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Adesso preparo le valigie; forse farò un’ultima passeggiata. Non posso restare qui più a lungo.

Adesso l’oceano non ha alcun colore. Linee grigie che si muovono verso il marrone cupo della spiaggia.

Fa freddo. Il vento mi entra nelle ossa. Ma perché sono uscito?

Sto entrando nel salone della Storia per l’ultima volta. Cammino sulle mattonelle bianche e nere. Supero la fotografia, incorniciata in oro, dell’hotel com’era un tempo. Davanti all’ingresso c’è un carro con quattro cavalli. C’è un uomo appoggiato alla bicicletta.

La camera da letto. La supero. Un piatto dipinto a mano nella vetrina: bianco, con decorazioni verde e oro, e due angioletti azzurri.

Una fotografia, scattata nel 1914, del bus che andava a prendere i clienti al treno e li portava all’hotel.

Il programma di Il piccolo ministro. La foto di Elise.

La sto guardando attraverso un velo di nebbia.

Un ferro da stiro e un altro piatto su cui è dipinto l’hotel. Il telefono e il registro dell’hotel e il portatovagliolo e il menù e qualcosa che sembra una stampatrice. Supero tutto, percorro il corridoio in direzione della scala che porta al patio. Mi lascerò tutto alle spalle per…

Aspetta un secondo!

La gente mi ha fissato mentre correvo nel patio. Non me ne importava. Niente importava, a parte quello che stavo facendo. Non ho nemmeno tenuto aperta la porta dell’ingresso per una vecchia signora che mi seguiva. Ho spalancato la porta e mi sono precipitato dentro. Avrei voluto correre anche nell’atrio, ma mi sono controllato. Col cuore che mi pulsava in gola, ho attraversato l’atrio a lunghi passi e ho raggiunto il bureau.

— Sì, signore? Posso fare qualcosa per lei? — ha chiesto l’uomo.

Io ho cercato di sembrare indifferente, o per lo meno normale. Essere indifferente era al di là delle mie possibilità. — Mi chiedevo se potrei parlare col direttore — ho risposto.

— Mi spiace, al momento è in Florida.

Ho fissato l’uomo. Mi aspettava un’altra sconfitta?

— Forse può parlare col signor Lyons — ha suggerito l’uomo. — Fa lui le veci del direttore.

Io ho annuito. — Grazie.

Lui mi ha indicato una rientranza nella parete alla mia sinistra. L’ho ringraziato, mi sono spostato in fretta, ho visto una porta, e ho bussato. Non ha risposto nessuno, così sono entrato.

L’ufficio era deserto, ma alla mia destra c’era un altro ufficio con diverse persone che lavoravano. Una di loro, una segretaria, mi ha raggiunto. Le ho chiesto dove fosse il signor Lyons e lei mi ha risposto che era appena uscito, ma poteva tornare da un momento all’altro. Mi ha chiesto se poteva essermi utile.

— Sì — le ho detto. — Io scrivo per la televisione, e mi hanno incaricato di preparare uno special sulla storia dell’hotel.

Le ho detto che ero stato nel salone della Storia, nella biblioteca locale e nella principale biblioteca di San Diego, ma non ero riuscito a rintracciare materiale a sufficienza e mi trovavo a un punto morto e mi occorreva assistenza.

— Pensavo che forse potreste avere un po’ di materiale sul passato dell’hotel nei vostri archivi — ho detto.

Lei ha risposto che pensava di sì, ma non ne era certa. Però il signor Lyons poteva senz’altro aiutarmi, perché aveva cominciato a lavorare nell’hotel a quattordici anni, come ragazzo dell’ascensore.

Io ho annuito, sorriso, l’ho ringraziata, e ho lasciato l’ufficio. Come potevo aspettare il ritorno del signor Lyons, quando il bisogno di trovare ciò che volevo era una fame insaziabile? Ho attraversato l’atrio, mi sono seduto in poltrona, e ho fissato la porta dell’ufficio, in attesa del signor Lyons. Incitandolo mentalmente a tornare. — E dai, e dai — ho continuato a mormorare.

Alla fine non ho più resistito. Mi sono alzato e mi sono diretto all’ufficio. Contemporaneamente ne è uscita la segretaria. Quando mi ha visto, ha cambiato direzione, è venuta verso me. Mi è parso che ci raggiungessimo con una lentezza da sogno.

Poi, finalmente di fronte a me, la segretaria mi ha detto che forse mi conveniva parlare con Marcie Buckley, che lavora nell’ufficio di Lawrence (a quanto ho capito, Lawrence è il proprietario dell’hotel) e che ha scritto un opuscolo sulla storia dell’hotel, La gemma più fulgida della città della Corona.

Mi ha indicato la strada. L’ho ringraziata con un sorriso (penso di avere sorriso), ho attraversato la sala del Lungomare, ho salito una breve rampa di scale e aperto una porta a vetri. Nell’ufficio c’erano un vecchio e due giovani donne. Una sedeva a una scrivania appena dietro la porta.

— Vorrei parlare con Marcie Buckley — ho detto.

La donna, giovane, attraente, mi ha guardato. — Sono io Marcie Buckley — ha risposto.

Con un altro sorriso, ho ripetuto la mia bugia. Uno special televisivo, ricerche a un punto morto, necessità di ulteriori informazioni. Lei poteva aiutarmi?

È stata più carina di quanto mi aspettassi; di certo, più carina di quanto meritassi. Mi ha indicato una scrivania sul fondo dell’ufficio. Era coperta di libri e carte; documenti sull’hotel raccolti da lei. Avevo voglia di consultarli? mi ha chiesto. Potevo servirmene a piacere, a patto di lasciarli nello stesso ordine in cui li avevo trovati. Marcie Buckley stava lavorando a una lunga storia dell’hotel e si serviva di quel materiale per le sue ricerche.

L’ho ringraziata e mi sono seduto alla scrivania. Ho dato un’occhiata sommaria e ho visto, con una punta di dolore così forte da colpirmi a livello fisico, che quello che mi interessava non c’era.

Però non potevo andarmene così. Se ciò che cercavo esisteva da qualche parte, avrei dovuto chiedere l’aiuto della donna per trovarlo, e se mi fossi alzato e avessi detto che quel materiale raccolto con tanta cura da lei non mi serviva a niente, probabilmente lei si sarebbe offesa. Avrebbe avuto tutto il diritto di offendersi.

Così sono rimasto alla scrivania, distrutto, a guardare album con ritagli di giornale che parlavano di tornei di tennis e balli in costume e gare di torte; fotografie dell’hotel in varie stagioni della sua storia; libri con le copie carbone delle lettere scritte da svariati direttori dell’hotel. “Il medico che abbiamo assunto ha lavorato per molti anni a New York come specialista in ostetricia… Gli affari procedono splendidamente e prevediamo una stagione intensa… Sono lieto di comunicarle le tariffe invernali… Abbiamo ricevuto la sua comunicazione datata 14, ma per il momento non ci occorrono forniture di carne di maiale…” Ho finto di prendere nota delle informazioni.

Alla fine, quando mi è parso che fosse trascorso un intervallo decente, mi sono alzato e sono tornato alla scrivania di Marcie Buckley. Tutto bene, le ho detto; tutto molto utile. Però mi chiedevo se non ci fosse di più; magari un magazzino che funge da archivio del materiale?

Il mio cuore ha esultato quando lei mi ha risposto che quello che cercavo esiste. Ho pianto quando lei ha aggiunto che avrebbe cercato di mostrarmelo più tardi; al momento era troppo impegnata. Non ho osato mormorare niente di più di un grazie. Avrei voluto trascinarla via dalla scrivania e costringerla a portarmi all’archivio in quello stesso istante. Ovviamente, non potevo. Ho sorriso e annuito e le ho chiesto quando pensava di poterlo fare.

Lei ha guardato l’orologio e ha detto che avrebbe tentato di liberarsi verso mezzogiorno meno un quarto. L’ho ringraziata di nuovo e sono uscito. Ho guardato l’orologio. Erano appena passate le undici. Quei quaranta minuti mi sono parsi più lunghi di quei settantacinque anni.