Non confondermi coi fatti, Collier. Per lo meno, non con i fatti che dimostrano che non si può fare. Adesso devo riempirmi la testa di fatti che dimostrino che “si può” fare.
Ma dove trovo questi fatti?
Un altro rapido viaggio a San Diego. Questa volta non me ne sono quasi accorto. Devo avere avuto con me l’influenza dell’hotel; l’ho indossata a mo’ di armatura.
Sono stato di nuovo da Wahrenbrock. Fortuna immediata. J.B. Priestley ha scritto un volume gigantesco sull’argomento, L’uomo e il tempo. Mi aspetto di poterne trarre molte indicazioni.
Ho comperato anche una bottiglia di Bordeaux rosso. E una cornice per la fotografia di Elise. Deliziosa. Sembra oro antico, con un ovale al centro del passepartout. Anche il passe-partout pare di oro antico, con delicate volute ornamentali che si intrecciano come una vite dorata attorno alla testa di Elise. Adesso sì che lei è al suo posto. Non chiusa in un libro, come se facesse parte della storia. In una cornice, sul comodino.
Viva. Il mio amore vivo.
L’unica cosa che mi turba ancora è sapere che sarò io a far nascere quell’espressione tragica sul suo volto.
Per adesso non ci penserò. Le possibilità sono molte. Farò una doccia e poi, seduto sul letto, con la sua musica preferita nella testa, col suo vino preferito che mi scende giù per la gola, comincerò a imparare qualcosa di quel tempo che voglio raggirare.
E tutto questo, qui. In questo hotel. In questo preciso posto dove, lontana da me settantacinque anni, anche mentre pronuncio queste parole, Elise McKenna respira e si muove.
(Richard dedica molto spazio alla trascrizione e all’analisi del libro di Priestley. Quindi, è in questa parte del suo manoscritto che ho operato la maggiore quantità di tagli: l’argomento, per lui tanto affascinante, tende a rallentare notevolmente il ritmo del suo resoconto.)
Il capitolo iniziale è dedicato agli strumenti per la misurazione del tempo. Non vedo che valore potrebbe avere per me, ma lo studierò lo stesso; prenderò appunti come facevo all’università.
Ecco come devo considerare la situazione: sto seguendo un corso universitario sul tempo.
Capitolo due: Immagini e metafisica del tempo.
L’acqua in movimento, scrive Priestley, è sempre stata la nostra immagine preferita del tempo. “Il tempo, come un fiume in perenne movimento, trascina via tutti i suoi figli.”
Da un punto di vista intellettuale, l’immagine è insoddisfacente, perché i fiumi hanno rive. Quindi, siamo costretti a chiederci cosa resti fermo mentre il tempo scorre. E noi dove ci troviamo? Sulla riva o nell’acqua?
Capitolo tre: Il tempo e gli scienziati.
“Il tempo non ha un’esistenza indipendente al di là dell’ordine degli eventi con cui lo misuriamo.” Lo ha detto Einstein.
In questo “regno misterioso”, come lo chiama Priestley, non esiste un luogo dove poter scoprire il senso ultimo dello spazio e del tempo.
Gustav Stromberg sostiene l’esistenza di un universo a cinque dimensioni che includerebbe il mondo dello spazio-tempo a quattro dimensioni descritto dalla fisica. Lo chiama “regno dell’eternità”. Si trova al di là dello spazio e del tempo in senso fisico. In questo regno, passato, presente e futuro sono privi di significato.
C’è solo la totalità dell’esistenza.
Capitolo quattro: Il tempo nella narrativa e nel teatro.
“Diciamo che un uomo è nato nel 1900” scrive Priestley. “Se il 1890 esiste ancora da qualche parte, l’uomo potrebbe visitarlo. Ma potrebbe farlo solo come osservatore, perché il 1890 più il suo intervento fisico non sarebbe più il 1890 che è stato.
“Se l’uomo non volesse limitarsi a guardare il 1890, se volesse sperimentarlo come esperienza di vita, dovrebbe usare la parte non-temporale della propria mente per entrare nella mente di qualcuno che abbia vissuto nel 1890.
“A rendere vincolante questa limitazione” sostiene Priestley “non è il viaggio in sé ma la destinazione. Un uomo nato nel 1900 e morto nel 1970 è prigioniero di quei settant’anni di tempo cronologico. Quindi, a livello fisico, non potrebbe fare parte di nessun altro tempo cronologico, si tratti del 1890 o del 2190.”
L’idea mi turba. Devo rifletterci su.
No. Non è il mio caso.
Perché io sono già stato là.
Il 1896, “senza” il mio intervento fisico, non sarebbe più il 1896 che è stato.
Quindi, devo tornare.
Parte seconda: Le idee del tempo.
Sono ore che leggo e prendo appunti. Mi fa male il polso, ho gli occhi a pezzi, avverto in sottofondo un accenno di emicrania.
Però non riesco a fermarmi. Devo imparare tutto il possibile, per poter trovare il modo di tornare da lei. Il desiderio è una chiave ovvia. Ma deve esserci una tecnica, un metodo. Devo ancora scoprirlo.
Ma ce la farò, Elise.
Il mondo dell’uomo antico, scrive Priestley, trovava basi non nella cronologia ma nel Grande Tempo, nel Tempo Eterno del Sogno: passato, presente e futuro facevano parte di un Istante Eterno.
Mi pare la stessa cosa della teoria del “regno dell’eternità” di Stromberg. Mi pare simile anche alla teoria di Newton di un tempo assoluto, che “scorre costante senza rapporti con alcunché di esterno”. La scienza ha rifiutato questa teoria, ma forse Newton aveva ragione.
L’idea del Grande Tempo ci perseguita in molti modi, continua Priestley; stimola la nostra mente e le nostre azioni. L’uomo pensa di continuo di “tornare indietro”, lontano da tutte le pressioni del mondo; di raggiungere un luogo che non cambia mai, dove uomini-ragazzi giocano per sempre.
Forse il nostro vero io, la nostra vera essenza, esiste in questo regno dell’eternità, e la consapevolezza che ne abbiamo è limitata dai sensi fisici.
La morte sarebbe la fuga finale da queste restrizioni, ma è concepibile anche una fuga prima della morte, Il segreto deve essere l’allontanamento dalle restrizioni dell’ambiente. Non possiamo farlo a livello fisico, quindi lo facciamo a livello mentale, grazie a quella che Priestley chiama la “parte non-temporale” della mente.
In breve: è la mia consapevolezza dell’ora a tenermi inchiodato qui.
Maurice Nicoll dice che l’intera storia è un presente vivo. Noi non sperimentiamo una sola scintilla di vita nel mezzo di un grande, morto deserto. Esistiamo invece in un certo punto “di un ampio processo di esseri viventi che ancora pensano e provano emozioni ma a noi sono invisibili.”
Devo solo spostarmi a un punto in alto dal quale possa vedere, e poi raggiungere, la zona di questa processione che mi interessa raggiungere.
L’ultimo capitolo. Poi dovrò cavarmela da solo.
Priestley parla di tre tempi. Li chiama tempo 1, tempo 2 e tempo 3.
Il tempo 1 è il tempo in cui nasciamo, invecchiamo e moriamo; il tempo pratico, concreto; il tempo del cervello e del corpo.
Il tempo 2 si stacca da questo semplice binario. Nel suo raggio d’azione rientrano la coesistenza di passato, presente, e futuro. Nessun orologio o calendario ne condiziona l’esistenza. Entrandovi, usciamo dal tempo cronologico e lo osserviamo come una totalità immobile, non come un insieme in perenne movimento di attimi.
Il tempo 3 è la zona dove esiste “il potere di collegare o scollegare fra loro il potenziale e il reale”.
“Il tempo 2 potrebbe essere l’aldilà” sostiene Priestley. “Il tempo 3 potrebbe essere l’eternità”.
Adesso cosa credo?
Che il passato esiste ancora da qualche parte, come componente del tempo 2.