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«Capisco. Siete qualificato?»

«Dal punto di vista scientifico no» rispose Jerome sperando che la domanda non diventasse ricorrente. «Ma una volta ero un buon tecnico e le materie scientifiche mi hanno sempre interessato.»

McGrath lo scrutò con occhi penetranti mentre sedeva alla scrivania. «Parlate in tono difensivo» osservò.

«Davvero?» Sulle prime Jerome si sentì un po’ offeso dall’intuito di McGrath e dalla sua franchezza, ma poi capì subito che gli veniva offerta la rara occasione di valicare l’abisso che divide gli esseri umani. «Sarà perché, nonostante tutto, forse non ero neanche un buon tecnico. Ero un manovale, un generico, e mi occupavo di quelli che vengono definiti lavori a breve termine, troppo poco importanti perché se ne occupino i computer. Potevo progettarli e controllarli e metterli in cantiere nel tempo che un programmatore impiega a sistemare la sua sedia.»

«E come andò a finire?»

«Un computer sostituì i vecchi impiegati… e non era in grado di leggere i miei grafici.»

McGrath annuì pensoso e gli indicò una sedia. «E voi non volevate lavorare col computer.»

«Ne possiedo uno personale dalla nascita.»

«Qualcosa mi dice» asserì con un lieve sorriso McGrath, che è stata per voi una singolare esperienza parlare con la figlia di Starzynski.

Jerome ricambiò il sorriso, felice di cambiare argomento, e trasse di tasca penna e notes. «A quanto mi ha detto Maeve Starzynski, i resti di suo padre davano l’impressione che fosse stato cremato, non è così?»

«No.»

Jerome provò contemporaneamente delusione e sollievo. «Pareva così…»

«Un forno crematorio non dà quei risultati nel giro di pochi minuti» tagliò corto McGrath. «In genere la gente lo crede, ma vi posso assicurare che quando un cadavere viene cremato è sottoposto per novanta minuti a un calore di 1.200 gradi Celsius, e poi a mille gradi per altre tre ore. E anche così quel che ne risulta è ben lungi dall’essere cenere impalpabile o polvere. Rimangono molti frammenti ossei che vengono polverizzati da una macchina, ma nel caso di Starzynski, fatta naturalmente esclusione per la mano, c’era soltanto cenere.»

Jerome smise di prendere appunti, accorgendosi che mentre scriveva le cifre che gli snocciolava, il dottore era rimasto a bocca aperta. McGrath lo guardava con aria cupamente soddisfatta e la sua faccia pareva intagliata nel marmo alla cruda luce dei tubi al neon. Da un’altra parte dell’edificio proveniva il leggero rumore di una porta scorrevole, simile al borbottio di un tuono lontano.

«Questo è piuttosto duro da digerire» disse Jerome. «Che temperatura ci sarà voluta?»

«Questo lo ignoro, e sarebbe un interessante campo da sperimentare, però le monete che Starzynski aveva in tasca si sono fuse in un unico blocco.»

«Posso vederlo?»

«L’ha preso la polizia, credo per farlo esaminare nel laboratorio di medicina legale di Concórd. Ma venite a dare un’occhiata al. vero reperto.» Si alzò, prese dalla spalliera della seggiola un camice e lo infilò. Jerome si alzò a sua volta, un po’ timoroso, e chiuse il notes. «Fa effetto?»

«Buon Dio no!» esclamò con una risatina secca McGrath. «Un piatto di rigaglie di pollo è dieci volte più repellente. Non riesco a capacitarmi come mia moglie possa farne un paté.» Uscendo dall’ufficio diede un’occhiata al notes di Jerome. «Credo che siate l’unico cronista del paese che stenografa ancora a mano.»

«L’ho sempre fatto, anche quando collaboravo occasionalmente a una rivista tecnica.»

«Fa parte del vostro boicottaggio personale all’industria elettronica?» McGrath si fermò davanti a una porta a doppio battente. «Cos’ha che non va un registratore?»

«Un registratore va bene quando si detta. Può anche servire, se si vuole, nel corso di una conversazione multipla, posto che tutti s’adattino a parlare a turno e ogni volta dicano il proprio nome. Ma quando c’è un gruppo che discute, borbotta, o tutti parlano contemporaneamente con gesti ed espressioni che sottolineano quello che stanno dicendo, una buona trascrizione stenografica è mille volte meglio.»

«Siete un bravo stenografo?»

«Quasi trecento parole al minuto.»

«Avrei dovuto immaginarlo» commentò McGrath con espressione enigmatica. Aprì la porta ed entrarono in un ampio locale, clinicamente bianco, con una triplice fila di sportelli quadrati su due pareti. Jerome rimase sorpreso nel sentire una musica sommessa, ma poi vide un giovanotto grasso seduto a una scrivania intento ad ascoltare una radiolina tascabile, mentre mangiava un panino. L’aria era fredda, tanto da far rabbrividire Jerome.

«Non lasciatevi impressionare» disse McGrath indicando le file degli sportelli. «Sono quasi tutti vuoti. L’architetto che ha fatto il progetto deve aver pensato che eravamo un branco di fanatici dell’ibernazione.»

Jerome alzò le spalle. «Dà proprio questa impressione.»

«Non è certo una serra.» McGrath andò alla scrivania e batté imperiosamente con le nocche sul ripiano prima di parlare al giovane. «Scusami se interrompo la tua tendenza all’obesità, Mervyn, ma vogliamo vedere i resti di Starzynski.»

«Numero otto» disse Mervyn dandogli un mazzo di chiavi.

«Grazie.» McGrath spense la radio, guadagnandosi un’occhiata sorpresa dal suo proprietario, fece un cenno a Jerome e si diresse verso uno degli sportelli. L’aprì e ne estrasse un cassetto che scivolava senza far rumore su una mensola telescopica. Ai lati si levarono volute di vapore. Jerome si avvicinò con riluttanza e vide che nel cassetto c’erano due sacchetti di plastica. Uno era pieno di cenere grigio scuro, e l’altro, su cui si stava già condensando il vapore, conteneva la mano sinistra di Art Starzynski. Il polso terminava con un moncherino annerito e le dita erano stese e allargate, come se Starzynski fosse stato colpito da un’improvvisa scossa un attimo prima di morire.

Jerome guardò quel grottesco oggetto, pensando di provare un istintivo ribrezzo, invece non sentì alcuna emozione. La distruzione e la perdita dell’umanità di Starzynski erano state troppo complete, e quella mano avrebbe potuto essere un reperto dell’antico Egitto o un fossile, troppo distaccata dall’immediatezza della vita per avere un qualsiasi significato per coloro che continuavano ancora a respirare e a sentire nelle proprie vene il calore del flusso sanguigno.

«Vedete cosa volevo dire a proposito della consistenza delle ceneri?» disse McGrath sfiorando il sacchetto più grande con un dito. «Non so quale temperatura sia stata necessaria per ottenere questo risultato. Certo una temperatura eccezionalmente elevata.»

«Eppure non ci sono tracce d’incendio nel resto della stanza.»

«Così dicono» confermò McGrath con un’alzata di spalle. «Sono ben contento di non dover stabilire la causa della morte di quest’uomo.»

«Non avete qualche teoria?»

«L’unica a cui potrei dare un po’ di credito è che o Maeve Starzynski ha ucciso suo padre o l’ha trovato morto, l’ha smembrato e l’ha infilato per una settimana in una potente fornace per ridurlo così.»

Jerome manifestò sbuffando il suo scetticismo. «Perché dovrebbe averlo fatto?»

«Non ne ho idea, a me tocca solo spiegare le condizioni fisiche dei resti, ma la teoria è comunque inutile, perché i vicini hanno parlato con Starzynski meno di un’ora prima della sua morte. Vi basta? Vi interessa altro qui dentro?»

«No, ma credo di capire meglio il problema, adesso. Grazie per avermi dedicato parte del vostro tempo.»

«Felice di esservi stato utile.» McGrath fece scorrere il cassetto col suo macabro contenuto nell’interno del vano, chiuse a chiave lo sportello e restituì le chiavi al giovane grasso. Mervyn salutò con un cenno, e prima che i due fossero usciti aveva già riacceso la radio.

«Certa gente non ha rispetto per i morti» commentò malinconicamente McGrath.