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Ho fermato le sue parole con un bacio. Lei mi si è aggrappata come se stesse per affogare. Ansimava spasmodicamente. Tremava in maniera incontrollabile, convulsa. — Lascialo uscire — le ho detto. — Non averne paura. Io non ne ho. Non è qualcosa da temere. È bello, Elise. Sei tu. Sei una donna. Lascia che quella donna abbia la sua libertà. Liberala. Slegala… e godine. “Nutriti”, Elise. Non continuare a morire di fame. Non è scioccante. Non è repellente. È meraviglioso. Un miracolo. Non trattenerlo per un altro istante. Ama, Elise. “Ama”.

È scoppiata a piangere. Mi ha fatto piacere; indicava lo sfogo, la liberazione. Ha singhiozzato stretta a me, respirando affannosamente. E io ho capito, ho sentito che tutti i suoi anni di spietata prigionia stavano per finire. Finalmente, Elise apriva la porta della segreta dove aveva imprigionato la propria natura. Avrei potuto piangere con lei, tanto profonda era la mia gioia. Le lacrime le scorrevano a torrenti sulle guance, le sue labbra tremavano, e il suo corpo, stretto al mio, sussultava.

Poi le sue labbra si sono insinuate sotto le mie, e lentamente, ma con sicurezza, hanno domandato e hanno risposto, hanno preso con onesta avidità ciò di cui avevano bisogno. Le sue mani correvano impazzite sulla mia schiena e sul collo, mi carezzavano i capelli, l’intero corpo, mi massaggiavano. Le sue dita mi scavavano la carne. Adoravo quel dolore squisito. Avrei voluto che non finisse mai. — Ti amo — mi ha sussurrato. — Ti amo. Ti amo. Ti amo. — Non riusciva a smettere di dirlo. Le parole cadevano tempestose dalle sue labbra; erano la chiave con cui stava aprendo le sale interne dei suo bisogno.

Quando l’ho raccolta da terra e trasportata in camera da letto, l’unico suono è stato il suo respiro ansimante. Era leggera, così leggera. L’ho depositata sul letto, mi sono seduto al suo fianco, ho cominciato a toglierle i pettini. Li ho estratti a uno a uno, e i capelli fulvi le sono scesi a cascata sulla schiena, sulle spalle. Lei mi ha scrutato in silenzio finché non ho tolto l’ultimo pettine e ho preso a baciarle le guance e le labbra e gli occhi e il naso e le orecchie e il collo. Intanto, scioglievo i lacci del suo vestito. Adesso, le sue spalle bianche, calde, erano nude. Le ho baciate all’infinito; poi le braccia, la nuca. Lei ha continuato a non parlare. Ansimava solo, ed emetteva piccoli gemiti imploranti con la gola.

La vista della sua pelle, quando le ho slacciato il corpetto, mi ha strappato un gemito. Lei mi ha fissato, allarmata. I miei occhi non riuscivano a staccarsi dai segni rossi sul suo corpo. — Dio, “non portare mai più quella cosa!” — ho urlato. — Non martoriare questa pelle splendida. — Con un radioso sorriso d’amore, Elise mi ha teso le braccia.

Poi ci siamo sdraiati assieme sul letto, stretti l’uno all’altra, con labbra avide. Scostandomi un poco, le ho baciato il collo, il viso, il petto e le spalle. Lei mi ha attirato ai suoi seni e io ho premuto il viso contro quel calore morbido, li ho baciati, ho preso in bocca i rosei, turgidi capezzoli. I suoi erano quasi gemiti d’agonia. Un’ondata di desiderio mi ha avviluppato. Mi sono alzato, mi sono spogliato, ho gettato gli abiti sul pavimento. Ho guardato Elise che mi aspettava coricata, senza tentare di nascondermi il suo corpo. Quando ho terminato di svestirmi, mi ha teso le braccia. — “Amami”, Richard — ha sussurrato.

Sentirmi dentro lei, sentire il suo corpo febbrile sotto il mio, sentire il suo respiro caldo sulle guance. Udire i suoi gemiti di rabbiosa passione. Sentirmi esplodere dentro di lei, vedere il suo spasmo tanto violento da darmi l’impressione che la sua schiena potesse spezzarsi in due, e le sue unghie che mi scavavano la carne, l’estasi assoluta sul suo volto quando Elise ha provato quello che era forse il primo orgasmo completo della sua vita: tutto questo era quasi superiore alle povere forze di un semplice essere umano. Ondate di tenebra sono corse in me, minacciando di Ianni perdere conoscenza. L’aria era carica di calore pulsante, d’energia.

Poi tutto si è placato. Lei era coricata al mio fianco, e piangeva sottovoce, di felicità. Sussurrava: — Grazie — all’infinito. — Grazie. Grazie.

— “Elise”. — L’ho baciata dolcemente. — Non devi ringraziarmi. Anch’io sono stato in paradiso con te.

— “Oh” — ha sussurrato lei. Era quasi un sospiro. — Sì, era il paradiso.

Ha intrecciato le braccia attorno al mio collo e mi ha guardato, con un sorriso di tenera soddisfazione sulle labbra. — Se stanotte non fossimo rimasti assieme, sarei morta, Richard. — Un singhiozzo smorzato. — Adesso che ci penso, “sono” morta. — Mi ha baciato la guancia. — Per rinascere fra le tue braccia. Reincarnata in un corpo di donna.

— Oh, “sei” una donna — le ho detto. — E che donna.

— Lo spero. — Una carezza eterea sul mio petto. — Ero così… “divorata” dalla follia che tu hai fatto esplodere in me, che non so nemmeno se sono riuscita ad accontentarti.

— Mi hai accontentato. — Ho sorriso alla sua espressione insicura. — Farò scolpire questa frase nella roccia, se vuoi.

Lei mi ha restituito il sorriso, con amore, poi si è guardata. — Sono terribilmente magra? — mi ha domandato.

Mi sono scostato a scrutare i suoi piccoli seni, lo stomaco piatto, la vita così stretta che mi aveva dato l’impressione di poterla stringere in maniera completa nella coppa delle due mani, le gambe affusolate: uno spettacolo color panna, e meraviglioso. — Terribilmente — le ho detto.

— “Oh”. — Era davvero delusa. Ho riso e singhiozzato a un tempo, baciandole guance e occhi con amore appassionato. — “Adoro” il tuo corpo — le ho detto. — Non permetterti mai di insinuare che sia meno che perfetto.

Il nostro bacio è stato lungo e dolce e totale. Quando ci siamo staccati, lei mi ha guardato con devozione assoluta. — Voglio essere tutto per te, Richard.

— Lo sei.

— No. — Il suo era un sorriso di serena accettazione. — So di non essere molto capace nel… fare l’amore. E come potrei esserlo? — Il suo sorriso si è fatto malizioso. — Non ho esperienza, signore, proprio nessuna. Mi muovo in maniera goffa e dimentico le battute. Dimentico il titolo stesso dell’opera che sto interpretando, tanto ne sono presa. — Ha piegato le dita sulla mia schiena. — Dimentico tutto. Perdo la testa sul palcoscenico e adoro ogni secondo di ciò che succede. — La sua espressione, adesso, era di aperta sensualità. Si è chinata in avanti all’improvviso e ci siamo baciati a lungo, avidi del sapore delle nostre labbra.

Le ho sorriso quando ci siamo staccati. — La parte è tua — le ho detto.

La sua risata fanciullesca mi ha procurato tanto piacere da farmi temere che mi esplodesse il cuore per la felicità. L’ho stretta forte a me. — Elise, Elise.

— Ti amo, Richard, ti amo immensamente — mi ha mormorato all’orecchio. — E adesso mi odierai perché mi è tornata fame.

Con una risata, l’ho lasciata libera. Lei mi ha fatto alzare un momento mentre riassettava il letto. Poi è corsa nell’altra stanza, è tornata con due mele, e ci siamo coricati a mangiare sulle lenzuola fredde. Elise ha tolto un seme dalla sua mela, lo ha premuto sulla mia guancia. Io ho sorriso e le ho chiesto cosa significasse quel gesto. — Aspetta — mi ha risposto.

Dopo qualche secondo, il seme è caduto. — Cosa significa? — ho domandato.

Il suo sorriso si è fatto malinconico. — Che presto mi lascerai.

— Mai.

Il suo sorriso non ha ritrovato l’allegria. Le ho dato un lieve pizzicotto al braccio. — A chi credi? A me, o a un seme di mela?

Con mio dolore, il suo sorriso è rimasto colmo di pena. I suoi occhi hanno ripreso a scavare nei miei. — Penso che mi spezzerai il cuore, Richard.