C’era anche un buon argomento economico a favore di una replica sollecita, se poi si doveva davvero effettuare. Molte ditte lavoravano con capacità operativa ridotta per via dei danni provocati alle attrezzature o al personale nel corso del primo Cronolampo. Un blocco del lavoro nell’immediato futuro per organizzare un secondo Cronolampo si sarebbe tradotto in una perdita di produttività minore di quanto lo sarebbe stata fra un mese o fra un anno, quando tutti sarebbero tornati alla piena operatività.
Le discussioni toccarono un’ampia gamma di argomenti: l’economia, la sicurezza nazionale (e se una nazione avesse scatenato un attacco nucleare contro un’altra appena prima della perdita di conoscenza?), la filosofia, la religione, la scienza e i principi democratici. Era giusto che una decisione riguardante tutti gli abitanti del pianeta venisse presa sulla base di un voto per nazione? I voti non dovevano forse essere proporzionali alla popolazione di ogni nazione, il che avrebbe reso la voce dei cinesi la più forte di tutte? Oppure la decisione doveva essere delegata a un referendum globale?
Alla fine, dopo toni aspri e discussioni accese, le Nazioni Unite presero la loro decisione: l’esperimento dell’LHC sarebbe stato ripetuto, per compensazione, come molti avevano insistito, dodici ore più tardi rispetto alla prima volta.
Gli ambasciatori dell’Unione europea insistettero tutti su una condizione, prima di autorizzare il CERN a tentare la replica dell’esperimento: non dovevano esserci cause intentate dai governi contro il CERN, i paesi che lo finanziavano o i componenti del suo personale. Venne approvata una risoluzione in base alla quale si impediva che qualsiasi azione legale di quel tipo venisse portata di fronte alla Corte mondiale di giustizia. Naturalmente nessuno avrebbe potuto evitare che vi fossero cause civili, anche se i governi svizzero e francese avevano entrambi dichiarato che i loro tribunali non avrebbero accolto casi del genere, ed era difficile ammettere che qualsiasi altro tribunale potesse avere giurisdizione in materia.
Il più grosso problema logistico era rappresentato dal Terzo Mondo: le regioni non sviluppate o sottosviluppate dove le informazioni arrivavano lentamente, se pure arrivavano. Venne deciso che l’esperimento non sarebbe stato replicato prima di altre sei settimane: ciò avrebbe offerto tempo sufficiente per far pervenire la notizia a tutti quelli che era possibile raggiungere.
E così iniziarono i preparativi per offrire al genere umano un’altra occhiata al futuro.
Michiko la denominò operazione Klaatu. Nel film Ultimatum alla Terra Klaatu, un alieno, neutralizza tutta l’energia elettrica mondiale per trenta minuti esattamente a mezzogiorno, ora di Washington, allo scopo di dimostrare il bisogno di pace che ha il mondo, ma lo fa con grande scrupolo, in modo che nessuno ne subisca danno. Gli aeroplani non smettono di volare, le sale operatorie continuano ad avere corrente. In questo ‘caso avrebbero dovuto essere scrupolosi come Klaatu, anche se, come fece notare Lloyd, nel film Klaatu viene ucciso, malgrado i suoi sforzi. Naturalmente, essendo un alieno, trova il modo di tornare in vita… Lloyd era contrariato. La prima volta, per qualche ragione, l’esperimento non era riuscito a produrre il bosone di Higgs; lui avrebbe voluto apportare qualche minima modifica ai parametri, nella speranza di produrre quella particella sfuggente. Ma sapeva di dover replicare ogni cosa esattamente come la prima volta. Era molto probabile che non avrebbe più avuto la possibilità di generare il bosone.
E questo significava, naturalmente, che poteva dare un addio al suo premio Nobel.
A meno che…
A meno che non fosse riuscito a trovare una spiegazione della fisica dell’evento. Ma anche se era stato il suo esperimento ad avere apparentemente causato il salto in avanti nel tempo di ventuno anni, e anche se lui, e tutti quelli del CERN, si erano consumati il cervello nel tentativo di determinarne la causa, Lloyd non aveva ancora la minima idea del perché fosse successo. Perciò non si poteva escludere che fosse qualcun altro — magari addirittura qualcuno che non era nemmeno un fisico delle particelle — a spiegare con chiarezza ciò che era avvenuto.
25
Quasi tutto era uguale. Naturalmente adesso era un’ora sciagurata, le cinque del mattino invece che del pomeriggio, ma dal momento che nella sala di controllo dell’LHC non vi erano finestre, la differenza non si notava. Anche il pubblico in sala era più numeroso. In quasi tutti gli esperimenti di fisica delle particelle era difficile avere un gruppo decente di giornalisti presenti, ma in questo caso il servizio relazioni pubbliche del CERN aveva dovuto letteralmente tirare a sorte per determinare i dodici giornalisti che avevano ottenuto l’accesso. Le telecamere trasmettevano le immagini in tutto il mondo.
In ogni parte del pianeta la gente era sdraiata nel suo letto, sui divani, sul pavimento, sull’erba, sulla nuda terra. Nessuno beveva bevande calde. Nessun aereo commerciale, militare o privato era in volo. Il traffico in tutte le città si era fermato… si era fermato, anzi, da diverse ore, per evitare che durante la replica ci fosse anche solo il minimo bisogno di sale operatorie o ambulanze. Autostrade e superstrade erano vuote, oppure si erano trasformate in giganteschi parcheggi.
Due shuttle spaziali — uno americano, uno giapponese — erano attualmente in orbita, ma non c’era nessun motivo di ritenere che fossero in pericolo; gli astronauti si sarebbero semplicemente infilati nei loro sacchi per tutta la durata dell’esperimento. I nove uomini a bordo della Stazione spaziale internazionale avrebbero fatto la stessa cosa.
Non c’erano operazioni chirurgiche in corso, né pizze lanciate in aria, né macchinari in funzione. In qualsiasi momento del giorno almeno un terzo dell’umanità dorme… ma adesso quasi tutti i sette miliardi di abitanti della Terra erano svegli. Per colmo d’ironia, però, c’era allora un’attività minore di qualsiasi altro momento della storia.
Come la prima volta, la collisione era controllata al computer. In effetti Lloyd non aveva molto da fare. I giornalisti avevano montato le telecamere sui cavalietti, ma loro se ne stavano sdraiati a terra o sul piano dei tavoli. Anche Theo era già sdraiato, e così Michiko… un po’ troppo vicina a Theo, per i gusti di Lloyd. C’era una zona lasciata libera di fronte alla consolle principale, e Lloyd vi si distese. Da lì poteva vedere uno degli orologi, e cominciò a fare il conto alla rovescia: «Quaranta secondi.»
Sarebbe stato trasportato di nuovo nel New England? Di certo la visione non sarebbe iniziata dove era finita qualche mese prima. Di certo non si sarebbe ritrovato a letto con… Dio, non ne conosceva nemmeno il nome. Lei non aveva detto una parola; poteva essere americana, naturalmente, o canadese, australiana, inglese, scandinava, francese… era difficile dirlo.
«Trenta secondi» disse Lloyd.
Dove si erano conosciuti? Da quanto tempo erano sposati? Avevano dei figli?
«Venti secondi.»
Era un matrimonio felice? Sembrava proprio che lo fosse, almeno a giudicare da quella breve occhiata. Ma anche i sui genitori, di tanto in tanto, avevano avuto dei momenti di tenerezza.
«Dieci secondi.»
Magari quella donna non sarebbe nemmeno comparsa nella sua prossima visione.
«Nove secondi.»
Anzi, fra ventuno anni da adesso era probabile che lui dormisse, magari senza nemmeno sognare’.
«Otto secondi.»
Aveva ridottissime probabilità di rivedersi, in uno specchio o su un televisore a circuito chiuso.
«Sette.»
Ma senza dubbio avrebbe visto qualcosa di importante, qualcosa di significativo.
«Sei.»
Qualcosa che avrebbe risposto almeno a una parte delle domande che gli bruciavano dentro.