E la risposta era: Mangiare le fragole.
Quand’era bambino gli era sembrata una storia senza senso. Adesso invece la capiva. Perciò chiuse gli occhi e si abbandonò al bacio dimenticando tutto eccetto le labbra di Sam e la morbidezza della sua pelle, dolce come una fragolina di bosco.
«Andiamo» lo esortò con fermezza Chad Mulligan. «Andiamo a parlarne fuori.»
Sam si ritrasse. Si passò la lingua sulle labbra e sorrise, un sorriso che quasi coinvolse anche gli occhi. «Non male» disse. «Baci bene per essere un maschio. D’accordo, andate a giocare fuori.» Poi si rivolse di nuovo a Audrey Burton: «Ma tu resti una grande stronza».
Shadow le lanciò le chiavi della macchina e Sam le prese al volo con una mano sola. Lui attraversò il locale e uscì seguito da Mulligan. Aveva cominciato a nevicare, fiocchi delicati che scendevano a spirale nella luce dell’insegna al neon. «Hai qualcosa da dirmi?» gli chiese il poliziotto.
Audrey li aveva seguiti fuori con l’aria di potersi rimettere a strillare da un momento all’altro. «Ha ucciso due uomini, Chad. Quelli dell’Fbi sono venuti a casa mia. È uno psicopatico. Vengo con te alla centrale, se vuoi.»
«Signora, lei ha già creato abbastanza guai» disse Shadow con una voce che risuonava stanca perfino alle sue stesse orecchie. «Se ne vada, per favore.»
«Hai sentito, Chad? Mi ha minacciato!»
«Torna dentro, Audrey» le disse Mulligan. Lei fu sul punto di obiettare, poi strinse le labbra con tanta forza da farle diventare bianche e rientrò nel bar.
«Vuoi dire qualcosa a proposito delle dichiarazioni di Audrey?»
«Non ho ucciso nessuno» rispose Shadow.
Chad annuì. «Ti credo. Sono sicuro che riusciremo a venirne a capo facilmente. Non mi vuoi creare dei problemi, vero, Mike?»
«No. È tutto un equivoco.»
«Esattamente» ribatté il poliziotto. «Quindi penso che la cosa migliore sia andare da me in ufficio e chiarire quello che c’è da chiarire.»
«Sono in arresto?»
«No. A meno che tu non voglia essere arrestato. Direi che potresti seguirmi per senso civico e insieme vedremo di capirci qualcosa.»
Chad lo perquisì e non gli trovò addosso armi. Salirono sulla macchina della polizia. Shadow dietro, ancora una volta, separato dalla barriera di metallo, sos pensò. Mayday. Aiuto. Cercò di influenzare la mente dell’altro, come aveva fatto una volta con un poliziotto a Chicago: Sono il tuo vecchio amico, Mike Ainsel. Mi hai salvato la vita. Non ti rendi conto che è un’assurdità? Perché non lasci perdere?
«Mi sembrava fondamentale tirarti fuori di lì» disse Chad. «Ci mancava che qualche trombone si mettesse a dire che Alison McGovern l’hai uccisa tu e ci ritrovavamo con un bel linciaggio da gestire.»
«Giusto.»
Restarono in silenzio per tutto il tragitto fino al comando di polizia che in realtà, spiegò Chad mentre parcheggiava, apparteneva al dipartimento dello sceriffo della contea. Loro ne occupavano poche stanze. La contea doveva far costruire entro breve qualcosa di più moderno, ma per il momento dovevano accontentarsi.
Entrarono.
«Devo chiamare un avvocato?» chiese Shadow.
«Non sei accusato di niente. Decidi tu.» Superarono alcune porte a vento. «Siediti là.»
Shadow si accomodò su una sedia di legno coperta di bruciature di sigaretta. Sì sentiva stupido, e stordito. Sulla bacheca degli annunci, accanto al cartello VIETATO FUMARE, c’era un piccolo manifesto con la scritta: CHI L’HA VISTA? La fotografia era quella di Alison McGovern.
C’era un tavolo di legno con qualche vecchia copia di "Sports IIlustrated" e "Newsweek". L’illuminazione era scarsa. Le pareti gialle in origine dovevano essere state bianche.
Dopo una decina di minuti Chad gli portò una cioccolata acquosa presa dal distributore automatico. «Cos’hai nel sacchetto?» chiese. E solo allora Shadow si accorse di stringere ancora la borsa di plastica con il Minutes of the Lakeside City Council.
«Un vecchio libro» disse. «C’è il ritratto di tuo nonno. O forse bisnonno.»
«Davvero?»
Shadow sfogliò le pagine e trovò il ritratto dei consiglieri comunali; indicò l’uomo che si chiamava Mulligan. Chad ridacchiò. «Roba da matti» esclamò.
Passarono i minuti e le ore, con lui chiuso in quella stanza. Lesse due numeri di "Sports Illustrated" e attaccò una copia di "Newsweek". Di tanto in tanto Chad veniva a chiedergli se aveva bisogno di andare al bagno, una volta gli offrì un panino al prosciutto e un sacchetto di patatine.
«Grazie. Sono in arresto, adesso?»
Mulligan strinse i denti e inspirò. «Be’, non ancora. A quanto pare non ti chiami veramente Mike Ainsel, però in questo stato uno può farsi chiamare come vuole, se non ha scopi illegali. Diciamo che sei in stato di fermo.»
«Posso fare una telefonata?»
«Urbana?»
«No.»
«Se usiamo la mia carta telefonica ti costerà meno, perché il telefono pubblico nell’ingresso si succhia dieci dollari come niente.»
Certo, pensò Shadow. Così saprai che numero ho chiamato e probabilmente ascolterai la telefonata da una derivazione.
«Molto gentile» disse. Entrarono in un ufficio deserto. Shadow diede a Chad il numero: era quello di un’impresa di pompe funebri di Cairo, Illinois. Chad lo compose e porse a Shadow il ricevitore. «Ti lascio da solo» disse e uscì.
Il telefonò suonò libero alcune volte, prima che qualcuno rispondesse.
«Jacquel Ibis. Dica, prego.»
«Buonasera, signor Ibis. Sono Mike Ainsel. A Natale ho lavorato qualche giorno da voi.»
Un momento di esitazione, poi: «Certamente, Mike. Come stai?».
«Non troppo bene, signor Ibis. Sono in un brutto guaio. Sto per essere arrestato. Speravo che lei avesse visto mio zio nei dintorni, o che magari potesse fargli avere un messaggio.»
«Posso sicuramente chiedere in giro. Aspetta in linea, Mike. C’è qui qualcuno che ti vorrebbe parlare.»
Il telefono venne passato a qualcuno e una voce di donna, roca, disse: «Ciao, bello. Ho sentito la tua mancanza».
Shadow era sicuro di non riconoscere la voce. Però sapeva chi era la donna. Non aveva dubbi…
Lascia che sia, gli sussurrò la voce roca nella mente, in un sogno. Abbandonati a me.
«Chi era la ragazza che stavi baciando, bello? Vuoi farmi ingelosire?»
«Siamo soltanto amici» rispose lui. «Credo che volesse dimostrare qualcosa. Come fai a sapere che mi ha baciato?»
«Ovunque vada la mia gente, là io ho occhi e orecchi» disse lei. «Sta’ attento, bello…» Seguì un momento di silenzio, poi all’apparecchio tornò il signor Ibis. «Mike?»
«Sì.»
«C’è qualche difficoltà a rintracciare tuo zio. Sembra impossibilitato a muoversi. Comunque cercherò di far arrivare un messaggio a Nancy. Buona fortuna.» Riattaccò.
Shadow sedette ad aspettare il ritorno di Chad nell’ufficio vuoto, rimpiangendo che non ci fosse niente a distrarlo. Con riluttanza riprese in mano il Minutes, lo aprì a caso e cominciò a leggere.
Un’ordinanza presentata e approvata con otto voti contro quattro nel dicembre del 1876 proibiva di sputare e di gettare tabacco sui marciapiedi e sul pavimento dei luoghi pubblici.
Il 13 dicembre 1876 Lemmi Hautala, dodici anni, "era fuggita, si temeva, in preda a un delirio. Le ricerche erano scattate subito ma la tormenta di neve le aveva fatte sospendere". Il consiglio comunale aveva votato all’unanimità una mozione per inviare le condoglianze alla famiglia.
L’incendio scoppiato nelle stalle e nelle scuderie Olsen la settimana successiva era stato spento senza danni per uomini e cavalli.
Shadow cercò nelle colonne di testo fitto e molto piccolo ma non trovò altre notizie su Lemmi Hautala.
E poi, mosso non soltanto dal capriccio, andò a vedere le pagine che riguardavano l’inverno del 1877 e trovò ciò che cercava. Era un appunto nei verbali di gennaio: Jessie Lovat, di età imprecisata, una "bambina negra", era scomparsa la notte del 28 dicembre. Si riteneva che fosse stata "rapita dai cosiddetti venditori ambulanti". Alla famiglia Lovat non erano state mandate le condoglianze dell’amministrazione.