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Ma poi qualche cosa scattò nel suo cervello… gli interruttori dei nervi scattarono… si risvegliarono i ricordi…

Aveva già visto una scatoletta come quella, la mattina, nella stanza dove era morto Art Starzynski.

«E con questo?» si chiese ad alta voce, esprimendo la sua delusione con un colpo secco al tasto che spegneva il computer. Borbottando disgustato, andò in cucina, si versò un bicchiere di latte freddo, e bevendolo a sorsi analizzò quanto era successo. Sapeva per esperienza che fra il sonno e la veglia il censore mentale a volte cessa di funzionare. Mentre l’autocritica dorme, l’idea più assurda può sembrare una di quelle rivelazioni che fanno tremare il mondo. Nel suo caso il subconscio si era messo all’opera formando a ruota libera un’associazione di idee… scatola di cacciù… scatola per pillole… medicina… effetti collaterali… alterazione nella chimica organica… fattore comune nella combustione spontanea…

Per poco non mi sono fatto venire un infarto per niente, pensò mentre si toglieva gli occhiali e lavava le lenti. Le asciugò continuando a strofinarle a lungo anche dopo che erano asciutte, dopo di che tornò riluttante a coricarsi.

3

La mattina dopo era arrivato a due isolati dall’ufficio prima di accettare il fatto che non poteva proprio andarci. Sbigottito per questa sua irrazionalità, svoltò a destra al prossimo semaforo e proseguì verso sud. Whiteford, sotto la vivida luce del sole aveva quell’aria pacifica, sana, monotona e sicura caratteristica delle città di provincia nelle mattinate estive. Le strade erano già piene di gente diretta al lavoro e Jerome sapeva che nella stanza dei cronisti dell’Examiner il lavoro quotidiano sarebbe cominciato fra poco, con Anne e i suoi occhi castigliani che notavano tutti i particolari, e specialmente la sua scrivania vuota. Che motivo avrebbe potuto addurre per la sua assenza?

Be’… vedete, Anne… c’era una strana scatoletta portapillole…

Immaginando la sua reazione, Jerome rabbrividì per l’imbarazzo, ma continuò a guidare verso la casa di Starzynski. L’ipotesi che le vittime della CUS avessero un punto in comune costituito da una medicina che ne alterava il metabolismo oltre ad essere campata in aria era resa più assurda dall’idea che in poche ore lui avrebbe scoperto quella verità che era sfuggita per secoli a chi si era occupato del fenomeno. Ma quell’idea gli stava fissa nella mente come l’amo in gola a un pesce e l’unico modo per liberarsi dall’ossessione consisteva nel controllarla, sia pure a condizione di farci una figuraccia.

Ed è proprio quello che sto facendo, pensò mentre accostava l’auto al marciapiede davanti alla villetta in cima alla scalinata circondata dal giardino fiorito. I gradini di cemento gli sembrarono più ripidi dell’altra volta e quando suonò il campanello ansimava. Passò quasi un minuto prima che Maeve Starzynski aprisse. Indossava una vestaglia a fiori e la sua faccia tonda aveva l’espressione di chi si è appena destato da un lungo sonno.

«Oh» disse, e prevenendo le sue scuse: «Niente, niente, entrate.»

«Grazie.» Jerome entrò e aspettò in anticamera mentre lei chiudeva la porta. Un anno e più di vedovanza aveva acuito la sua sensibilità, e vicino a Maeve scoprì che riusciva veramente a percepire odore di sonno. Era una miscela evocativa di lenzuola calde, crema per il viso, e lieve sudore che gli rivelò quanto detestasse vivere in solitudine. Tanto per dirne una, se ci fosse stata ancora Carla non avrebbe passato buona parte della notte al computer …

«Ho preso un sonnifero ieri sera … doveva essere molto potente, a quanto pare» disse Maeve. «Di solito non ne faccio uso, ma me l’ha consigliato il dottore.»

«Mi dispiace di avervi disturbato a quest’ora» disse Jerome «… a quanto pare sta diventando un’abitudine, ma … be’, avrei bisogno di qualche altra informazione.»

«Di cosa si tratta?»

«Mi chiedevo …» Jerome non finì la frase, poi, con uno sforzo vinse l’imbarazzo e chiese: «Mi sapreste dire se vostro padre prendeva qualche medicina?»

«Sì» lo guardò stupita e andò in cucina per tornare poco dopo con una bottiglietta di capsule gialle. «Collofazina D. Non so di cosa sia composta, ma era stata prescritta a mio padre perché soffriva di dolori addominali.»

Jerome era sempre più a disagio. «Non alludevo a questo. Per caso vostro padre non prendeva delle pillole confezionate in una scatoletta a forma di cuore?»

Maeve sorrise incredula. «Tipo vecchia erboristeria? No.»

«So che vi pare ridicolo, e vi prometto che me ne andrò e non vi darò più fastidio… ma cosa conteneva quella scatoletta?»

«Quale scatoletta?»

Jerome la guardò interdetto. «Quella piccola, viola. L’ho vista su uno scaffale in salotto.»

«Non ricordo di aver mai visto niente di simile» ribatté calma Maeve.

«Ma …» Jerome provava l’impulso di darsela a gambe, ma il lato ostinato del suo carattere prese il sopravvento. «L’ho proprio vista su uno scaffale, vicino a un binocolo e ad alcune monete straniere. Ho un’ottima memoria per questo tipo di cose.»

«Io invece no, ragion per cui sarà meglio che andiamo a dare un’occhiata, non vi pare?» Con un sorriso a fior di labbro aprì la porta del salotto, che era nelle identiche condizioni del giorno prima fatta eccezione per la tavola che era stata rimessa sopra al foro. «Ho deciso di non servirmi più di questa stanza finché non avrò fatto riparare il pavimento, ma prima devo aspettare il benestare del coroner.»

«Capisco.» Jerome la scansò e andò allo scaffale dove aveva visto la scatoletta. Tutti gli altri oggetti erano al loro posto, ma la scatoletta a forma di cuore era sparita. Esaminò il resto della stanza, e infine si voltò a guardare Maeve che lo fissava intenta.

«Non guardatemi così» protestò lei ridendo. «Non ho nascosto niente.»

Jerome non vedeva perché dovesse mentire. «Non capisco. È entrato qualcun altro qui?»

«Nessuno.»

«Sicura?»

«Certo che sono sicura. Non ricevo poi tante visite da dimenticarmene.»

«Non capisco» mormorò Jerome sempre più perplesso. «La scatola era qui, ieri.»

Gliela descrisse minuziosamente e quando lei gli chiese perché gli interessasse tanto, espose con riluttanza la teoria sul fattore comune nelle morti per CUS. Lo fece in modo da farle capire che la riteneva una teoria campata in aria per evitare le sue critiche, ma esponendola dovette ammettere fra sé che era realmente assurda. Maeve lo ascoltava con un sorriso incredulo, e lui si rendeva conto che, oltre tutto, di quella misteriosa scatoletta non le importava niente. Era sicuro che non gli avesse mentito dicendo di non averla mai vista, e quando la vide sbadigliare ne approfittò per trovare la scusa per accomiatarsi.

«Sarà meglio che me ne vada, adesso» disse, rammaricandosi di non poter frugare da cima a fondo la stanza.

Maeve si scusò. «Di solito a quest’ora non sono così intontita, ma quella pillola …» s’interruppe con aria sorpresa. «Mi è venuta in mente una cosa.»

«Riguardo alla scatoletta?»

«No … è che il dottor Pitman è venuto qui, ieri pomeriggio. Me ne ero dimenticata.»

«Era il medico di vostro padre?» Jerome cominciava ad eccitarsi.

«Sì, ma…»

«È entrato in questa stanza?»

«Si, ma non è un ladro, se è questo che pensate.»