Выбрать главу

— Va bene, legalo — ha detto Al al suo socio.

— E perché? — ha obiettato Jack. — Una pallottola nel cervello ci risparmierebbe il disturbo.

— Jack, fai come ti dico — ha risposto Al. — Mi farai perdere la pazienza.

Con un sibilo di disgusto, Jack ha raggiunto un angolo della baracca. Chinandosi su me, ha raccolto da terra un rotolo di lurida corda. Quando si è girato, io ho capito, in un soffio di terrore, che era giunto il momento definitivo. Se non fossi riuscito a fuggire subito, non avrei mai più rivisto Elise. All’idea, mi sono irrigidito. Con la forza della disperazione, ho centrato il volto di Jack con la mano chiusa a pugno. Lui ha emesso un grido di stupore ed è volato all’indietro contro il muro della baracca. Girandomi di scatto, ho scoperto i primi segni di reazione sulla faccia dell’uomo più anziano. Non sarei mai riuscito a mandarlo al tappeto. Con un guizzo laterale, ho raggiunto la porta e l’ho spalancata. All’esterno, sono caduto, ho rotolato su me stesso, e ho fatto per rimettermi in piedi.

Poi ho sentito la stretta della mano di Al sulla coda della mia giacca. Uno strattone, e mi sono ritrovato all’interno della baracca, scaraventato a terra. Ho urlato quando il mio braccio sinistro si è torto sotto il corpo. — Non impari mai, vero, Collier? — ha chiesto Al, furibondo.

— Al diavolo, adesso è un uomo morto. — Ho udito la voce roca di Jack alle mie spalle e mi sono girato: era in piedi, barcollava. Stava infilando la mano nella giacca.

— Aspetta fuori — gli ha ordinato Al.

— “È un uomo morto, Al.” — Jack ha estratto la pistola e ha teso il braccio per spararmi. Io sono rimasto a fissarlo, incapace di pensare, di reagire; paralizzato.

Non ho visto Al muoversi. Qualcosa ha colpito Jack alla tempia e l’uomo è crollato, perdendo la presa sulla pistola. Al ha raccolto l’arma, l’ha infilata in tasca, poi si è chinato su Jack, lo ha afferrato per il bavero e la cintura, lo ha trascinato alla porta e scaraventato fuori come un sacco di patate. — Prova a rientrare, e sarai “tu” a finire con una pallottola nel cervello! — ha urlato.

Si è girato, ansimante, e mi ha guardato. — Non sei una preda facile, giovanotto — ha detto. — Per niente facile.

Io ho deglutito, sono rimasto a fissarlo. Non osavo fiatare. Il ritmo del suo respiro ha rallentato. Poi, con un movimento brusco, Al ha raccolto la corda e l’ha srotolata. Si è inginocchiato e ha cominciato ad avvolgermela attorno al corpo. Il suo viso era di pietra. — Ti suggerisco di non fare altre mosse — ha detto. — Sei andato vicinissimo alla morte. Ti consiglio di non avvicinarti di più.

Sono rimasto immobile, zitto, mentre lui mi legava. Ho cercato di non sussultare quando ha stretto la corda. Non avrei fatto altre mosse. E non avrei implorato un’altra volta la libertà. Avrei accettato tutto, sarei rimasto tranquillo.

All’improvviso, lui ha ridacchiato. Per un folle istante, ho pensato: “Mio Dio, era soltanto uno scherzo, adesso mi lascerà andare”. Ma lui si è limitato a dire: — Mi piace il tuo fegato, ragazzo. Sei coraggioso. Jack è un uomo forte, e tu sei quasi riuscito a stenderlo. — Un’altra risatina. — Sarà sempre un piacere ricordare lo stupore che gli ho visto in faccia. — Si è chinato ad arruffarmi i capelli. — Mi ricordi il mio Paul. Anche lui aveva fegato, a carrettate. Avrà fatto fuori una dozzina di selvaggi prima di lasciarci la pelle, sono pronto a scommetterci. Maledetti Apaches.

Ho continuato a scrutarlo mentre terminava di allacciare la corda. Un figlio ucciso dagli Apaches? Non riuscivo ad accettare l’idea; mi era troppo estranea. Sapevo solo di essere vivo grazie a lui, e di non poter sperare che mi liberasse. La mia unica speranza era riuscire a slegarmi in fretta dopo che lui se ne fosse andato.

Lui ha stretto un ultimo nodo, solido come roccia. Si è rialzato con un grugnito e mi ha guardato. — Bene, Collier. Adesso ci dobbiamo lasciare. — Ha frugato nella tasca posteriore dei calzoni, in cerca di qualcosa che non è riuscito a trovare. Il mio cuore ha accelerato i battiti. Un gelo orribile mi ha avvolto quando lui ha estratto l’oggetto. Non mi sarei mai liberato; non sarei mai tornato all’hotel prima che il treno partisse.

Al si è portato alle mie spalle. — Visto che ho deciso di non restare qui, nelle prossime ore, a tenerti d’occhio, dovrò farti dormire.

— No — ho mormorato. Mi mancava la voce. Non avevo mai visto un manganello di quel tipo: un’arma ripugnante, spaventosa.

— Non c’è niente da fare, ragazzo — ha detto lui. — Attento a non muoverti. Se stai fermo, ti colpirò nel punto giusto. Se ti agiti, potrei fracassarti il cranio.

Ho chiuso gli occhi e aspettato. “Elise” ho pensato. Per un istante, ho avuto l’impressione di vedere il suo volto, quegli occhi angosciati che mi fissavano. Poi c’è stata un’esplosione di dolore nella mia testa, e sono precipitato nelle tenebre.

Il ritorno della coscienza è stato un accumulo graduale di dolori: un dolore pulsante alla nuca, un indolenzimento dei muscoli dello stomaco, la rigidità di braccia e gambe, un torpore gelido in tutto il corpo. Alla fine ho aperto gli occhi e ho scrutato il buio, cercando di ricordare dove mi trovassi. Sentivo corde strette attorno alle braccia, alle gambe, al tronco; quindi, senza dubbio, ero ancora nel 1896. Ma che ore erano?

Ho cercato di tirarmi su. Inutile. Ero legato così stretto che un respiro profondo mi provocava dolore al petto. Ho continuato a guardare avanti, strizzando le palpebre. Gradualmente il buio si è diradato, e ho visto la luce filtrare dalle crepe dei muri. Sì, ero nel 1896; ero legato nella baracca. Ho tentato di muovere le gambe, ho sussultato: i nodi erano talmente stretti che mi avevano quasi fermato la circolazione del sangue.

— Andiamo — ho detto. Mi sono ordinato di riflettere, di agire. Se solo fossi riuscito ad alzarmi, potevo arrivare a saltelli alla porta, aprirla, forse trovare sulla spiaggia qualcuno che potesse aiutarmi. Ho lottato per sollevare la schiena dal pavimento, rendendomi conto solo allora di quanto fosse freddo. “Il mio vestito deve essere ridotto uno straccio” ho pensato. Un’idea stupida, irritante.

Sono ricaduto giù con un tonfo, urlando al dolore che mi ha dilaniato la nuca. Allora Al mi aveva rotto il cranio, anche se ero rimasto immobile? L’impressione era quella. Ho dovuto tenere chiusi gli occhi a lungo, prima che il dolore passasse. Poi mi è giunto alle narici l’odore della baracca, un misto di legno in decomposizione e terriccio umido. “L’odore della tomba” ho pensato. Il dolore mi ha invaso di nuovo la testa. “Rilassati”. Ho chiuso gli occhi. Il treno era già partito? Elise poteva essersi trattenuta un po’, nella speranza di vedermi ricomparire; era possibile. Dovevo liberarmi.

Ho aperto gli occhi e ho cercato di orientarmi. Mi è parso di vedere il profilo della porta. Stringendo i denti alle nuove fitte di dolore, ho cominciato a spostarmi in quella direzione. Mi sono immaginato mentre strisciavo e mi contorcevo per terra: una visione ridicola, ma non divertente. “Un pesce fuor d’acqua” ho pensato. Lo ero da ogni punto di vista.

Ho dovuto fermarmi. Ansimavo, e ogni inspirazione mi trafiggeva il petto, facendo pulsare ondate di tenebra nella mia testa. “Rilassati, rilassati”. Ormai era più un’implorazione che un ordine. Ho tentato di controllare il respiro, di dirmi che lo spettacolo era lungo, quattro atti; che sarebbe occorso parecchio tempo per smontare le scene e caricare il treno; che, anche al di là di tutto quello, Elise poteva rimandare la partenza della compagnia. Era possibile. Dovevo crederlo. Non c’era…

Ho trattenuto il respiro e sono rimasto immobile. Per diversi secondi (cinque, sei, di più?) ho provato la stessa sensazione che avevo vissuto sdraiato sul letto della camera 527, appena prima di viaggiare all’indietro nel tempo: la sensazione di veleggiare verso il limbo, di non essere in alcun posto, di trovarmi in uno stato di transizione. “Dio, no” ho pensato. “Ti prego, no”. Come un bambino terrorizzato dal buio, spaventato da apparizioni mostruose, sono rimasto fermo, in bilico sull’abisso fra due epoche.