Shadow fu tentato di staccare le mani dal volante per applaudire. Invece disse: «Va bene. Allora se ti racconto quello che ho scoperto non penserai che sono matto da legare».
«Può darsi. Prova.»
«Ci crederesti se ti dicessi che tutti gli dèi immaginati sono ancora con noi?»
«… Può darsi.»
«E che nel mondo ci sono dèi nuovi, dèi dei computer e dei telefoni e cose così, e che tutti sembrano credere che non ci sia posto per entrambe le categorie. E che molto probabilmente scoppierà una specie di guerra.»
«Sono stati questi dèi a uccidere i due uomini?»
«No, li ha uccisi mia moglie.»
«Mi pareva che avessi detto che tua moglie era morta.»
«Infatti.»
«Allora li ha uccisi prima di morire?»
«Dopo. Non chiedermi di più.»
Sam alzò una mano e allontanò i capelli dalla fronte.
Si fermarono davanti al Buck Stops Here, sulla Main Street. Nell’insegna sul vetro c’era un cervo con l’aria stupita che, ritto sulle zampe posteriori, teneva tra quelle anteriori un boccale di birra. Shadow afferrò il sacchetto con il libro e scese dalla macchina.
«Perché devono farsi la guerra?» domandò lei. «Sembra superfluo. Che cosa c’è in palio?»
«Non lo so.»
«È più facile credere nell’esistenza degli alieni. Magari Town e Come Cavolo Si Chiama erano Uomini Neri di tipo alieno.»
Erano in piedi sul marciapiede davanti al bar. Sam smise di parlare e guardò Shadow mentre il suo respiro rimaneva sospeso nell’aria come una pallida nuvoletta. «Dimmi solo che sei dalla parte giusta.»
«Non posso» rispose lui. «Mi piacerebbe ma… sto facendo del mio meglio.»
Sam, senza smettere di guardarlo, si morse il labbro inferiore. Poi annuì. «Mi basta» disse. «Non ti denuncerò. Puoi offrirmi una birra.»
Shadow le aprì la porta e furono assaliti da un’ondata di caldo e musica. Entrarono.
Sam si avvicinò a salutare gli amici. Shadow fece un cenno ad alcune persone le cui facce — ma non i loro nomi — ricordava dal giorno delle ricerche di Alison McGovern, o che aveva incontrato da Mabel’s di mattina. Chad Mulligan era in piedi al banco, con un braccio intorno alle spalle di una donna con i capelli rossi, piccolina, la cugina probabilmente; Shadow si chiese che aspetto avesse, però al momento lei gli dava la schiena. Vedendolo, Chad alzò la mano in un cenno di saluto scherzoso. Shadow gli sorrise e ricambiò, poi si guardò intorno per cercare Hinzelmann, ma il vecchio non sembrava nei paraggi. Individuò un tavolino libero in fondo e partì.
A quel punto qualcuno cominciò a gridare.
Un urlo orribile, sguaiato, tipo ho-visto-un-fantasma, un urlo isterico che interruppe di colpo ogni conversazione nel locale. Shadow si voltò, sicuro che stessero uccidendo qualcuno, poi si rese conto che invece stavano tutti guardando lui. Perfino il gatto nero, che durante il giorno dormiva sul davanzale, era in cima al jukebox con la coda ritta e la schiena a gobba e lo stava fissando.
Il tempo rallentò la sua corsa.
«Prendetelo!» strillò una voce femminile molto prossima all’isteria. «Oh, per amor del Cielo, qualcuno lo fermi! Non fatelo scappare! Vi prego!» Shadow la conosceva.
Nessuno si mosse. Lo fissavano. E lui fissava loro.
Chad Mulligan si avvicinò passando in mezzo ai clienti del locale. La donna piccolina lo seguiva con aria circospetta, gli occhi sbarrati come se si stesse preparando a urlare daccapo. Shadow la conosceva. Eccome.
Chad teneva ancora in mano il bicchiere di birra, che appoggiò sul tavolo più vicino. «Mike» disse.
«Chad» ribatté lui.
Audrey Burton afferrò una manica di Chad. Era pallidissima e aveva gli occhi gonfi di lacrime. «Shadow» disse, «brutto bastardo. Schifoso bastardo assassino.»
«Sei sicura di conoscere quest’uomo, cara?» chiese Chad. Sembrava a disagio.
Audrey Burton lo guardò incredula. «Ma sei matto? Ha lavorato per anni con Robbie. Quella troia di sua moglie era la mia migliore amica. È ricercato per omicidio. Sono venuti a interrogarmi. È un evaso.» Aveva perso completamente il controllo, tremava e singhiozzava cercando di dominare i nervi come l’attrice di una telenovela decisa a vincere l’Oscar per l’interpretazione più melodrammatica dell’anno. La cugina in carne e ossa, pensò Shadow, per niente colpito dall’esibizione.
Nessuno disse niente. Chad Mulligan lo guardava. «Probabilmente si tratta di un errore. Sono certo che riusciremo a chiarire tutto» disse. Poi, rivolto ai presenti: «Va tutto bene. Non preoccupatevi. Adesso risolviamo la questione. È tutto a posto». Rivolto a Shadow aggiunse: «Usciamo, Mike». Con calma e competenza. Shadow ne fu molto colpito.
«Certo» disse.
Si sentì sfiorare una mano e quando si girò vide che Sam lo guardava. Le sorrise nel modo più rassicurante possibile.
Lei guardò Shadow e le facce di tutti quelli che lo fissavano e poi si rivolse a Audrey Burton: «Io non ti conosco. Ma. Tu. Sei. Una. Stronza». Poi si alzò sulle punte, attirò Shadow a sé e lo baciò con trasporto, un bacio che a lui sembrò durare parecchi minuti, anche se in tempo reale potevano essere solo pochi secondi.
Uno strano bacio, pensò Shadow, con le labbra contro quelle di lei: non rivolto a lui ma alla gente nel bar, per far sapere a tutti che stava dalla sua parte. Era un bacio-dichiarazione d’intenti. Anche mentre lo baciava, lui era certo di non piacerle nemmeno, perlomeno non in quel modo.
Però gli tornò in mente una storia che aveva letto da bambino, tanto tempo prima: la storia di un viandante scivolato lungo un dirupo. Sopra c’erano le tigri mangiatrici d’uomini, e sotto il baratro fatale. L’uomo, aggrappato a un appiglio, si guarda intorno: lì accanto ci sono delle fragole, la morte lo attende in alto e in basso. Cosa deve fare? chiedeva l’indovinello.