Forse c’erano dei sistemi meno drastici per sondare la realtà del futuro. Poteva strapparsi un occhio, tagliarsi un braccio, farsi un tatuaggio sul viso: qualsiasi cosa che rendesse il suo aspetto permanentemente diverso da quello che gli altri avevano osservato nelle loro visioni.
Ma no. Non avrebbe funzionato.
Non avrebbe funzionato perché nessuna di quelle cose era permanente. Un tatuaggio si poteva rimuovere, un braccio si poteva sostituire con una protesi, nella cavità orbitale si poteva inserire un occhio di vetro.
No: non poteva avere un occhio di vetro; nella sua visione di quel dannato ristorante lui aveva una normale vista stereoscopica. Perciò, strapparsi un occhio sarebbe stata una prova convincente per determinare se il futuro era immutabile o no.
A parte il fatto che…
A parte il fatto che si stavano facendo grandi passi nel campo delle protesi e della genetica. Chi poteva dire che fra due decenni non sarebbe stato possibile clonargli un occhio nuovo, o un braccio nuovo? E chi poteva dire che lui avrebbe rifiutato una soluzione del genere, l’occasione per rimediare al danno provocato da un gesto impulsivo commesso in gioventù?
Suo fratello Theo voleva disperatamente convincersi che il futuro non era prefissato. Ma il socio di Theo, quel tipo alto, il canadese… come diavolo si chiamava? Simcoe, ecco. Simcoe aveva sostenuto l’esatto contrario: Dim lo aveva visto alla televisione, quando aveva affermato a chiare lettere che il futuro era scolpito nella pietra.
E se il futuro era scolpito nella pietra — se Dim non ce l’avrebbe mai fatta a sfondare come scrittore — allora lui proprio non aveva voglia di andare avanti. Le parole erano il suo unico amore, la sua unica passione… e, a essere onesti, il suo unico talento. La matematica non faceva per lui (com’era stato duro seguire Theo attraverso le stesse scuole, dove gli insegnanti si aspettavano che lui dimostrasse le stesse capacità del fratello!), non gli piaceva nessuno sport, non sapeva cantare, né dipingere, e davanti ai computer era una frana.
Naturalmente, se si fosse sentito così disperato in futuro, avrebbe potuto uccidersi allora.
Ma sembrava che non lo avesse fatto.
Certo che no. I giorni e le settimane scorrono via abbastanza facilmente; non necessariamente ci si accorge che la propria vita non procede, non progredisce, non diventa ciò che si è sempre desiderato.
No, sarebbe stato molto facile finire per vivere proprio quel genere di vita — quella vita vuota che aveva visto nella visione — se avesse lasciato che gli scivolasse addosso, giorno dopo giorno, uno più triste dell’altro.
Ma gli era stato fatto un dono, il dono di un’immagine anticipata. Quel Simcoe aveva parlato della vita come di una pellicola già impressionata… ma l’operatore aveva inserito nel proiettore la bobina sbagliata, e ci aveva messo due minuti prima di rendersi conto dell’errore. C’era stato un salto, una rapida transizione dall’oggi a un domani futuro, poi di nuovo indietro. Quella prospettiva era diversa dal semplice svolgersi della vita, un fotogramma dopo l’altro. Adesso Dim poteva vedere con chiarezza che la vita davanti a lui non era quella che lui voleva… che, in un modo molto concreto, se era destinato a servire moussaka e fiammeggiare saganaki, era già morto.
Dim tornò a fissare la boccetta delle pillole. Sì, tanti altri, in tutto il mondo, stavano certamente contemplando il loro futuro, domandandosi se, adesso che sapevano quello che li aspettava, avevano ancora voglia di andare avanti.
Se anche uno solo di loro lo avesse fatto — se si fosse veramente tolto la vita — di certo questo avrebbe provato che il futuro si poteva cambiare. Senza dubbio questo pensiero era venuto anche agli altri. Senza dubbio molti stavano aspettando che qualcun altro lo facesse per primo, stavano aspettando le notizie che avrebbero certamente invaso la rete: ‘Trovato morto un uomo visto da altri nel 2030’. ‘Il suicidio dimostra che il futuro è fluido’.
Dim prese di nuovo la boccettina di plastica ambrata, girandola da una parte e dall’altra, sentendo il rumore delle pillole che sbattevano fra loro.
Sarebbe stato facile aprire il coperchio, premendolo contro la mano — come stava facendo adesso — e ruotarlo, per annullare il congegno di sicurezza, lasciando fuoriuscire le pillole.
Di che colore erano? si domandò. Buffo, quel pensiero: Dim stava accarezzando l’idea di togliersi la vita, e non sapeva di che colore fosse il potenziale strumento della sua morte. Tolse il coperchio. C’era del cotone, ma non abbastanza da tenere ferme le pillole. Lo estrasse.
Be’, che mi prenda…
Le pillole erano verdi. Chi lo avrebbe mai detto? Pillole verdi; una morte verde.
Dim piegò la boccetta e picchiettò la base finché una pillola non gli cadde in mano. Nella parte centrale c’era una piegatura, probabilmente per poterla spezzare in due con l’unghia del pollice allo scopo di assumerne una dose minore.
Ma lui non voleva una dose minore.
Aveva a portata di mano una bottiglia d’acqua; l’aveva presa non gassata — contrariamente alle sue abitudini — per evitare che l’anidride carbonica interferisse con l’azione del farmaco. Si mise la pillola in bocca. Si aspettava quasi un sapore di limone o di menta, ma la pillola non sapeva di niente. La tavoletta era ricoperta da una sottile pellicola, simile a quella dell’aspirina premium. Prese la bottiglia d’acqua e ne mandò giù un sorso. La pellicola fece il suo dovere: la pillola gli scivolò dolcemente lungo la gola.
Piegò di nuovo la boccetta, e ne fece cadere altre tre pillole verdi, se le infilò in bocca e le inghiottì con una grossa sorsata di acqua minerale.
Erano quattro; il massimo della dose per un adulto, segnato sull’etichetta, era di due pastiglie, e si specificava che era meglio evitarne l’uso per più notti consecutive.
Dim era riuscito a ingoiarne tre insieme senza difficoltà. Ne lasciò cadere altre tre nel palmo della mano, le mise in bocca e bevve un’altra sorsata d’acqua.
Sette. Un numero fortunato, quello. Almeno così si diceva.
Voleva veramente farlo? Aveva ancora il tempo per fermarsi. Poteva chiamare il numero del pronto soccorso, o infilarsi un dito in gola.
Oppure…
Oppure pensarci sopra un altro po’. Concedersi qualche minuto in più per riflettere.
Probabilmente sette pastiglie, non erano sufficienti a fargli davvero del male. Certamente no. Era quasi sicuro che un sovradosaggio come quello capitasse piuttosto spesso. Be’, non aveva forse letto in rete che ne occorrevano almeno altre dieci?
Lasciò cadere altre pillole nel palmo della mano e restò lì a fissare il mucchietto di pietruzze verdi.
20
«Voglio mostrarti qualcosa» disse Carly.
Jake sorrise e con un gesto della mano le fece cenno di procedere. Si trovavano adesso al TRIUMF, il Tri-University Meson Facility, il laboratorio canadese più importante nel campo della fisica delle particelle.
Lei si avviò lungo un corridoio, Jake la seguì. Oltrepassarono alcune porte con sopra attaccati dei disegni umoristici riferiti alle scienze. S’imbatterono anche in qualche dipendente, ognuno dei quali portava dei dosimetri cilindrici che avevano lo stesso scopo, ma non somigliavano affatto alle piastrine di plastica trasparente che tutti indossavano al CERN.