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Allora è successo!

L’ultimo capitolo. La sua morte. Sento in me un peso atroce.

Cito: “È morta di infarto cardiaco nell’ottobre 1953, dopo… dopo avere partecipato a un party allo Stephens College di Columbia, Missouri, dove aveva insegnato recitazione per diversi anni.”

Allora, lei e io ci siamo già trovati nello stesso posto.

Però nello stesso periodo.

Perché mi sento così strano?

Sono citate le sue ultime parole. Nessuno, dice l’autrice, ne ha mai capito il significato.

— E amore, dolcissimo.

Cosa mi ricordano?

Un inno della scienza cristiana. Però le parole sono: “E la vita, dolcissima, da cuore a cuore, parla teneramente quando ci incontriamo e lasciamo.”

Mio Dio.

Credo di essere stato a quel party.

Credo di averla vista.

Mi è difficile respirare. Mi pulsano le tempie, i polsi. Ho la testa intorpidita.

È successo davvero?

Sì. C’ero. Lo so. È stato dopo una rappresentazione allo Stephens. Sono andato con una ragazza al party per gli interpreti.

E ricordo che lei mi disse… Non ricordo che faccia avesse, o come si chiamasse, però ricordo le sue parole…

“Hai un’ammiratrice, Richard.”

Ho guardato dall’altra parte della stanza, e… c’era una vecchia seduta su un divano con qualche ragazza.

Mi guardava.

Buon Dio, non può essere stato.

Perché quella donna mi guardava?

Come se mi conoscesse.

Perché?

È quella sera che morì Elise McKenna?

La vecchia era davvero lei?

Sto guardando di nuovo la foto.

Elise. Mio Dio, Elise.

Sono stato io a mettere quell’espressione sul tuo volto?

È buio, nella stanza.

Non mi muovo da ore.

Me ne sto sdraiato qui a fissare il soffitto. Fra un po’ mi porteranno via con l’ambulanza.

Perché l’ho detto?

Cose simili sono impossibili.

Insomma, ho una mente aperta e tutto il resto, però…

Una cosa del genere?

D’accordo, mi ha guardato come se mi conoscesse. Le ricordavo qualcuno, tutto qui. L’uomo che aveva conosciuto all’hotel.

Tutto qui.

Allora perché, di tutti i posti dello stato e del paese, sono finito qui? Senza volerlo. Per puro capriccio. Ho solo “lanciato una moneta”, per amor di Dio!

Perché in novembre?

Perché la stessa settimana in cui lei è stata qui?

Perché sono sceso a pianterreno quando sono sceso? Perché ho visto quella fotografia? Perché mi ha tanto colpito? Perché mi sono innamorato di lei, ho cominciato a leggere di lei? Coincidenze?

Non posso crederlo.

Okay, intendo dire che non voglio crederlo.

Sono stato davvero io?

Credo che la mia testa stia per scoppiare. Ho ripensato a tutto tante volte che mi sento stordito.

Dato di fatto: lei è venuta qui con la sua compagnia.

Dato di fatto: è rimasta qui dopo che gli altri sono ripartiti.

Dato di fatto: non ha più recitato per dieci mesi.

Dato di fatto: si è chiusa nella sua fattoria.

Dato di fatto: era completamente diversa da ciò che era sempre stata.

Dato di fatto: quando ha ripreso a lavorare, era completamente cambiata come attrice, come persona.

Dato di fatto: non si è mai sposata.

Da quale luogo sei venuto a me?

Da quale luogo?

Le due e sette del mattino. Impossibile dormire; la mia mente non si spegne. Non posso sradicare l’idea. Continua a crescere, a crescere.

Ammesso che una cosa simile sia possibile, non sarebbe più possibile in un posto come questo che altrove? Perché, in un posto come questo, una parte del viaggio è già stata fatta. Qui ho sentito il passato entrare in me.

Ma posso tornarvi in maniera totale?

Meglio spegnere la luce.

Sto guardando la sua foto; l’ho ritagliata dal libro. Denunciatemi per danni a una proprietà pubblica. Però sbrigatevi a portarmi in tribunale.

Sdraiato… in questa stanza in penombra… in questo hotel… il suono della risacca in lontananza… la sua fotografia davanti a me… la tristezza infinita di quegli occhi che mi scrutano…

Credo sia possibile.

In qualche modo.

17 novembre 1971

Le sei e ventinove del mattino. Emicrania piuttosto forte. Quasi non riesco ad aprire gli occhi.

Ascolto e riascolto ciò che ho detto ieri sera e stanotte. Ascolto nella, aperte virgolette, fredda luce del giorno, chiuse virgolette.

Deve essere stato un momento di pazzia.

Undici e quarantasei del mattino. Il servizio in camera mi ha appena portato la mia colazione all’europea: caffè, succo d’arancia, tartine con burro e marmellata di mirtilli, e io me ne sto seduto, col cervello intorpidito, a mangiare e bere come se fossi un uomo normale, non un pazzo.

Lo strano è che adesso, che il peggio del dolore è passato, adesso, seduto allo scrittoio con la spiaggia battuta dal sole sotto gli occhi, e le onde dell’oceano azzurro che si frangono bianche sulla sabbia grigia, adesso, mentre sarebbe logico aspettarsi che la razionalità del giorno avesse scacciato l’idea, l’idea invece resiste. Perché, non so.

Insomma, guardiamoci in faccia: nella summenzionata fredda luce del giorno, l’idea appare come la progenitrice di tutte le idee svitate. Tornare indietro nel tempo? Fino a che punto si può diventare scemi? Eppure, una profonda, indefinibile convinzione mi sprona. Non ho idea di come un’idea simile possa avere senso, però per me lo ha.

Prove a sostegno della mia ottimistica convinzione? Ben poche. Eppure, quell’unico fatto mi sembra sempre più grande ogni volta che ci penso: lei mi ha guardato come se mi conoscesse e, quella stessa sera, è morta di infarto.

Un pensiero improvviso.

“Perché non mi ha parlato?”

Non essere ridicolo. Come poteva farlo? Quasi sulla novantina, parlare a un ragazzo non ancora ventenne di un amore che potevano avere vissuto cinquantasette anni prima?

Fossi stato al suo posto, avrei fatto la stessa cosa: sarei rimasto zitto, per poi morire.

Un’altra riflessione.

Ancora più difficile da accettare.

Se davvero ho fatto tutto questo, non sarebbe più pietoso non tornare indietro? La sua vita continuerebbe, indisturbata. Forse lei non arriverebbe alle stesse vette di celebrità, ma se non altro…

Ho dovuto interrompermi per ridere.

Con quanta indifferenza me ne sto qui a parlare di cambiare la storia.

Un’altra considerazione.

Realizzare la mia idea mi appare più possibile che mai.

Ho letto quei libri. Molti sono stati pubblicati decenni fa, addirittura una generazione fa.

Ciò che è stato fatto a Elise è già stato fatto.

Quindi, non ho scelta.

“Devo” tornare indietro.

Ho dovuto ridere un’altra volta. Rido ancora, mentre parlo. Non una risata divertita, vero; più la risata che denota la presenza di un pazzo.

Stabilito questo, esaminiamo la gatta da pelare nei particolari.

Per quanto io voglia o senta o creda di poter fare, la mia mente e il mio corpo, ogni mia cellula sanno che è il 1971.

Come potrei liberarmi da questo condizionamento?