abito grigio scuro è impeccabile, anche i capelli sono scuri, è ben rasato e sia il suo volto sia il suo atteggiamento risultano in ogni senso facili da dimenticare. Nessuno degli altri si è accorto della sua presenza e se l’hanno notato l’hanno dimenticato immediatamente.

Quando si arriva alla fine del turno si aprono le porte e l’uomo con l’abito grigio esce dalla stanza e si avvia con gli agenti di sicurezza lungo i corridoi; i passi risuonano ovattati sui tappeti con il monogramma. Le casseforti con il denaro vengono spinte sui carrelli fino a un’area di carico interna dove sono trasferite su furgoni blindati. Quando il cancello della rampa si spalanca per permettere ai veicoli blindati di immettersi nelle strade di Las Vegas all’alba, l’uomo con l’abito grigio varca la soglia senza essere visto, salta sulla rampa e arriva al marciapiede. Non si degna nemmeno di alzare lo sguardo, alla sua sinistra, verso l’imitazione di New York.

Las Vegas è diventata l’interpretazione onirica di una città uscita da un libro di fiabe: qui un castello tratto da un racconto per bambini, lì una piramide nera con la sfinge e luci bianche che fendono l’oscurità come il raggio di un Ufo in manovra d’atterraggio, e dappertutto oracoli al neon e schermi rotanti su cui scorrono messaggi di felicità e fortuna, annunci di cantanti, attori e maghi che si esibiscono stabilmente o in tournée, e luci che scintillano invitanti. Ogni ora un vulcano ha un’eruzione di luci e fiamme. Ogni ora una nave pirata affonda una nave da guerra.

L’uomo in grigio cammina lentamente, a suo agio sui marciapiedi, e sente il denaro fluire per la città. Durante l’estate le strade sono roventi, e passando davanti ai negozi l’impianto di aria condizionata soffia una ventata d’inverno nel clima tropicale che gli ghiaccia il sudore sulla faccia. Adesso, nell’inverno desertico, tira un vento secco che gli piace. Nella sua mente il movimento del denaro forma una delicata struttura reticolare, una specie di ripiglino tridimensionale di luce e movimento. Ciò che lo incanta di questa città nel deserto è la velocità, il modo in cui il denaro si sposta da un punto all’altro e passa di mano in mano: per lui è come uno sballo, l’effetto di una droga che lo spinge, come un tossicomane, a scendere per strada.

Un taxi lo segue a passo d’uomo, a debita distanza. Lui non se ne accorge; non gli viene neanche in mente; ci si accorge così di rado di lui che l’idea di poter essere seguito gli risulta quasi inconcepibile.

Sono le quattro del mattino ed è attirato da un albergo con casinò passato di moda da trent’anni, ancora aperto per un giorno o per sei mesi, fino a quando non lo faranno implodere, non lo abbatteranno per costruire al suo posto un palazzo di divertimenti e dimenticarlo per sempre. Nessuno lo conosce, nessuno si ricorda di lui, ma il bar dell’albergo è sciatto e tranquillo e il fumo delle sigarette ha colorato l’aria d’azzurro e a un piano di sopra c’è qualcuno che in una saletta privata sta per perdere parecchi milioni di dollari a poker. L’uomo in grigio prende posto al bar molti piani sotto, ignorato dalla cameriera. Risuonano subliminali le note di una versione filodiffusa di Why Can’t He Be You? Cinque imitatori di Elvis Presley, ciascuno con una tuta da paracadutista di diverso colore, guardano alla Tv una partita di calcio in differita notturna.

Un uomo grande e grosso con un vestito chiaro siede al tavolo dell’uomo in grigio; vedendolo, la cameriera che non ha notato l’uomo in grigio ed è troppo magra per essere considerata bella, troppo palesemente anoressica per lavorare al Luxor o al Tropicana e che conta i minuti che mancano alla fine del turno, si avvicina al tavolo con un sorriso. L’uomo in chiaro ricambia con un sorriso ancora più cordiale: «Stasera sei bellissima, mia cara, un bello spettacolo per questi poveri vecchi occhi», e lei, avvertendo la possibilità di una buona mancia, sorride con molto calore. L’uomo vestito di chiaro ordina un Jack Daniel’s per sé e un Laphroaig con un bicchiere d’acqua per l’uomo in grigio che gli siede accanto.

«Sai» dice l’uomo vestito di chiaro quando arriva il whiskey, «il più bel verso poetico nella storia di questo maledetto paese è stato pronunciato da Canada Bill Jones nel 1853, a Baton Rouge, mentre al tavolo di una partita di faraone truccata veniva derubato fino alle mutande. George Devol, che come Canada Bill non era un uomo incapace di sgamare l’inganno, prese in disparte Bill e gli chiese se non si fosse reso conto che stavano barando. Canada Bill sospirò, scrollò le spalle e disse: "Lo so. Ma è l’unico tavolo da gioco della città". E tornò a farsi spennare.»

Due occhi scuri fissano con sospetto l’uomo vestito di chiaro. L’uomo in grigio replica qualcosa. L’uomo vestito di chiaro, che ha una barba rossiccia che sta incanutendo, scuote la testa.

«Senti» dice, «mi dispiace per quello che è successo nel Wisconsin. Ma vi ho portati tutti in salvo, non è vero? Nessuno si è fatto male.»

L’uomo in grigio sorseggia il Laphroaig allungato con l’acqua assaporandone il gusto torbato. Fa una domanda.

«Non so. Sta succedendo tutto più in fretta del previsto. Sono tutti eccitati per il ragazzo che ho assunto per fare i lavori pesanti… l’ho lasciato fuori, aspetta in taxi. Ci stai sempre?»

L’uomo in grigio risponde.

L’uomo con la barba scuote la testa. «Non la si vede da duecento anni. Se non è morta è uscita di scena.»

Viene detto altro.

«Senti» dice l’uomo con la barba trangugiando d’un fiato ciò che resta del Jack Daniel’s, «tu sei con noi, cerca di essere presente quando avremo bisogno e io mi prenderò cura di te. Che cosa vuoi? Del soma? Te ne posso procurare una bottiglia. Di quello vero.»

L’uomo in grigio lo fissa. Poi annuisce con riluttanza e fa un commento.

«Certo che sì» risponde l’uomo con la barba con un sorriso tagliente come una lama. «Che cosa credi? Mettiamola in questo modo: è l’unico tavolo da gioco della città.» Tende una delle sue manone grandi come zampe e stringe la mono ben curata dell’altro. Se ne va.

La cameriera magra si avvicina perplessa; adesso al tavolo d’angolo c’è un uomo solo, un uomo vestito con un abito grigio scuro molto elegante. «Tutto a posto?» chiede. «Il suo amico ritornerà?»

L’uomo in grigio sospira e spiega che il suo amico non tornerà e quindi lei non sarà pagata per il suo tempo e le sue attenzioni. E poi, vedendo che l’ha ferita e provando pietà per lei esamina i fili d’oro nella sua mente, osserva la matrice, segue il denaro fino a quando non individua un nodo e le dice che se alle sei in punto si troverà davanti al Treasure Island, trenta minuti dopo la fine del suo turno al bar, incontrerà un oncologo di Denver che ha appena vinto quarantamila dollari ai dadi e che ha bisogno di un mentore, di una socia, di qualcuno che lo aiuti a spenderli nelle quarantott’ore che mancano al suo ritorno a casa.