Le parole evaporano nella mente della cameriera ma la lasciano felice. Sospira quando si accorge che i tizi del tavolo d’angolo se ne sono andati senza pagare e senza nemmeno lasciarle la mancia. Le viene in mente che invece di tornare subito a casa, quando avrà finito di lavorare, quella sera andrà al Treasure Island; ma se le si chiedesse perché, mai e poi mai potrebbe spiegarlo.
«Chi era il tipo che hai incontrato?» chiese Shadow mentre attraversavano il salone dell’aeroporto di Las Vegas. C’erano slot machine anche lì. A quell’ora del mattino c’era già gente che le stava rimpinzando di monete. Shadow si domandò se ci fosse qualcuno che non usciva mai dall’aeroporto, che scendeva dall’aereo, percorreva la pista, entrava nell’edificio e si fermava lì, intrappolato dalle immagini rotanti e dalle luci abbaglianti fino a quando non aveva infilato l’ultimo quarto di dollaro nelle macchinette e poi, a tasche vuote, tornava sui propri passi e prendeva il volo che l’avrebbe riportato a casa.
E a quel punto si accorse di essersi distratto proprio mentre Wednesday gli spiegava chi era l’uomo in grigio che avevano seguito col taxi: non aveva sentito.
«Comunque ci sta» disse Wednesday. «Anche se mi costerà una bottiglia di soma.»
«Cos’è?»
«È una bevanda.» Si avvicinarono a piedi all’aeroplano: oltre a loro a bordo c’erano soltanto tre industriali che dovevano essere di ritorno a Chicago prima dell’inizio della giornata di lavoro.
Wednesday si accomodò e ordinò un Jack Daniel’s. «La mia gente vede la vostra gente…» esitò «è come con le api e il miele. Ogni ape produce una gocciolina minuscola di miele e ci vogliono migliaia di api, forse milioni, che lavorano tutte insieme, per riempire il vasetto di miele che metti sul tavolo della colazione. Ora immagina di non poter mangiare altro che miele. Per la mia gente è così… noi ci nutriamo di fede, preghiere, amore.»
«E il soma è…»
«Per riprendere l’analogia, il soma è un vino ricavato dal miele. Come l’idromele.» Ridacchiò. «È una bevanda inebriante. Preghiere e fede concentrate in un succo potente.»
Volavano sopra il Nebraska intenti a mangiare un’enorme colazione quando Shadow disse: «Mia moglie».
«La morta.»
«Laura. Non vuole essere morta. Me l’ha detto lei. Dopo avermi salvato dai tizi sul treno.»
«Il gesto di una brava moglie. Liberarti dall’orrenda prigionia e uccidere chi voleva farti del male. Dovresti tenerla da conto, nipote Ainsel.»
«Lei vuole tornare viva come prima. Possiamo farlo? Si può?»
Wednesday rimase in silenzio così a lungo che Shadow cominciò a chiedersi se avesse sentito la domanda o se per caso non si fosse addormentato con gli occhi aperti. Poi, guardando fisso davanti a sé, parlò: «Conosco l’incantesimo che cura il dolore e la malattia, e libera il cuore da ogni pena.
«L’incantesimo che con un gesto risana.
«L’incantesimo che paralizza i nemici e ne neutralizza le armi.
«L’incantesimo che mi libera da ogni laccio e prigionia.
«Il quinto: posso acchiappare al volo una freccia senza ferirmi.»
Parlava a voce bassa, con urgenza. Non c’era più nessuna traccia del suo solito tono prepotente né di sarcasmo. Wednesday parlava come se stesse recitando la formula di un rito, o come se ricordasse qualcosa di oscuro e doloroso.
«Il sesto: i malefici contro di me si ritorceranno contro chi li ha scagliati.
«Il settimo: posso spegnere il fuoco con un’occhiata.
«L’ottavo: se un uomo mi odia, posso farmelo amico.
«Il nono: so placare il vento e calmare la tempesta il tempo necessario a portare una nave in salvo.
«Questi sono i nove incantesimi che imparai per primi. Io, che fui impiccato all’albero per nove notti complete, ferito nel fianco dalla punta di una lancia, ondeggiai all’albero battuto dai venti, senza cibo e senz’acqua, sacrificato a me stesso, e i mondi si spalancarono sotto di me.
«Con il decimo incantesimo imparai a scacciare le streghe, a farle roteare nei cieli in modo che non ritrovassero più la strada di casa.
«L’undicesimo: se canto quando infuria la battaglia il fuoco e l’acciaio nulla possono contro i miei guerrieri che torneranno sani e salvi al focolare.
«Un dodicesimo incantesimo conosco: se vedo un uomo impiccato posso staccarlo dall’albero per fargli sussurrare tutto ciò che ricorda.
«Il tredicesimo: se spruzzo dell’acqua sulla testa di un bambino egli non cadrà in battaglia.
«Il quattordicesimo: conosco i nomi di tutti gli dèi. Uno per uno.
«Quindicesimo: ho un sogno di potere, gloria, e saggezza, e posso fare in modo che la gente creda ai miei sogni.»
Adesso parlava a voce talmente bassa che Shadow dovette sforzarsi per distinguere le sue parole sopra il frastuono del motore.
«Il sedicesimo: se ho bisogno d’amore posso conquistare la mente e il cuore di ogni donna.
«Il diciassettesimo: nessuna donna da me desiderata desidererà mai un altro.
«E conosco il diciottesimo, l’incantesimo più potente di tutti, e di quest’incantesimo non parlerò a nessuno, perché un segreto che nessuno conosce oltre a te è il segreto più potente che esista.»
Sospirò e tacque.
Shadow aveva la pelle d’oca. Era come se avesse appena visto una porta spalancarsi su un altro luogo, un posto lontano molti mondi dove gli impiccati oscillavano al vento a ogni crocicchio, e nottetempo le streghe si alzavano in volo lanciando strida.
«Laura» si limitò a dire.
Wednesday girò la testa e fissò Shadow nei suoi occhi chiari. «Non posso farla tornare in vita. Non so nemmeno perché non sia completamente morta come dovrebbe.»
«Credo di essere stato io» disse Shadow. «È stata colpa mia.»
Wednesday inarcò un sopracciglio.
«Mad Sweeney mi ha dato una moneta d’oro, la prima sera, quando mi ha fatto vedere il trucco. Da quanto ho capito deve avermi dato la moneta sbagliata. Era più potente del previsto e io l’ho regalata a Laura.»
Wednesday emise un grugnito, abbassò il mento sul petto e aggrottò la fronte. Poi si riappoggiò allo schienale. «In questo caso sì, può essere successo. E comunque no, non sono in grado di aiutarti. Quello che fai nel tuo tempo libero ovviamente è affar tuo.»
«Che cosa vorrebbe dire?»
«Vuol dire che non ti posso impedire di dare la caccia alle pietre aquiline e agli uccelli del tuono. Anche se preferirei infinitamente di più che trascorressi le tue giornate tranquillo e appartato a Lakeside, lontano da sguardi e, spero, da menti indiscrete. Quando le cose si metteranno male avremo bisogno di tutte le braccia disponibili.»
Mentre parlava aveva un’aria molto vecchia e fragile, la sua pelle sembrava quasi trasparente e la carne, sotto la pelle, era grigiastra.
Shadow provò il forte desiderio di allungare una mano e posarla sulla mano grigia di Wednesday. Avrebbe voluto dirgli che tutto si sarebbe risolto per il meglio, una cosa che non credeva, ma che andava detta. Là fuori c’erano uomini dentro treni neri. C’era un ragazzo grasso in una lunga limousine e gente della televisione animata da cattive intenzioni.
Non lo toccò. Non gli disse niente.
Più tardi si chiese se avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi, se quel gesto sarebbe servito a qualcosa, se magari avrebbe potuto allontanare il male che li attendeva. Si rispose che non sarebbe bastato. Sapeva che non sarebbe servito a niente. Tuttavia, dopo, rimpianse che su quel lento volo di ritorno a casa non avesse, anche solo per un istante, sfiorato la mano di Wednesday con la sua.
La breve luce invernale stava già scomparendo quando Wednesday lasciò Shadow davanti a casa. La temperatura, quando aprì la portiera, paragonata al clima di Las Vegas sembrava ancora più da fantascienza.
«Stai lontano dai guai» disse Wednesday. «Fai poco chiasso e non dare nell’occhio.»