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«Sciocchezze» disse Lloyd. «In base all’lMM, io scelgo quella che l’altra versione di me non ha scelto. Se lui va a destra, io devo andare a sinistra; se io vado a destra, lui deve andare a sinistra. E solo l’arroganza può far pensare a qualcuno che in questo universo è sempre la mia scelta a essere presa in considerazione, mentre l’altra è semplicemente l’alternativa che si deve esprimere in un altro universo. L’interpretazione dei molti mondi dà l’illusione della scelta, ma in realtà è del tutto deterministica.»

Della Robbia si girò verso Theo, allargando le braccia in un appello al buon senso. «Ma l’IT dipende dalle onde che viaggiano indietro nel tempo!»

La voce di Theo era gentile. «Io credo che abbiamo già abbondantemente dimostrato la realtà dell’informazione che viaggia indietro nel tempo, Franco» disse. «Inoltre, quello che Cramer ha detto veramente è che la transazione si verifica in modo atemporale… al di fuori del tempo.»

«E poi» aggiunse Lloyd, calcando sull’acceleratore, adesso che aveva un alleato, «la tua versione di ciò che è successo è quella che richiede il viaggio nel tempo.»

Della Robbia sembrò sconcertato. «Che cosa? Come? Le visioni rappresentano semplicemente un universo parallelo.»

«Qualsiasi universo parallelo dell’IMM che possa esistere si muoverebbe certamente in conformità con il nostro: se si potesse guardare in un universo parallelo si vedrebbe che oggi è sempre il 26 aprile 2009; per la verità, l’intero concetto di calcolo dei quanti dipende dal fatto che gli universi paralleli si trovino precisamente allineati con il nostro. Perciò, sì, se tu potessi guardare in un universo parallelo, potresti vedere un mondo in cui ti sei messo a sedere vicino a Michael Burr, invece che vicino a me e Theo, ma sarebbe sempre l’adesso. L’idea che tu suggerisci è quella di aggiungere un contatto con gli universi paralleli, oltre al vedere nel futuro: è già abbastanza difficile accettare una di queste idee senza dovere accettare anche l’altra, e…»

Jake Horowitz apparve al loro tavolo. «Scusate l’interruzione,» disse «ma c’è una chiamata per lei, Theo. Dice che riguarda il suo messaggio nel sito Mosaico.»

Theo si allontanò di corsa dal tavolo, abbandonando il kebab mezzo mangiato. «Linea tre» gli disse Jacob, seguendolo. C’era un ufficio vuoto proprio fuori dalla sala mensa; Theo vi si infilò. Il codice identificativo del telefono diceva semplicemente ‘chiamata da fuori distretto’. Theo prese la cornetta.

«Pronto» disse. «Sono Theo Procopides.»

«Mio Dio» rispose la voce maschile, in inglese, all’altra estremità della linea. «È strano… parlare con qualcuno che sai che morirà.»

Theo non aveva risposte da dare, perciò si limitò a dire: «Ha qualche informazione sul mio omicidio?»

«Già, immagino di sì. Nella mia visione leggevo qualcosa in proposito.»

«Che diceva?»

L’uomo gli fece il riassunto di ciò che aveva letto. Non vennero fuori fatti nuovi.

«Parlava dei superstiti?» chiese Theo.

«Che cosa vuole dire? Non è stato un disastro aereo.»

«No, no, no. Intendevo, diceva niente di chi mi è sopravvissuto? Capisce, se avevo una moglie o dei figli.»

«Oh, certo. Vediamo se riesco a ricordare…»

Vediamo se riesco a ricordare. Il suo futuro era tutto affidato al caso; nessuno se ne preoccupava veramente. Non era importante, non era reale. Solo un tizio di cui si era letto qualcosa sul giornale.

«Già» disse la voce. «Già, lei lascerà una moglie e un figlio.»

«Sul giornale c’erano scritti i loro nomi?»

L’interlocutore sbuffò aria nella cornetta mentre pensava. «Il figlio si chiamava… Constantin, mi pare.»

Constantin. Il nome di suo padre; sì, Theo aveva sempre pensato che avrebbe potuto chiamare così un figlio.

«E la madre del ragazzo? Mia moglie?»

«Mi dispiace. Non me lo ricordo.»

«Si sforzi, la prego.»

«No, mi dispiace. Proprio non me lo ricordo.»

«Potrebbe sottoporsi a una seduta di ipnosi…»

«È matto? Non ho nessuna intenzione di farlo. Senta, io le ho telefonato per aiutarla; ho immaginato che le avrei fatto un favore, mi capisce? Ho solo pensato che sarebbe stata una cosa bella da fare. Ma non voglio farmi ipnotizzare, o imbottire di droghe, o roba del genere.»

«Ma mia moglie… la mia vedova… ho bisogno di sapere chi è.»

«Perché? Io non so con chi sarò sposato fra ventuno anni; perché a lei dovrebbe interessare?»

«Potrebbe costituire un elemento che mi può condurre al mio assassino.»

«Be’, ecco… può darsi. Ma io ho fatto per lei tutto quello che potevo.»

«Ma lei lo ha visto il nome! Lei lo conosce!»

«Come le ho detto, non riesco a ricordarlo. Mi dispiace.»

«La prego… io sono disposto a pagarla.»

«Davvero amico, non me lo ricordo. Ma ascolti, se mi viene in mente mi rimetterò in contatto con lei… Per il momento è tutto quello che posso fare.»

Theo si costrinse a non insistere. Strinse le labbra, poi annuì solennemente. «D’accordo. Grazie. Grazie per il tempo che mi ha dedicato. Posso conoscere il suo nome, magari per il mio archivio?»

«Spiacente, amico. Come ho detto, se mi torna in mente qualcos’altro mi rifarò vivo io.»

Il telefono divenne muto.

15

Michiko tornò quella sera da Tokyo. Sembrava, se non rasserenata, almeno non più sul punto di andare in pezzi.

Lloyd, che aveva trascorso il pomeriggio eseguendo un’altra serie di simulazioni al computer, andò a prenderla all’aeroporto di Ginevra, percorse la dozzina di chilometri che lo separavano dal suo appartamento e poi…

E poi fecero l’amore, per la prima volta nei cinque giorni successivi al Cronolampo. Era quasi sera; le luci nella stanza erano spente, ma c’era un bel po’ di illuminazione che filtrava dall’esterno attraverso le persiane. Lloyd era sempre stato meno controllato di Michiko, anche se lei rispondeva in modo magnifico. Forse le sue inclinazioni erano state un po’ primitive, un po’ troppo occidentali, perché all’inizio Michiko potesse apprezzarle, ma col passare del tempo lei si era lasciata scaldare dai suoi stimoli, e Lloyd si era sempre premurato di essere un amante attento e partecipe. Ma quella sera fu una cosa frettolosa: la posizione del missionario, niente di più. Di solito, dopo avere fatto l’amore, le lenzuola erano sempre umide di sudore: quella sera, invece, rimasero quasi asciutte, e su un lato erano ancora appuntate.

Lloyd era sdraiato sulla schiena, e fissava il soffitto scuro. Michiko gli giaceva accanto, un braccio pallido appoggiato sul petto nudo e villoso di lui. Rimasero a lungo in silenzio, ognuno perso dietro i propri pensieri.

Fu poi Michiko a rompere il silenzio. «Ti ho visto alla CNN quando ero a Tokyo. Credi davvero che non abbiamo libero arbitrio?»

Lloyd ne rimase sorpreso. «Be’,» disse infine «noi crediamo di averlo, il che equivale alla stessa cosa, immagino. Ma l’inevitabilità è una costante in una quantità di sistemi di fede. Prendi l’Ultima Cena. Gesù disse a Pietro — Pietro, ricorda, la pietra sul quale sarebbe stata edificata la sua chiesa — Gesù disse a Pietro che lo avrebbe tradito per tre volte. Pietro protestò che una cosa del genere non sarebbe mai avvenuta, ma naturalmente accadde. E Giuda Iscariota — un personaggio tragico, ho sempre pensato — era destinato a denunciare Cristo alle autorità, che lo volesse o no. Il concetto di avere un ruolo da recitare, un destino da soddisfare, è molto più antico del concetto di libero arbitrio.» Una pausa. «Sì, io sono davvero convinto che il futuro sia immutabile quanto il passato; se non fosse immutabile, come potrebbe ognuno di noi avere visioni di un domani coerente? La visione di ciascuno non sarebbe forse diversa… o, per dirla meglio, non sarebbe impossibile per tutti avere una visione qualsiasi?»