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«Non aveva nessuna fiducia nell’occidente. Non so se lo sai, ma in Giappone va molto di moda fra i giovani indossare abiti con frasi inglesi scritte sopra. Non importa quello che dicono… quello che importa è la dimostrazione di un’adesione alla cultura americana. In effetti, per chi conosce l’inglese, sono espressioni di uso piuttosto comune. ‘Fragile: non agitare’, ‘Consumare preferibilmente entro la data di scadenza’, ‘La dichiarazione dei diritti dell’uovo’, ‘Quando sorrido mi si arriccia il naso’. La dichiarazione dei diritti dell’uovo… quando l’ho vista non ho potuto fare a meno di ridere. Un giorno tomai a casa con una maglietta che aveva sopra delle parole inglesi… solo parole, nemmeno una frase, parole di colori differenti su fondo nero: ‘puppy’, ‘ketchup’, ‘hockey rink’, ‘very’ e ‘purpose’. Mio padre mi punì per avere indossato una maglietta del genere.»

Theo cercò di mostrarsi partecipe, domandandosi nel contempo sotto quale forma si fosse manifestata quella punizione. Nessuna attenuante… o forse i genitori giapponesi concedevano qualche attenuante ai figli? L’avevano mandata in camera sua? Decise di non chiederglielo.

«Lloyd è un uomo buono» disse. Le parole gli vennero fuori senza che nemmeno ci avesse pensato; forse erano sgorgate da qualche innato senso di lealtà che fu felice di accorgersi di possedere.

Michiko rifletté anche su quella frase; era portata a riflettere su ogni commento, cercandovi una verità nascosta.

«Oh, sì» disse. «E un uomo molto buono. Si preoccupa che il nostro matrimonio possa non durare per sempre, a causa di quella stupida visione… ma ci sono così tante cose delle quali, vivendo con lui, so che non dovrò mai preoccuparmi. Non mi farà mai del male, di questo sono sicura.

Non mi umilierà mai, né mi metterà mai a disagio. E ha la grande capacità di ricordare i particolari. Una volta, qualche mese fa, gli ho detto incidentalmente i nomi delle mie nipoti. L’altra settimana ne stavamo riparlando, e lui se li ricordava tutti. Perciò posso essere sicura che non dimenticherà mai il giorno del nostro anniversario di matrimonio o del mio compleanno. Ho avuto altri uomini — sia giapponesi che bianchi — ma non ce n’è mai stato uno che mi abbia dato la stessa sicurezza, la stessa convinzione che sarebbe stato dolce e gentile con me.»

Theo si sentì a disagio. Pensava anche a se stesso come a un uomo buòno, certamente incapace di mettere le mani addosso a una donna. Ma, insomma, lui aveva il carattere di suo padre; nel corso di una discussione, se bisognava dire la verità, sì, lui poteva essere capace di dire cose che avevano lo scopo di ferire. E in verità, un giorno qualcuno lo avrebbe odiato abbastanza da volerlo uccidere. Lloyd, il buon Lloyd, avrebbe mai potuto suscitare sentimenti del genere in un altro essere umano?

Fece un leggero diniego, scacciando quei pensieri. «Hai scelto bene» le disse.

Michiko chinò la testa, accettando il complimento, poi aggiunse: «Anche Lloyd.» Theo ne fu sorpreso; non era da Michiko essere immodesta. Ma le sue parole successive resero chiaro ciò che intendeva dire. «Non avrebbe potuto scegliere una persona migliore come suo collaboratore.»

Non ne sono così sicuro, pensò Theo, ma non lo disse ad alta voce.

Naturalmente non poteva corteggiare Michiko. Era la fidanzata di Lloyd.

E pòi…

E poi, non erano i suoi affascinanti occhi giapponesi.

Non era nemmeno la gelosia, o il fascino nato dal fatto che Michiko avesse scelto Lloyd invece di lui.

In cuor suo Theo conosceva il vero motivo del suo improvviso interesse per lei. Non poteva non conoscerlo. Immaginava che se si fosse imbarcato in qualche nuova, folle vita, se avesse svoltato all’improvviso, se avesse compiuto una mossa del tutto imprevedibile — tipo fuggire via e sposare la fidanzata del suo collega — in tal caso, in qualche modo, avrebbe fottuto il destino, cambiando il suo futuro in modo così radicale da non finire di fronte al muso di una pistola carica.

Michiko era straordinariamente intelligente, ed era molto bella. Ma lui non l’avrebbe corteggiata, farlo sarebbe stato da pazzi.

Theo si sorprese quando una risatina gli sgorgò dalla gola… ma si divertì anche, in un certo senso. Forse Lloyd aveva ragione, forse l’intero universo era un blocco solido, e il tempo immutabile. Oh, Theo aveva pensato di fare qualcosa di folle, ma poi, dopo quella che gli era sembrata un’attenta riflessione, valutando le opzioni e riflettendo sulle sue stesse motivazioni, aveva finito col fare esattamente ciò che avrebbe fatto se la discussione non fosse mai avvenuta.

Il film della sua vita continuava a svolgersi, un fotogramma dopo l’altro, tutti già impressionati.

21

Michiko e Lloyd avevano programmato di non andare a vivere insieme fino al loro matrimonio ma, a parte il tempo che aveva passato a Tokyo, Michiko aveva finito col restare tutte le notti a casa di Lloyd fin dal giorno della morte di Tamiko. Per la verità, dal momento del Cronolampo, otto giorni prima, lei era andata a casa solo un paio di volte, di corsa. Tutto ciò che vi vedeva la faceva piangere: le scarpine di Tamiko sullo stuoino davanti alla porta, la sua bambola Barbie appollaiata su una delle sedie del soggiorno (Tamiko la lasciava sempre seduta comoda), il disegno delle sue dita fissato con la calamita allo sportello del frigo, perfino il punto sulla parete dove Tamiko aveva scritto il suo nome col pennarello, e che Michiko non era mai riuscita a ripulire.

Così rimasero a casa di Lloyd, evitando i ricordi.

Ma ogni tanto Michiko si perdeva nel nulla, fissando il vuoto a occhi sbarrati. Lloyd non sopportava di vederla così triste, ma sapeva che non poteva fare niente. Lei avrebbe sofferto… be’, probabilmente per sempre.

E, naturalmente, lui non era uno sprovveduto: aveva letto moltissimi articoli sulla psicologia e sulla vita di relazione, e si era sorbito la sua quota di programmi come Oprah e Giselle. Sapeva che non avrebbe dovuto dirlo, ma a volte le parole venivano fuori da sole, impetuosamente, senza pensarci. L’unica cosa che aveva cercato di fare era riempire il silenzio fra sé e Michiko.

«Lo sai,» le disse «tu avrai un’altra figlia. La tua visione…»

Ma lei lo tacitò con un’occhiata.

Non disse una parola, ma Lloyd riuscì a leggere nei suoi occhi. Non si può rimpiazzare un figlio con un altro. Ogni figlio è speciale.

Lloyd lo sapeva; anche se non era mai stato — non ancora — genitore, lo sapeva. Molti anni prima aveva visto un vecchio film con Mickey Rooney intitolato La commedia umana, ma non era affatto divertente e, alla fin fine, a Lloyd non era nemmeno sembrato troppo umano. Rooney recitava la parte di un soldato americano che durante la seconda guerra mondiale veniva inviato in Europa. Non aveva una famiglia sua, ma viveva una sorta di rapporto vicario con i parenti del suo compagno di branda, attraverso le lettere che lui riceveva da casa. Proprio attraverso quelle lettere, che il suo compagno divideva con lui, Rooney finiva col conoscerli tutti: il fratello, sua madre, la sua innamorata. Poi l’uomo rimaneva ucciso in battaglia e Rooney tornava nel paese dell’amico, riportando indietro i suoi effetti personali. Incontrava il fratello più giovane dell’ucciso all’ingresso della loro fattoria, ed era come se Rooney lo conoscesse da sempre. Alla fine quello stesso fratello entrava in casa e gridava: «Mamma… il soldato è tornato!»

Poi seguivano i titoli di coda.

Il pubblico era portato in qualche modo a pensare che Rooney avrebbe preso il posto del soldato ucciso in Francia.

Era tutto un imbroglio; anche un adolescente — lui aveva forse sedici anni quando aveva visto il film — si rendeva conto che era un imbroglio, sapendo benissimo che una persona non può mai essere sostituita da un’altra.