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Avevo di nuovo il mio amore.

21 novembre 1896

Mi aveva tolto la giacca per spazzolarla; era sporca di sabbia e terriccio. Senza cravatta, ero seduto sul divano della sua stanza, la guardavo con occhi adoranti mentre mi lavava viso e mani con l’acqua calda. Quando mi ha toccato la destra, ho sussultato. Osservando la mano, mi sono accorto per la prima volta che era in condizioni pietose. Diverse nocche dovevano essere rotte. — Cosa hai fatto con la mano? — ha chiesto lei, irrequieta.

— Ho colpito qualcuno.

La sua espressione si è fatta seria. — Richard — mi ha chiesto dopo un po’ — chi ti ha rapito?

Ho intuito la sua tensione. — Due uomini. — La sua gola si è contratta in uno spasmo. Ha rialzato gli occhi. Il suo dolce viso era grave, pallido. — Per ordine di William? — ha domandato, piano.

— No — le ho risposto senza esitare, rassicurando lei e sorprendendo me stesso. Perché proteggevo Robinson? Forse perché, in quel momento, non volevo irritare o far arrabbiare Elise: quello che c’era fra noi due era troppo splendido per distruggerlo.

Lei mi scrutava con l’espressione che conoscevo così bene, colma dell’intenso desiderio di sapere. — Mi stai dicendo la verità?

— Sì. Sono uscito per una passeggiata al primo intervallo, e quei due hanno deciso di derubarmi, suppongo. — Una lama di paura mi ha attraversato le viscere: aveva visto il denaro ancora intatto nella tasca della mia giacca? — Poi hanno pensato di legarmi e chiudermi in una baracca, per poter fuggire prima che io informassi la polizia.

Sapevo che non mi credeva, ma sapevo anche di dover continuare nella menzogna. Robinson era sempre importante per la sua vita professionale; per Elise sarebbe stata una delusione terribile, doverlo considerare un malvivente dopo tutti quegli anni. E lui lo aveva fatto per proteggerla; la sua preoccupazione per Elise era sincera, anche se sbagliata. O forse si trattava solo della consapevolezza, nascosta in un angolo della mia mente, che Robinson sarebbe morto sulla Lusitania, continuando ad adorare inutilmente Elise. Non ne ero certo. Sapevo solo che l’immagine dell’impresario non doveva essere infranta con crudele brutalità. Non da me.

— Non è stato lui — ha detto Elise. Adesso stava cercando di convincere se stessa; chiaramente non voleva credere alla colpevolezza di Robinson, e io sono stato lieto di averle mentito. Il nostro ritrovarci non doveva essere sporcato da una simile rivelazione.

— No, non è stato lui. — Sono riuscito a sorridere. — Se potessi, non esiterei a incolparlo.

Il suo sorriso era fragile. — Ero così sicura che fosse stato lui. Abbiamo avuto un litigio tremendo prima che partisse. Ha continuato a ripetere che non saresti più tornato, e io ho avuto la certezza che avesse provveduto a toglierti di scena. Ho dovuto minacciare di recedere dal nostro contratto per convincerlo ad andarsene senza di me.

— E tua madre?

— È ancora qui — ha risposto lei. Il mio viso deve avere tradito la mia reazione, perché lei mi ha sorriso e mi ha baciato dolcemente la mano. — È nella sua stanza. Le hanno dato dei sedativi. Dorme. — Un gemito di amara ironia. — Anche con lei ho avuto una scenata atroce.

— Ti ho fatto delle cose terribili.

Elise ha messo il panno nella catinella dell’acqua e si è accoccolata contro di me, con la testa sulla mia spalla, il braccio destro sul mio petto. — Hai fatto la cosa più meravigliosa che qualcuno abbia fatto per me nell’intera vita — ha detto. — Mi hai portato l’amore.

Si è chinata a baciarmi la mano sinistra, a carezzarla con la guancia. — Quando ho guardato verso il pubblico nel secondo atto e ho visto la tua sedia vuota, mi sono detta che un piccolo incidente doveva averti trattenuto. Poi il tempo è passato, tu non tornavi, e la mia paura è cresciuta di minuto in minuto. — La sua risata era quasi traboccante d’angoscia. — Gli spettatori devono avere pensato che fossi impazzita. Continuavo a guardare il pubblico, e in condizioni normali non mi sognerei mai di farlo. Ho un vuoto nella memoria. Non ricordo di avere interpretalo il terzo e il quarto atto. Devo essere stata un automa.

Ha riso di nuovo, sottovoce, senza allegria. “So che i miei compagni di lavoro mi hanno giudicata pazza, perché negli intervalli continuavo a spiare da dietro il sipario. Ho persino mandato Marie a cercarti. Pensavo non ti fossi sentito bene e ti fossi ritirato in camera. Quando è tornata a dirmi che non si riusciva a trovarti, mi ha preso il panico. Se te ne fossi andato, mi avresti scritto un messaggio, Io sapevo. Ma non c’era nessun messaggio. C’era solo William che mi diceva che eri scappato perché aveva minacciato di denunciarti come cacciatore di fortune.”

— Davvero? — Ho alzato gli occhi al cielo. William non mi stava rendendo facile la vita. Comunque, ormai gli avevo salvato la faccia. Inutile infliggere ferite adesso.

— Riesci a immaginarmi mentre tento di recitare nel bel mezzo di tutto questo? — ha chiesto Elise. — Sono certa che deve essere stata l’interpretazione più orribile della mia carriera. Se il pubblico avesse potuto procurarsi della verdura, me l’avrebbe tirata.

— E io sono sicuro che sei stata magnifica — ho ribattuto io.

— Oh, no. — Elise si è tirata su, mi ha guardato, mi ha carezzato la guancia. — Richard, se ti avessi perso dopo tutti questi anni di attesa, dopo il modo in cui ci siamo incontrati, la stranezza, il mio tentativo di capire… Se ti avessi perso dopo tutto questo, non sarei sopravvissuta.

— Ti amo, Elise — le ho detto.

— E io amo te. Richard. Il mio Richard. — Il suo bacio è stato dolce e tenero sulle mie labbra.

Poi è toccato a me ridere. — Se mi avessi visto… Sdraiato in una baracca nera come la notte, legato da corde così strette che quasi non potevo respirare. Mi sono contorto sul pavimento lurido come una trota appena presa all’amo. Ho spalancato la porta a furia di calci, poi ho lottato per liberarmi dalle corde, e alla fine sono riuscito a farle scendere dalle gambe. Ho dovuto sfregare le corde sul petto contro un grumo di malta. Mi sono messo a correre come un matto verso l’hotel, e ho scoperto che la tua carrozza ferroviaria era sparita, che non c’era nessuno nella tua stanza. — La risata si è spenta; a quel punto ricordavo soltanto il dolore. L’ho abbracciata. Ci siamo tenuti stretti come due bambini spaventati, finalmente riuniti dopo lunghe, terribili ore di separazione.

Rammentando qualcosa all’improvviso, Elise si è alzata e ha attraversato la stanza. Ha preso un pacchetto dallo scrittoio. È tornata indietro e me lo ha teso. — Col mio amore.

— Dovrei essere io a farti regali — ho ribattuto.

— Me li farai. — Il suo tono mi ha riempito di gioia improvvisa. Nella mia mente è balenata la visione degli anni che avremmo trascorso assieme.

Ho aperto il pacchetto. Sotto la carta c’era una scatola di pelle rossa. Sollevato il coperchio, ho visto all’interno un orologio d’oro con la catena d’oro. Mi ha tolto il respiro.

— Ti piace? — Elise sembrava una ragazzina eccitata.

— È splendido.

L’ho sollevato per la catena e ho scrutato il coperchio, che aveva delicate incisioni lungo l’orlo. Al centro erano incisi fiori e spirali.

— Aprilo — ha detto lei.

Ho premuto sull’albero di carica, e il coperchio si è aperto con uno scatto. — Oh, Elise — ho mormorato.

Il quadrante è bianco, con solenni numeri romani lungo l’orlo; al di sopra di ogni numero romano c’è una minuscola cifra araba. Sul fondo, un cerchio in miniatura con un’altra serie di numeri, e lancette non più spesse di un capello. L’orologio porta la firma di Elgin, e ha il peso e la solidità tipici del periodo.

— Lascia che te lo carichi io, amore — ha detto Elise. Con un sorriso, le ho passato l’orologio. Lei ha fatto uscire una piccolissima levetta dal fondo e ha regolato l’ora, dopo un’occhiata al lato opposto della stanza: era quasi luna meno un quarto. Poi ha reinserito la levetta nel suo alloggio e ha caricato l’orologio. Il suo viso attento, concentrato, era così incantevole che sono stato praticamente costretto a chinarmi a baciarle il collo. Con un brivido, lei si è stretta a me, poi si è girata e mi ha porto l’orologio con un sorriso adorante. — Spero che ti piaccia. È il migliore che sono riuscita a trovare con così poco tempo a disposizione. Ti prometto l’orologio più bello del mondo, appena mi sarà possibile.