Il sorriso malandrino di Babbie è rispuntato fuori. Elise si è messa a ridere come un’assatanata. — Chiuse le virgolette — ha boccheggiato.
Il mio sorriso deve essere stato un po’ confuso, perché lei si è premuta di nuovo contro di me, tempestando di baci le mie guance. — Oh, non dovrei scherzare. È solo che mi sento talmente piena di felicità che non posso continuare a essere seria per un solo secondo di più. E tu eri così serio quando mi hai detto che sono deliziosa. — Mi ha baciato cinque volte sulle labbra. — Ma è un complimento a te — ha aggiunto. — Riuscirei a scherzare solo con l’uomo che amo. Nessuno conosce questo mio aspetto. Lo tengo sempre nascosto. Magari qualche volta si vede nel mio modo di recitare.
— Sempre.
Un sospiro di falso rimpianto. — D’ora in poi dovrò interpretare soltanto tragedie, perché ci sarà tanta felicità nella mia vita che non ne resterà nemmeno un pizzico per il palcoscenico. — Mi ha carezzato una guancia. — Mi perdoni, vero? Non ti dispiace se scherzo un po’?
— Scherza finché vuoi. Forse posso mettermi a scherzare anch’io.
— Tutto quello che vuoi, amore mio — mi ha detto, stringendosi a me.
È ricominciato una terza volta mentre ci baciavamo. Il suo viso adorabile si è imporporato e i suoi occhi hanno assunto quell’espressione di abbandono che mi eccitava e colmava di gioia. Quando ho separato le sue labbra con le mie e le ho fatto scivolare la lingua in bocca, lei ha rabbrividito e ha cominciato a carezzare la mia lingua con la sua, poi a usare i denti per attirarla più in profondità. Qualche attimo dopo, ero ancora dentro lei, e di nuovo Elise si contorceva freneticamente sotto di me, roteando la testa da una parte all’altra. Il suo volto esprimeva la libertà più totale. Al terzo orgasmo, ha urlato: — “Non è possibile!”
Poi siamo rimasti abbracciati. Il suo corpo era caldo e sudato contro il mio, il suo respiro dolce sulle mie labbra. Si è addormentata. Io ho tentato di restare sveglio a guardarla, ma non ho potuto. Con un senso di calma estatica, mi sono lasciato affondare nel pozzo senza fondo del sonno.
Quando ho riaperto gli occhi, Elise dormiva ancora, anche se non più fra le mie braccia. Eravamo sdraiati, fianco a fianco, sotto un lenzuolo e qualche coperta. Doveva essere stata lei a svegliarsi per coprire tutti e due.
Coricato su un fianco, sono rimasto a fissarla a lungo. Continuavo a pensare: “Adesso questa donna è nella mia vita”. A mo’ di esperimento, ho cercato di ricordare Hidden Hills e Bob e Mary, e l’ho trovato quasi impossibile. Mi sembravano lontani un universo. La sensazione di disorientamento sta svanendo. Fra un po’ sarà scomparsa del tutto, ne sono certo. La mia presenza nel 1896 è come il granello di sabbia che invade l’ostrica. Come invasore di questa epoca, gradualmente, verrò ricoperto da uno strato protettivo; verrò incapsulato. Col tempo, il mio nucleo iniziale sarà talmente nascosto sotto gli strati di questo periodo da trasformarmi in qualcun altro. Dimenticherò la mia origine, vivrò solo come uomo di quest’epoca.
Deve essere questo il segreto del viaggio nel tempo. Se Ambrose Bierce, Crater, e tutte le persone che come loro sono scomparse, si sono davvero trasferiti all’indietro nel tempo, ormai non debbono più possedere il minimo ricordo dei rispettivi punti di partenza. La natura protegge la propria opera. Se viene infranta una regola o si verifica un incidente nell’ordine normale dell’esistenza, deve entrare in azione un meccanismo di compensazione; un qualche contrappeso deve riportare in equilibrio i piatti della bilancia. In questo modo, il flusso della coerenza storica viene alterato solo a livello momentaneo da chi riesce ad aggirare il tempo. Quindi, la ragione per cui nessun viaggiatore è mai tornato dalla sua epoca di destinazione è che si tratta, per necessità naturale, di un viaggio di sola andata.
Ho pensato a tutte queste cose mentre guardavo Elise. Quando ho finito di pensarle, ero perfettamente sveglio e non volevo rimettermi a dormire. Desideravo invece assaporare quei momenti, il mio amore che mi dormiva accanto, col ricordo del nostro dare e del nostro prendere scolpito nella mente e nella carne. Con molta lentezza e cautela sono sceso dal letto. Precauzione inutile. Elise era profondamente addormentata. E non mi meravigliava. Lo stress fisico ed emotivo delle ultime ventiquattro ore doveva averla lasciata esausta.
Ho scoperto che il mio abito non era più sul pavimento, e mi sono guardato attorno. I miei vestiti erano appesi nell’armadio, aperto. L’ho raggiunto e ho controllato la tasca interna della giacca. I fogli di carta erano dove li avevo lasciati. Lei doveva averli visti; erano troppo voluminosi per non notarli. Ma se li avesse letti, avrebbe potuto dormire così in pace? E se anche non fosse riuscita a leggerli per il mio ricorso alla stenografia, non sarebbero bastati quegli strani simboli, quelle parole tronche, a turbarla? Mi sono girato a guardarla. Qualunque altra cosa potesse essere, non appariva turbata. Ho deciso che non aveva letto i fogli o, se lo aveva fatto, li aveva giudicati privi d’importanza.
Era il momento adatto per aggiornare il mio resoconto. Ho fatto per trasferirmi allo scrittoio; poi sono tornato indietro, attirato dai suoi vestiti. Li ho carezzati a uno a uno. Mi sono avvicinato all’abito che Elise indossava poco prima, ho sollevato la gonna con entrambe le mani, e premuto sul viso la stoffa morbida. “Elise, ho pensato. Tempo, fammi un ultimo favore. Fermati su questo momento sublime, in maniera che io possa viverlo per sempre”.
Ovviamente, il tempo non poteva fermarsi, e non lo ha fatto. Dopo avere assaporato un istante d’eternità, ho lasciato che la gonna ricadesse al suo posto con un fruscio e mi sono avviato verso lo scrittoio.
Sul piano c’era una lettera: due fogli piegati, col mio nome scritto sul retro di uno dei due. Mi ha colto un senso d’ansietà: allora aveva letto e compreso le mie parole? Ho aperto i fogli e ho cominciato a leggere.
Ma sin dalla prima riga, mi è stato chiaro che non aveva scoperto il mio segreto.
Mio caro signore,
ho preso atto dei tuoi gentili favori del 21 ultimo scorso, e mi rammarico di non essere fra le tue braccia in “questo” istante. Quale follia mi ha spinta a lasciare il tuo abbraccio?
È trascorsa da parecchio l’ora delle streghe, quando i cimiteri (e le attrici addormentate) sbadigliano. Dovrei essere a letto con te (ho appena guardato il tuo viso adorato e gli ho mandato un bacio), ma, da donna che conosce il proprio dovere, mi spazzolerò i capelli cento volte prima di tornare al tuo fianco.
Stavo spazzolando i suddetti capelli qualche attimo fa quando, all’improvviso, ho pensato: “Ti amo, Richard!” E il mio cuore ha avuto un balzo così violento di gioia che ho dovuto scrivere quello che provo. Se non lo faccio, è probabile che debba svegliarti per dirtelo, e non sarei mai disposta, per nessun regno di questa terra, a disturbare la tranquillità del tuo sonno.
Ti amo, Richard mio. Ti amo tanto che, se fossi fuori di qui, mi metterei a danzare e la folla si radunerebbe attorno a me e arriverebbe un poliziotto a rimproverarmi e finirei in disgrazia per troppa felicità. Batterei su un tamburo e soffierei in un corno e coprirei le pareti del mondo di cartelli giganteschi per dichiarare a tutti che ti amo, ti amo, ti amo!
Eppure, nonostante tutto, non sono felice come vorrei essere, come dovrei essere. C’è una tenebra che mi dà la caccia. Perché il nostro amore non riesce a scacciarla?
Un pensiero giunge sempre a spaventarmi, e quando vi rifletto mi sento spersa. Il pensiero di perderti come ti ho avuto: in maniera strana, come dici tu, fra ombre che sfuggono al mio controllo. Ho tanta paura, amore. Immagino cose terribili e non c’è tregua ai miei timori. Dimmi che non devo preoccuparmi. So che basterà che tu continui a ripetermelo, di nuovo e di nuovo e di nuovo, finché questa paura non sarà spazzata via dal mare delle tue rassicurazioni. Dimmi che va tutto bene. Sono eternamente presa dal timore che qualche avvenimento orribile impedisca il nostro matrimonio.