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«Non lo so» disse Lloyd.

«Be’, allora mettila in questo modo: tu ti stai torturando per il senso di colpa. Se provi a riprodurre il Cronolampo e non ci riesci, allora l’LHC non c’entra niente, in fondo. E questo significa che puoi rilassarti.»

«Forse hai ragione» disse Lloyd. «Ma da chi posso ottenere il permesso di riprodurre l’esperimento? Chi mai potrebbe autorizzarmi a farlo?»

Michiko si strinse nelle spalle. «La città più vicina è Ginevra» disse. «Qual è la ragione per cui è più famosa?»

Lloyd aggrottò la fronte, sciorinando la litania delle possibili risposte giuste. Poi gli venne in mente: la Società delle Nazioni, antenata dell’ONU, era stata fondata proprio a Ginevra nel 1920. «Mi stai suggerendo di portare la cosa alle Nazioni Unite?»

«Certo. Potresti andare a New York e sottoporre il tuo caso.»

«Le Nazioni Unite non si mettono mai d’accordo su niente» osservò Lloyd.

«Su questo saranno d’accordo» disse Michiko. «L’idea è troppo seducente per respingerla.»

Theo aveva parlato con i genitori e con i vicini di casa, ma nessuno di loro sembrava avere avuto informazioni significative sulla sua futura morte. Così prese un 7117 della Olympic Airlines e tornò a Ginevra. Era stato Franco Della Robbia ad accompagnarlo all’aeroporto, ma stavolta Theo prese un taxi — piuttosto caro, trenta franchi svizzeri — per tornare al campus. Dal momento che sull’aereo non gli avevano dato nulla da mangiare, decise di andare subito a mettere qualcosa sotto i denti al bar del centro di controllo dell’LHC. Quando entrò, con sua grande sorpresa vide Michiko Komura seduta da sola a un tavolo sul retro. Theo prese una bottiglietta di succo d’arancia e un piatto di salsicce longeole, e puntò verso di lei, oltrepassando diversi gruppetti di fisici che mangiavano e discutevano ogni possibile teoria che potesse spiegare il Cronolampo. In quel momento capì perché Michiko era sola; l’ultima cosa alla quale voleva pensare era proprio l’evento che aveva provocato la morte di sua figlia.

«Ciao, Michiko» disse Theo.

Lei sollevò lo sguardo. «Oh, ciao, Theo. Bentornato.»

«Grazie. Ti dispiace se mi metto qui?»

Michiko indicò con un gesto della mano il posto vuoto di fronte a lei. «Com’è andato il viaggio?»

«Non ho saputo granché.» Pensò di non dire altro, ma, insomma, era stata lei a chiederglielo. «Mio fratello Dimitrios… lui dice che la visione ha rovinato il suo sogno. Vuole diventare un grande scrittore, ma sembra che non lo diventerà mai.»

«E triste» disse Michiko.

«Tu che fai?» chiese Theo. «Come va?»

Michiko allargò appena le braccia, come se non ci fosse una risposta semplice. «Sopravvivo. Ci sono minuti interi in cui riesco a non pensare a quello che è successo a Tamiko.»

«Mi dispiace tanto» disse Theo, per la centesima volta. Una lunga pausa. «Per il resto come va?»

«Bene.»

«Proprio bene?»

Michiko stava mangiando una quiche di formaggio au bleu de Gex. Aveva davanti anche una mezza tazza di tè; ne bevve un sorso, mentre raccoglieva i pensieri. «Non lo so. Lloyd… lui non è sicuro di volere arrivare al matrimonio.»

«Sul serio? Mio Dio.»

Michiko si guardò intorno, valutando fino a che punto fossero soli; la persona più vicina era quattro tavoli più in là, apparentemente assorta nella lettura di qualcosa su un’agenda elettronica. Sospirò, poi alzò appena le spalle. «Io amo Lloyd… e so che anche lui mi ama. Ma non riesce a sopportare l’idea che il nostro matrimonio non durerà.»

Theo alzò le ciglia. «Be’, viene da una famiglia spezzata. Sembra che la separazione sia stata un brutto colpo, per lui.»

Michiko annuì. «Lo so, sto cercando di capire. Davvero, ci sto provando.» Una pausa. «Come va il matrimonio dei tuoi genitori?»

Theo fu sorpreso dalla domanda. Aggrottò la fronte mentre ci pensava sopra. «Bene, mi sembra; sono ancora felici, direi. Papà non è mai stato molto espansivo, ma pare che a mamma non sia mai importato troppo.»

«Mio padre è morto» disse Michiko. «Ma immagino che fosse un giapponese tipico della sua generazione. Si teneva tutto dentro, e il suo lavoro era tutta la sua vita.» Fece una pausa. «Un attacco di cuore a quarantasette anni, quando io ne avevo ventidue.»

Theo cercò le parole giuste. «Sono sicuro che sarebbe stato molto orgoglioso di te, se fosse vissuto abbastanza da vedere quello che sei diventata.»

Michiko sembrò prendere sul serio quell’affermazione, invece di ignorarla come semplice banalità. «Può darsi. Il suo punto di vista tradizionale non prevedeva che le donne facessero carriera in campo ingegneristico.»

Theo aggrottò la fronte. In effetti non sapeva molto della cultura giapponese. C’erano state delle conferenze in Giappone, alle quali avrebbe potuto farsi invitare, ma anche se era stato in tutta Europa, una volta in America, e a Hong Kong quando era ancora un ragazzo, Theo non aveva mai sentito il bisogno di recarsi in Giappone. Ma Michiko era così affascinante… ogni suo gesto, ogni sua espressione, il suo modo di parlare, il suo sorriso e il modo in cui arricciava il naso piccolo, la sua risata dai toni acuti. Come poteva essere affascinato da lei e non dalla sua cultura? Non avrebbe dovuto sapere com’era fatto il suo popolo, com’era il suo paese, ogni tessera del crogiolo che l’aveva formata?

O doveva essere onesto fino in fondo, e riconoscere che il suo era un interesse puramente sessuale? Michiko era di certo bellissima… ma al CERN lavoravano tremila persone, metà delle quali di sesso femminile; Michiko non era l’unica bella donna.

Eppure c’era qualcosa in lei… qualcosa di esotico. E poi, be’, ovviamente a lei piacevano gli uomini bianchi…

No, non era quello. Non era quello che la rendeva affascinante. Non se ci pensava bene, se guardava la cosa in faccia, senza cercare scuse. Quello che era più affascinante in Michiko era il fatto che avesse scelto Lloyd Simcoe, il collega di Theo. Erano entrambi scapoli, entrambi disponibili. Lloyd aveva una decina d’anni più di Michiko, Theo era otto anni più giovane di lei.

Non che Theo fosse una specie di stakanovista, e che il solo Simcoe fosse capace di godersi le gioie semplici della vita. Theo usciva spesso sul lago Lemano in barche a vela a noleggio, giocava a croquet e badminton sui campi del CERN, trovava il tempo per andare ad ascoltare jazz allo Chat noir di Ginevra o seguire il teatro alternativo all’ Usine; di tanto in tanto faceva anche una puntatina al Grand Casino.

Ma quella donna affascinante, bellissima, intelligente, aveva scelto il posato, tranquillo Lloyd.

E adesso, a quanto sembrava, Lloyd non era pronto a sposarla.

Di certo non era un buon motivo per volerla per sé. Ma il cuore era separato dalla fisica; le sue reazioni potevano non essere prevedibili. Lui la voleva e, be’, se Lloyd aveva intenzione di farsela scivolare fra le dita…

«Però» disse Theo, rispondendo alla fine al commento di Michiko sul fatto che suo padre non avrebbe approvato la scelta di diventare ingegnere, «avrebbe certamente dovuto ammirare la tua intelligenza.»

Michiko alzò le spalle. «Fino a quando si fosse riflessa positivamente su di lui, immagino di sì.» Fece una pausa. «Ma non avrebbe approvato il mio matrimonio con un bianco.»

Il cuore di Theo mancò un battito… ma se fosse per il bene di Lloyd o per il suo, non avrebbe potuto dirlo. «Oh.»