«Tutto contemporaneamente?»
«Non fare lo spiritoso con me, ragazzo. A Lakeside puoi passare inosservato. Ho dovuto chiedere un grande favore per tenerti qui al sicuro. In qualsiasi altra città ti scoverebbero nel giro di pochi minuti.»
«Starò buono e mi terrò alla larga dai guai.» Shadow lo pensava davvero. Di guai ne aveva avuti più che a sufficienza ed era pronto a farne a meno. «Quando torni?» chiese.
«Presto» rispose Wednesday. Diede gas alla Lincoln, chiuse il finestrino e ripartì nella notte gelida.
11
Tre uomini possono tenere un segreto, se due di loro sono morti.
Passarono tre giornate molto fredde. Il termometro non salì mai sopra i meno venti nemmeno a mezzogiorno. Shadow si chiedeva in quanti sopravvivessero a un tempo simile prima dell’elettricità, prima delle maschere e della biancheria di materiale termico, prima dei viaggi facili.
Era nel negozio di video, canne da pesca ed esche, e Hinzelmann gli stava mostrando le mosche fatte a mano per la pesca alla trota. Erano più interessanti di quel che aveva immaginato: colorate imitazioni della realtà, costruite con piume e filo, ciascuna con un amo celato all’interno.
Lo domandò a Hinzelmann.
«Vuoi sapere la verità?»
«La verità».
«Be’» disse il vecchio, «a volte non sopravvivevano all’inverno, e morivano. Camini malfunzionanti, stufe con una cattiva ventilazione ed escursioni termiche ne uccidevano almeno quanti ne uccideva il freddo. Erano tempi duri e la gente passava l’estate e l’autunno ad ammucchiare provviste e scorte di legna. La cosa peggiore era la follia. L’ho sentito alla radio, dicevano che è una cosa legata alla mancanza di luce, perché in inverno non ce n’è abbastanza. Mio padre diceva che la gente dava fuori di matto, la chiamavano pazzia invernale. A Lakeside non è mai stato grave, ma alcune città qui intorno se la sono vista brutta. Quand’ero bambino era ancora comune un modo di dire: se la domestica non ha cercato di ucciderti entro febbraio, significa che non ha spina dorsale.
«I libri di storie valevano oro; qualsiasi cosa da leggere era considerata un tesoro, prima che ci fosse una biblioteca pubblica. Quando mio nonno ricevette un libro da suo fratello in Baviera, tutti i tedeschi si incontrarono nel municipio per sentirglielo leggere, e i finnici e gli irlandesi e tutti gli altri si facevano poi raccontare le storie dai tedeschi.
«A trenta chilometri da qui, a Jibway, trovarono una donna completamente nuda che camminava con un bambino morto al seno, e non permise a nessuno di prenderglielo.» Scosse la testa con aria meditativa e chiuse l’armadietto delle esche con un clic. «Brutta storia. Vuoi una tessera per il noleggio delle videocassette? Prima o poi apriranno un Blockbuster e noi chiuderemo. Per il momento abbiamo ancora una bella scelta di titoli.»
A Shadow tornò in mente che Hinzelmann non aveva né televisore né videoregistratore. Gli piaceva la sua compagnia: le reminiscenze, le storie, il sorriso da folletto. Le cose si sarebbero messe in modo strano però se Shadow avesse ammesso di sentirsi a disagio in presenza di un televisore da quando qualcuno aveva iniziato a parlargli dallo schermo.
Hinzelmann rovistò in un cassetto e ne estrasse una scatola di latta, sembrava una vecchia scatola natalizia, di quelle che contengono cioccolatini o biscotti: un Babbo Natale screziato con un vassoio pieno di bottiglie di Coca-Cola sorrideva dal coperchio. Hinzelmann lo aprì mettendo in mostra un quaderno e blocchetti di biglietti bianchi e disse: «Quanti ne vuoi?».
«Quanti di cosa?»
«Biglietti della bagnarola. Oggi la mettiamo sul lago, perciò è cominciata la vendita dei biglietti. Ogni biglietto costa cinque dollari, se ne prendi dieci spendi quaranta, venti costano settantacinque. Un biglietto ti dà diritto a cinque minuti. Ovviamente non è detto che andrà giù proprio nei tuoi cinque, ma quello che ci va più vicino vince cinquecento testoni, e se va giù proprio nei tuoi cinque minuti ne vinci mille. Prima comperi i biglietti e più hai possibilità di scelta. Vuoi vedere il foglietto informativo?»
«Certo.»
Hinzelmann gli tese un foglio fotocopiato. La bagnarola era una vecchia macchina privata del motore e del serbatoio della benzina che veniva lasciata sul lago ghiacciato per tutto l’inverno. A un certo momento della primavera il ghiaccio cominciava a sciogliersi e quando diventava troppo sottile per reggerne il peso la macchina andava a fondo. La volta in cui era affondata prima risaliva al 27 febbraio 1998. («Non credo che lo si potesse nemmeno definire inverno, quell’anno»), la volta in cui invece era affondata più tardi era il primo maggio («Eravamo nel 1950. Sembrava che quell’anno l’unico modo per far finire l’inverno fosse di piantargli un palo nel cuore»). L’inizio di aprile era il periodo più prevedibile, in genere a metà pomeriggio.
Tutte le ore di metà pomeriggio di aprile erano già state vendute e registrate sul quaderno di Hinzelmann. Shadow acquistò sei biglietti, trenta minuti per il mattino del 23 marzo, dalle nove alle nove e mezzo. Pagò i trenta dollari.
«Vorrei che fossero tutti facili da convincere come te» disse Hinzelmann.
«È un modo per ringraziarla del passaggio che mi ha dato la sera del mio arrivo.»
«No, Mike» disse l’altro. «Questi soldi sono per i bambini.» Per un momento ebbe un’aria seria, senza traccia dell’abituale espressione da diavoletto. «Se vieni nel pomeriggio puoi darci una mano a spingere la bagnarola.»
Consegnò a Shadow sei cartoncini blu con la data scritta nella sua calligrafia antiquata, poi trascrisse dettagliatamente gli orari nel quaderno.
«Hinzelmann» disse Shadow, «ha mai sentito parlare delle pietre aquiline?»
«Su a nord di Rhinelander? No, quello è un fiume, Eagle River. No, non mi pare di averle mai sentite.»
«E degli uccelli del tuono?»
«Be’, c’era la Thunderbird Framing Gallery sulla Quinta Strada, ma ha chiuso. Non sono di molto aiuto, vero?»
«No.»
«Senti, perché non vai a dare un’occhiata in biblioteca? Sono brave persone, anche se magari questa settimana saranno un po’ distratti dalla svendita di libri. Ti ho fatto vedere dov’è, no?»
Shadow annuì e si congedò. Avrebbe dovuto arrivarci da solo all’idea della biblioteca. Salì sulla 4-Runner rossa e imboccò la Main Street diretto a sud, costeggiando il lago fino alla sua punta più meridionale, per raggiungere l’edificio a forma di castello che ospitava la biblioteca comunale. Entrò. Un cartello indicava il seminterrato: VENDITA DI LIBRI, recitava. La biblioteca vera e propria si trovava al pianterreno e Shadow batté gli stivali a terra per scrollare via la neve.
Una donna torva con un rossetto cremisi gli chiese bruscamente che cosa volesse.
«Credo di aver bisogno della tessera per consultare i libri. Cerco notizie sugli uccelli del tuono.»
Tradizioni religiose e miti dei nativi americani occupavano un solo scaffale in una delle torri. Shadow prese alcuni volumi e sedette vicino alla finestra. Nel giro di pochi minuti aveva scoperto che gli uccelli del tuono erano gigantesche creature mitologiche che vivevano sulle vette delle montagne, scatenavano i fulmini e provocavano i tuoni battendo le ali. Lesse che secondo il credo di alcune tribù gli uccelli del tuono avevano creato il mondo. Mezz’ora di lettura non fruttò tuttavia ulteriori informazioni e Shadow non riuscì a trovare le pietre aquiline nemmeno nell’indice generale per argomenti.
Stava riponendo l’ultimo volume sullo scaffale quando si accorse di essere fissato. Un esserino lo spiava tutto serio da dietro i pesanti scaffali. Quando si voltò la faccina era scomparsa. Voltò la schiena al bambino, poi gettò un’occhiata intorno e capì di essere osservato di nuovo.
In tasca aveva il dollaro con la testa della Statua della Libertà. Lo prese tra le dita della mano destra alzandolo in modo che il bambino lo vedesse bene. Lo fece scomparire nella sinistra, mostrò entrambe le mani vuote, portò la sinistra alla bocca e tossì facendo cadere la moneta dalla sinistra alla destra.