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Sembrava un ragno meccanico delle dimensioni di un trattore, di metallo blu, costellato di led luminosi. Era lì accovacciato ai piedi della collina. Vicino, per terra, c’erano ossa di ogni tipo, e accanto a ogni osso brillava una fiammella, poco più grande della fiamma di una candela.

Wednesday gli fece cenno di tenersi lontano da quegli oggetti. Shadow mosse un altro passo di lato, un errore, sul sentiero scivoloso: la caviglia cedette e rotolò lungo il pendio a balzelloni. Cercò di aggrapparsi a una roccia, ma il troncone di ossidiana gli tagliò il guanto come se fosse di carta.

Arrivò a fondovalle, fermandosi tra il ragno meccanico e le ossa.

Appoggiò una mano a terra per rialzarsi e con il palmo sfiorò una specie di femore e si ritrovò…

… in piedi, con una sigaretta in mano, a guardare l’orologio in pieno giorno. Tutt’intorno a lui c’erano macchine ferme, alcune vuote, altre con uomini a bordo. Rimpiangeva di aver bevuto quell’ultimo caffè, perché aveva un gran bisogno di pisciare e la cosa cominciava a metterlo a disagio.

Uno degli uomini della polizia locale, con una spruzzata di brina sui baffi spioventi, gli si avvicinò. Shadow aveva già dimenticato come si chiamava.

«Non so come abbiamo fatto a perderli» dice il poliziotto locale in tono avvilito.

«È stata un’illusione ottica» replica lui. «Capita, in particolari condizioni atmosferiche. Per via della foschia. È stato un miraggio. In verità loro erano su un’altra strada e noi abbiamo creduto che fossero su questa.»

Il poliziotto sembra deluso. «Ah. Pensavo che fosse una storia tipo X-Files

«Niente di così eccitante, temo.» Gli capita di soffrire di emorroidi e il culo ha appena cominciato a prudergli in quel modo che segnala una crisi infiammatoria. Vuole tornare nella sua Beltway. Vorrebbe tanto un albero dietro cui nascondersi: il bisogno di pisciare è sempre più forte. Butta la sigaretta per terra e la calpesta.

Il poliziotto si avvicina a una delle macchine della polizia e dice qualcosa al collega al volante. Scuotono entrambi la testa.

Lui tira fuori il telefono, tocca i tasti, fa scorrere il menu e trova l’indirizzo "Laundry", un nome che lo aveva tanto divertito digitare, un riferimento a The Man from U.N.C.L.E. Ma mentre guarda si rende conto che il riferimento è sbagliato, loro avevano una sartoria come copertura, era nella serie di telefilm Get Smart che c’era la lavanderia, e dopo tutti quegli anni si vergogna ancora all’idea di non aver capito che si trattava di una parodia delle spie, e che lui lo aveva desiderato davvero il telefono nella suola della scarpa…

Risponde una voce di donna. «Sì?»

«Parla Town per il signor World.»

«Attenda, prego. Vedo se è raggiungibile.»

Silenzio. Town incrocia le gambe, tira su la cintura — devo assolutamente perdere altri cinque chili - per allentare la pressione sulla vescica. Poi una voce cortese lo raggiunge al telefono: «Buongiorno, signor Town».

«Li abbiamo persi» dice Town. La frustrazione gli ha chiuso lo stomaco: erano i bastardi, i luridi figli di troia che hanno ammazzato Woody e Stone, cavoli. Due bravi colleghi. Bravi. Lui ha una gran voglia di fottersi la signora Wood, ma sa che è ancora troppo presto per farsi avanti. Perciò la porta fuori un paio di volte al mese, come investimento sul futuro, e lei intanto gli è grata per l’attenzione…

«Come?»

«Non lo so. Avevamo un posto di blocco, per loro non c’erano vie di fuga e invece sono spariti lo stesso.»

«Un altro piccolo mistero della vita. Non ti preoccupare. Hai calmato gli indigeni?»

«Ho detto che è stata un’illusione ottica.»

«L’hanno bevuta?»

«Probabile.»

C’era qualcosa di molto familiare nella voce del signor World… una cosa strana da pensare, visto che lavorava per lui già da due anni e gli parlava tutti i giorni; ovvio che la sua voce gli risultasse familiare.

«A questo punto saranno lontani.»

«Dobbiamo mandare degli uomini a intercettarli alla riserva?»

«Il gioco non vale la candela. Ci sono troppe questioni giurisdizionali, e il numero di burattini che posso manovrare in una mattina è limitato. Non abbiamo fretta. Torna indietro. Ora sono tutto preso a organizzare l’incontro politico.»

«Ci sono problemi?»

«È un casino. Ho proposto di farlo qua. I tecnologici lo vogliono a Austin o forse a San José, i giocatori a Hollywood, gli intangibili a Wall Street. Insomma tutti lo vogliono a casa propria. Nessuno cede.»

«Devo fare qualcosa?»

«Non ancora. Ne blandirò qualcuno, ad altri mostrerò i denti. Sai come vanno queste cose.»

«Sissignore.»

«Procedi, Town.»

Il collegamento viene interrotto.

Town pensa che avrebbe già dovuto chiamare gli uomini della S.W.A.T. per quel Winnebago di merda, o per far minare la strada, o piazzarci un marchingegno nucleare che facesse vedere a quei bastardi che non scherzavano affatto. Era come gli aveva detto una volta il signor World, Stiamo scrivendo il futuro a lettere di fuoco, e Town pensa che se non piscerà immediatamente ci rimetterà un rene, come quand’era bambino e suo padre durante i viaggi lunghi in autostrada diceva: «Mi scoppia la vescica» e a Town sembra di risentirne ancora la voce, il nasale accento yankee: «Se non piscio mi scoppia la vescica»…

… e in quel momento Shadow sentì che una mano gli stava aprendo la sua, un dito alla volta, staccandola dal femore. Non aveva più bisogno di urinare; quel bisogno riguardava un altro. Era in piedi, in una valle coperta di rocce cristalline, sotto un cielo stellato.

Wednesday gli fece di nuovo segno di tacere. Poi si incamminò e lui lo seguì.

Dal ragno meccanico arrivò una specie di cigolio e Wednesday si immobilizzò di colpo. Anche Shadow si fermò. Gruppi di luci verdi intermittenti si alzarono e percorsero velocemente il ragno. Shadow cercò di non fare rumore respirando.

Pensò a quello che era appena successo. Era stato come guardare dentro la mente di un altro da una finestra. E poi ripensò. Il signor World: ero io che trovavo familiare la sua voce. Quello era un pensiero mio, non di Town. Perciò sembrava strano. Provò a identificare la voce, a metterla nella categoria alla quale apparteneva, ma continuava a sfuggirgli.

Mi verrà in mente, pensò. Prima o poi mi verrà in mente.

Le luci verdi diventarono azzurre, poi rosse, sbiadirono in un pallido porpora e il ragno si afflosciò sulle zampe metalliche. Wednesday, solitaria figura sotto le stelle, riprese a caminare con il suo cappello a tesa larga, il logoro mantello scuro agitato dal vento di quel non luogo, appoggiando il bastone sulla roccia cristallina.

Quando il ragno metallico fu solo un bagliore lontano nella notte stellata, molto distante nella pianura, Wednesday disse: «Adesso possiamo parlare».

«Dove siamo?»

«Dietro le quinte.»

«Come?»

«Pensa alle quinte di un teatro e immagina di esserci dietro. Ho appena tirato fuori noi due dalla platea e stiamo camminando nella parte posteriore del palcoscenico. È una scorciatoia.»

«Quando ho toccato l’osso sono entrato nella mente di un tale che si chiama Town. È uno spione anche lui. Ci odia.»

«Sì.»

«Ha un capo che si chiama World. Mi ricorda qualcuno, ma non so chi. Guardavo nella mente di Town, o forse c’ero dentro. Non so bene.»

«Sanno dove stiamo andando?»

«Credo che abbiano deciso di sospendere la caccia, per il momento. Non volevano seguirci alla riserva. Stiamo andando in una riserva?»

«Può darsi.» Wednesday si appoggiò un istante al bastone, poi riprese a camminare.

«Che cos’era quella specie di ragno?»

«Una manifestazione diagrammatica. Un motore di ricerca.»

«Sono pericolosi?»

«Si arriva alla mia età solo aspettandosi il peggio.»

Shadow sorrise. «E quale sarebbe l’età?»

«Quella della mia lingua» rispose l’altro. «Poco più vecchia di quella dei miei denti.»