E adesso, stupidamente, per un breve momento, aveva sottinteso che la figlia futura di Michiko potesse in qualche modo prendere il posto della piccola, scomparsa Tamiko nel suo cuore.
«Scusami» disse.
Michiko non sorrise, ma annuì in modo quasi impercettibile.
Lloyd non sapeva se fosse il momento giusto; per tutta la vita era stato assillato dalla sua incapacità di capire quando fosse il momento giusto: il momento giusto per avvicinare una ragazza al liceo, il momento giusto per chiedere un aumento di stipendio, il momento giusto per interrompere due persone a una festa in modo da potersi presentare, il momento giusto per scusarsi quando qualcun altro voleva evidentemente restarsene da solo. Alcuni avevano un senso innato per capire queste cose, Lloyd no.
Eppure…
Eppure la questione doveva essere risolta.
Il mondo era stato spolverato; la gente continuava a vivere la propria vita. Sì, molti camminavano con le stampelle; sì, alcune compagnie di assicurazione avevano già fatto bancarotta; sì, c’era un numero ancora non precisato di vittime. Ma la vita doveva andare avanti, e la gente tornava a lavorare, andava a casa, mangiava, andava al cinema e si sforzava con maggiore o minore successo di sopravvivere.
«A proposito del matrimonio…» disse, senza concludere la frase, lasciando che le parole galleggiassero fra loro due.
«Sì?»
Lloyd sospirò. «Io non so chi sia quella donna… la donna della mia visione. Non ho idea di chi sia.»
«E allora pensi che potrebbe essere migliore di me, è questo?»
«No, no, no. Certo che no. È solo che…»
Si interruppe, ma Michiko lo conosceva troppo bene. «Tu stai pensando che sul pianeta ci sono sette miliardi di persone. E che ci siamo incontrati solo per puro caso.»
Lloyd annuì, sentendosi in colpa.
«Può darsi» disse Michiko. «Ma se consideri le probabilità contrarie al nostro incontro, io credo che ci sia qualcosa di più. Non è semplicemente che tu hai cercato me, o io te. Tu vivevi a Chicago, io a Tokyo… e siamo finiti tutti e due qui, sul confine franco-svizzero. E puro caso, o destino?»
«Io non penso che tu possa credere nel destino, e contemporaneamente nel libero arbitrio» disse dolcemente Lloyd.
«Immagino di no.» Michiko abbassò gli occhi. «E poi, be’, forse tu non sei davvero pronto per il matrimonio. Tanti dei miei amici, nel corso degli anni, si sono sposati perché erano convinti che fosse la loro ultima occasione. Sai com’è, si arriva a una certa età e si pensa che se non ci si sposa subito, non lo si farà mai più. Se c’è una cosa che la tua visione ha dimostrato, è che io non sono la tua ultima occasione. Immagino che questo dovrebbe toglierti di dosso un po’ di pressione, no? Non hai più bisogno di fare le cose in fretta.»
«Non è questo» disse Lloyd, ma la sua voce era esitante.
«Non è questo?» disse Michiko. «Allora vedi di chiarirti le idee, e subito. Assumiti le tue responsabilità. Ci sposiamo o no?»
Michiko aveva ragione, e Lloyd lo sapeva. La sua fede in un futuro immutabile lo aiutava a superare il suo senso di colpa per ciò che era successo… ma era comunque la posizione che lui aveva sempre assunto come fisico: lo spazio-tempo è un cubo di Minkowski che non cambia mai. Ciò che lui stava per fare lo aveva già fatto: il futuro era indelebile come il passato.
Nessuno, per quanto se ne sapeva, aveva riferito di una visione che confermasse un eventuale matrimonio fra Michiko Komura e Lloyd Simcoe; nessuno aveva raccontato di essersi trovato in una stanza nella quale ci fosse una fotografia di due sposi in una cornice costosa, lui un caucasico alto con gli occhi azzurri e lei una splendida, piccola ragazza asiatica.
Sì, qualunque cosa dicesse adesso, era già stata detta… e sarebbe sempre stata già detta. Però non aveva la più piccola informazione sulla risposta che gli riservava lo spaziotempo. La sua decisione, in quel momento, in quello strato del cubo, in quella pagina, in quel fotogramma del film, gli era ignota, sconosciuta. Non era più facile tradurla in parole — quali che fossero state le parole destinate a uscire dalla sua bocca — anche sapendo che inevitabilmente le aveva/le avrebbe dette.
«Allora?» chiese Michiko. «Che facciamo?»
A tarda sera Theo era ancora al lavoro, e stava esaminando l’ennesima simulazione dell’esperimento all’LHC, quando squillò il telefono.
Dimitrios era morto.
Il suo fratellino. Morto. Suicida.
Ricacciò indietro le lacrime, ricacciò indietro la rabbia.
I ricordi di Dim si affollarono nella mente di Theo. Le volte in cui era stato buono con lui perché era un bambino, le volte in cui si era comportato male. E come quella volta, tanti anni prima, tutti in famiglia fossero rimasti sconvolti quando erano andati a Hong Kong e Dim si era perso. Theo non era mai stato così felice di vedere qualcuno come quando aveva rivisto il piccolo Dim in braccio a un poliziotto che risaliva verso di loro lungo la strada affollata.
Ma adesso, adesso era morto. Theo avrebbe dovuto fare un altro viaggio ad Atene per il funerale. . Non sapeva come sentirsi.
Una parte di lui — una gran parte — era incredibilmente rattristata per la morte di suo fratello.
E un’altra parte…
Un’altra parte era esaltata.
Non perché Dim era morto, naturalmente.
Ma il fatto che fosse morto cambiava tutto.
Perché Dimitrios aveva avuto una visione, confermata da un’altra persona… e per avere una visione era necessario che fosse vissuto almeno per altri vent’anni.
Ma se era morto adesso, nel 2009, non c’era nessun modo in cui potesse essere vivo nel 2030.
, Così l’universo come blocco andava in pezzi. Ciò che la gente aveva visto poteva certo contribuire a creare un’immagine coerente del futuro… ma era solo uno dei possibili domani, e visto che quel domani aveva incluso Dimitrios Procopides, non era più nemmeno quello… non era più nemmeno possibile.
La teoria del caos affermava che piccoli cambiamenti nelle condizioni iniziali possono avere grossi effetti sul tempo. Di certo il mondo del 2030 non poteva più rivelarsi come era stato dipinto nei miliardi di brevi frammenti già colti dalle persone.
Theo percorse a grandi passi i corridoi del centro di controllo: oltre il grande mosaico, oltre la targa sulla quale era inscritto il nome completo originale dell’istituto, oltre gli uffici, i laboratori, i bagni.
Se adesso il futuro era incerto — senza dubbio era destinato a non realizzarsi esattamente come le visioni lo avevano descritto — allora forse Theo poteva rinunciare alla sua ricerca. Sì, in un futuro una volta possibile qualcuno aveva ritenuto opportuno ucciderlo. Ma sarebbero cambiate così tante cose nei due decenni successivi che di certo quello stesso esito non si sarebbe ripetuto. In effetti lui poteva non incontrare mai la persona che lo avrebbe ucciso, non avere con quell’uomo, chiunque fosse, il minimo contatto. O magari quella stessa persona poteva morire prima del 2030. In un modo o nell’altro, l’omicidio di Theo era tutt’altro che inevitabile.
Però…
Però poteva sempre succedere. Di certo alcune cose si sarebbero rivelate proprio come le avevano mostrate le visioni. Coloro che non erano destinati a morire di morte violenta avrebbero vissuto il normale arco della loro vita; coloro che avevano un lavoro sicuro lo avrebbero tranquillamente conservato; i matrimoni che erano buoni e solidi non avevano nessun motivo di infrangersi.
No.
Tanti dubbi, tanto tempo sprecato.
Theo decise di continuare la sua vita, di lasciare perdere quella stupida ricerca, di affrontare il domani a testa alta, qualsiasi cosa potesse riservargli. Naturalmente sarebbe stato attento: di certo non voleva che uno dei punti di convergenza fra il 2030 delle visioni e il 2030 ancora da venire fosse proprio la sua morte. Ma sarebbe andato avanti, tentando di ricavare il massimo dal tempo che gli restava da vivere.