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«Sei cresciuto» disse lei.

«Sì. Sono diventato grande.»

La donna si voltò verso Wednesday che si stava servendo senza complimenti da una ciotola di gombo freddo. «È questo il ragazzo che ha messo tutti in agitazione?»

«Hai saputo anche tu?»

«Tengo le orecchie aperte.» Poi, rivolta a Shadow: «Sta’ alla larga dai guai. Ci sono troppe società segrete da queste parti, senza lealtà e senza amore. Commerciali, indipendenti, governative, sono tutte nella stessa barca. Si va da quelle a malapena competenti a quelle terribilmente pericolose. Ehi, vecchio lupo, l’altro giorno ho sentito una barzelletta che ti piacerebbe. Come si fa a sapere che la Cia non era coinvolta nell’assassinio di Kennedy?».

«L’ho già sentita» rispose Wednesday.

«Peccato.» Rivolse di nuovo l’attenzione a Shadow. «Ma gli spioni che hai incontrato tu sono un’altra faccenda. Loro esistono perché tutti pensano che debbano esistere.» Finì il contenuto di un bicchiere di carta, vino bianco, dal colore, e si alzò in piedi. «Shadow è un bel nome. Voglio un mochaccino. Venite con me.»

Si allontanò. «E il cibo?» chiese Wednesday. «Non puoi lasciare tutto qui.»

Lei gli sorrise, indicò la ragazzina seduta accanto al cane e poi fece il gesto di abbracciare Haight Street e il mondo intero. «Lascia che tutti si nutrano» disse, e proseguì seguita dai due uomini.

«Ricordati» disse a Wednesday, «io sono ricca. Me la passo benone. Perché mai ti dovrei aiutare?»

«Perché sei una di noi. Dimenticata e senza amore esattamente come noi. È piuttosto evidente da quale parte dovresti stare.»

Raggiunsero un bar con i tavolini all’aperto, entrarono e presero posto. C’era una cameriera che sfoggiava un anellino al sopracciglio come un segno di casta e, dietro il banco, una donna che faceva i caffè. La cameriera li accolse con un sorriso finto e prese le ordinazioni.

Easter appoggiò la mano affusolata sul dorso di quella grigia e squadrata di Wednesday. «Ti assicuro che me la cavo. Durante i giorni della mia festa mangiano ancora uova e coniglio, dolciumi e carne, che rappresentano rinascita e accoppiamento. Infilano fiori freschi sul cappellino e li scambiano tra loro. Lo fanno nel mio nome. Sempre più numerosi ogni anno. Nel mio nome, vecchio lupo.»

«E tu diventi ricca e grassa con la loro adorazione e il loro amore?» chiese lui seccamente.

«Non fare lo stronzo.» All’improvviso il suo tono suonò stanco. Sorseggiò il mochaccino.

«È una domanda seria, mia cara. Convengo certamente con te che molti milioni di persone si scambiano doni in tuo nome, e che ancora praticano i riti della tua festa, compresa la caccia alle uova nascoste. Ma quanti di loro sanno chi sei? Dimmelo! Mi scusi, signorina» disse alla cameriera.

«Vuole un altro espresso?»

«No, cara. Mi stavo soltanto domandando se lei non potrebbe risolvere una piccola questione. La mia amica e io non ci troviamo d’accordo sul significato della parola "Easter". Lei lo conosce, per caso?»

La ragazza lo guardò come se dalla bocca gli uscissero rospi verdi. Poi disse: «Non so niente di queste storie cristiane. Io sono pagana».

La donna dietro il banco si intromise: «Credo che voglia dire "Cristo è risorto" o qualcosa del genere in latino».

«Davvero?» disse Wednesday.

«Sì, certo» ribatté la donna. «Easter. Come il sole che sorge a est.»

«Il figlio risorto. Chiaro… una supposizione logica.» La donna sorrise e riprese a macinare il caffè. Wednesday guardò la cameriera. «Credo che prenderò un altro espresso, se non le spiace. E mi dica, in quanto pagana lei che cosa venera?»

«Venero?»

«Esatto. Immagino che le possibilità siano piuttosto ampie. Dunque a chi è dedicato il suo altare domestico? A chi si inchina? Davanti a chi prega all’alba e al tramonto?»

La ragazza fece parecchie smorfie con la bocca prima di dire: «Il principio femminile. È una maniera di acquisire potere. Lo sapeva?».

«Certamente. E ha un nome, questo principio femminile?»

«È la dea che c’è dentro ogni donna» rispose la ragazza con l’anello al sopracciglio e le guance soffuse di rossore. «Non ha bisogno di un nome.»

«Ah» esclamò Wednesday con una smorfia scimmiesca, «e fate in suo onore grandissimi baccanali? Bevete vino inebriante sotto la luna piena mentre nei candelabri bruciano ceri scarlatti? Vi immergete nude nell’acqua alzando estatiche inni alla vostra divinità senza nome mentre le onde vi lambiscono le gambe, su su fino alle cosce come lingue di mille leopardi?»

«Lei mi sta prendendo in giro» disse la ragazza. «Non facciamo niente del genere.» Inspirò profondamente. Shadow sospettò che stesse contando fino a dieci. «Volete altri caffè? Un altro mochaccino per lei, signora?» Adesso sfoderava lo stesso sorriso con il quale li aveva accolti.

Fecero di no con la testa e la ragazza andò a occuparsi di un altro cliente.

«Ecco» disse Wednesday «una che "non ha la fede e non avrà la gioia" come diceva Chesterton. Pagani, bella roba. Allora? Vogliamo uscire, mia cara Easter, e ripetere l’esperimento per strada? Scoprire quanti sanno che la festa di Pasqua prende il nome da Eostre of the Dawn? Vediamo… facciamo così: chiediamolo a cento persone. Per ognuna che conosce la risposta mi taglierai un dito della mano, e quando avrai finito con le mani mi taglierai le dita dei piedi; per ogni venti che non sanno la verità invece tu passerai una notte d’amore con me. E le probabilità sono certamente in tuo favore in questa città: siamo a San Francisco, dopotutto. Lungo queste ripide strade abbondano pagani e miscredenti e streghe.»

Gli occhi verdi della donna si posarono su Wednesday. Erano dell’esatto colore delle foglie in primavera quando il sole vi brilla attraverso. Non disse niente.

«Potremmo provare» continuò Wednesday. «Io finirei col tenermi tutte le dita dei piedi e delle mani e guadagnerei il diritto di passare cinque giorni nel tuo letto. Quindi non venirmi a dire che la gente ti venera e onora la tua festa. Pronunciano il tuo nome, ma per loro non significa niente. Zero.»

A Easter spuntarono le lacrime agli occhi. «Lo so» disse a bassa voce. «Non sono stupida.»

«No. Non lo sei.»

Ha esagerato, pensò Shadow.

Wednesday abbassò gli occhi: «Mi dispiace». Shadow sentì che il suo tono era sincero. «Abbiamo bisogno di te. Ci serve la tua energia. Il tuo potere. Lotterai al nostro fianco, quando scoppierà la tempesta?»

Lei esitò. Sul polso sinistro aveva tatuata una ghirlanda di azzurri nontiscordardime.

«Sì» disse dopo qualche tempo. «Credo di sì.»

Probabilmente è vero quello che si dice, pensò Shadow. Se sembri sincero è fatta. Poi provò un senso di colpa per averlo pensato.

Wednesday posò un bacio su un dito e sfiorò la guancia di Easter. Chiamò la cameriera e pagò i caffè contando con cura il denaro, piegando le banconote insieme alla ricevuta.

Mentre la cameriera si allontanava, Shadow disse: «Signorina, scusi. Credo che abbia perso questo» e raccolse dal pavimento una banconota da dieci dollari.

«No» rispose lei guardando la ricevuta piegata che stringeva in mano.

«L’ho vista cadere» ribatté lui cortese ma insistente. «Provi a contarle.»

La cameriera contò il denaro e con aria perplessa disse: «Cavoli. Ha ragione lei. Grazie.» Prese la banconota e se ne andò.

Easter uscì insieme ai due uomini nella luce che cominciava appena a impallidire. Fece un cenno a Wednesday, poi sfiorò la mano di Shadow e disse: «Che cos’hai sognato, la notte scorsa?».

«Uccelli del tuono. Una montagna di teschi.»

Lei annuì. «E sai a chi appartenevano quei teschi?»