«Nel qual caso avete salvato le chiappe» disse il giornalista, con amarezza.
Lloyd aggrottò la fronte, riflettendo. Certo, probabilmente lui aveva già salvato le chiappe dal punto di vista legale per ciò che era avvenuto la prima volta. Ma dal punto di vista morale? Senza l’assoluzione offerta da un universo come blocco, lui era condannato a essere responsabile — fin dal suicidio di Dim — di tutte le morti e la distruzione che aveva provocato.
Lloyd sentì che le sue sopracciglia si sollevavano. «Credo che lei abbia ragione» disse. «Forse io ho salvato le chiappe.»
26
Come tutti i fisici, Theo attendeva con interesse, ogni anno, l’assegnazione dei premi Nobeclass="underline" per vedere chi si sarebbe aggiunto alla schiera dei Bohr, Einstein, Feynman, Geli-Mann e Pauli. I ricercatori del CERN avevano guadagnato nel corso degli anni più di venti premi Nobel. Naturalmente, quando lesse il subject nella sua casella di posta elettronica non ebbe bisogno di aprire la lettera per sapere che quell’anno il suo nome non era nell’elenco dei premiati. Però era ugualmente curioso di scoprire chi fra i suoi amici e colleghi avesse ottenuto il riconoscimento. Premette il tasto OPEN.
I premiati erano Perlmutter e Schmidt per il lavoro, risalente per lo più a dieci anni prima, con il quale avevano dimostrato che l’universo continuava a espandersi in eterno, e non era destinato invece a collassare in un Big crunch. Era normale che il premio venisse assegnato a un lavoro completato molti anni prima; ci doveva essere il tempo per la replica dei risultati e per la valutazione delle ramificazioni della ricerca.
Be’, si disse Theo, erano due nomi validi: qualcuno al CERN avrebbe masticato un po’ amaro, certo; si diceva in giro che McRainey avesse già organizzato la festa per celebrare l’assegnazione del premio, ma senza dubbio erano solo volgari pettegolezzi. Tuttavia Theo si domandò, come faceva ogni anno in quel periodo, se un giorno o l’altro avrebbe visto il suo nome sulla lista.
Theo e Lloyd trascorsero i giorni successivi a preparare la relazione sul bosone di Higgs. Anche se la stampa aveva già (non senza qualche titubanza) annunciato al mondo la produzione della particella, loro dovevano ancora mettere per iscritto i risultati per la pubblicazione su una rivista specializzata. Lloyd, come d’abitudine, continuava a scarabocchiare sulla sua agenda elettronica; Theo passeggiava avanti e indietro.
«Perché questa differenza?» chiese Lloyd per la dodicesima volta. «Perché non abbiamo ottenuto il bosone di Higgs la prima volta, e questa volta sì?»
«Non lo so» disse Theo. «Non abbiamo cambiato niente. Naturalmente non è nemmeno possibile che tutto sia stato identico. Sono passate settimane dal primo tentativo, e la Terra si è spostata di milioni di chilometri lungo la sua orbita attorno al sole, e a sua volta il sole si è spostato nello spazio, come fa sempre, e…»
«Il sole!» esclamò Lloyd in tono eccitato. Theo lo guardò senza capire. «Ma non ti rendi conto? L’ultima volta che abbiamo eseguito l’esperimento il sole era alto nel cielo, mentre questa volta era notte. Magari l’altra volta il vento solare ha interferito con l’apparecchiatura?»
«Il tunnel dell’LHC si trova a cento metri di profondità nel terreno, e ha il migliore sistema di schermatura da radiazioni che sia possibile procurarsi. Non è nemmeno pensabile che una quantità apprezzabile di particelle ionizzate abbia potuto attraversarla.»
«Uhmmm» fece Lloyd. «Ma che dire delle particelle che non è possibile schermare? I neutrini, per esempio?»
Theo aggrottò lo fronte. «Per loro non dovrebbe fare nessuna differenza se c’è il sole o no.» In effetti solo uno su duecento milioni di neutrini che attraversavano la Terra colpiva davvero qualcosa. Gli altri si limitavano a fuoriuscire dall’altra parte.
Lloyd si mordicchiò le labbra, pensieroso. «Certo, però forse la quantità dei neutrini era particolarmente alta, il giorno in cui abbiamo effettuato il primo esperimento.» Qualcosa gli punzecchiò la mente, qualcosa che aveva detto Gaston Béranger quando aveva elencato tutte le altre cose che erano successe alle ore 17.00 del 21 aprile. «Béranger mi ha detto che l’Osservatorio sui neutrini di Sudbury ha rilevato un’esplosione poco prima che dessimo il via al nostro esperimento.»
«Conosco qualcuno all’osservatorio» disse Theo. «Wendy Small. Siamo andati a scuola insieme.» Inaugurato nel 1998, l’Osservatorio sui neutrini di Sudbury, collocato sotto due chilometri di roccia precambriana, era il rilevatore di neutrini più sensibile che esistesse al mondo.
Lloyd indicò il telefono con un gesto della mano. Theo vi si avvicinò. «Conosci il prefisso?»
«Di Sudbury? Probabilmente è 705; è il prefisso di quasi tutte le località dell’Ontario del nord.»
Theo compose un numero, parlò con una centralinista, riappese, poi compose un altro numero. «Pronto» disse in inglese. «Wendy Small, prego.» Una pausa. «Wendy, sono Theo Procopides. Che? Oh, divertente. Sei proprio una buontempona.» Theo coprì la cornetta e disse a Lloyd: «Pensava che fossi morto.» Lloyd fece finta di reprimere una risata. «Wendy, ti chiamo dal CERN, e c’è qualcuno insieme a me: Lloyd Simcoe. Ti dispiace se passo la comunicazione in viva voce?»
«Quel Lloyd Simcoe?» disse la voce di Wendy dall’altoparlante. «Piacere di conoscerti.»
«Salve» disse Lloyd, con voce fiacca.
«Ascolta,» disse Theo «come saprai di certo, ieri abbiamo tentato di riprodurre l’esperimento di dislocazione temporale, e non ha funzionato.»
«Me ne sono accorta» replicò Wendy. «Sai, nella mia prima visione stavo guardando la televisione… solo che era tridimensionale. Ero nel momento decisivo di un giallo. Avrei dato qualsiasi cosa per sapere chi era l’assassino.»
Anch’io, pensò Theo, ma si limitò a dire: «Mi dispiace che non ti siamo stati utili.»
«A quanto ci risulta» intervenne Lloyd «l’Osservatorio sui neutrini di Sudbury ha rilevato un afflusso di neutrini appena prima che noi effettuassimo il nostro esperimento del 21 aprile. Quei neutrini erano prodotti dalle macchie solari?»
«No, quel giorno il sole era tranquillo; abbiamo individuato una raffica extra solare.»
«Extra solare? Vuoi dire dall’esterno del sistema solare?»
«Proprio così.»
«Qual’era la fonte?»
«Ti ricordi la supernova 1987A?» gli chiese Wendy.
Theo scosse la testa.
Lloyd fece una smorfia e disse: «Era il rumore che ha fatto Theo scuotendo la testa.»
«Ho sentito il fruscio» disse Wendy. «Be, ascoltate: nel 1987 fu scoperta la più grande supernova da trecentoottantatré anni a questa parte. Una stella azzurra supergigante tipo B3 chiamata Sanduleak -69°202 esplose nella grande nebulosa di Magellano.»
«La grande nebulosa di Magellano!» disse Lloyd. «Ma è maledettamente lontana.»
«Centosessantaseimila anni luce, per essere precisi» disse la voce di Wendy. «Il che significa, naturalmente, che Sanduleak in realtà è esplosa nel Pleistocene, mentre noi abbiamo potuto vedere l’esplosione solo ventidue anni fa. Ma i neutrini viaggiano quasi sempre senza ostacoli, e nel corso dell’esplosione del 1987, abbiamo individuato una fuoriuscita di neutrini della durata di circa dieci secondi.»
«D’accordo» disse Lloyd.
«E poi» continuò Wendy «Sanduleak era una stella molto strana; di norma ci si aspetta che sia una supergigante rossa a trasformarsi in supernova, e non una supergigante azzurra. A parte questo, comunque, dopo l’esplosione in supernova, di solito succede che i resti della stella collassino o in una stella di neutroni o in un buco nero. Be’, se Sanduleak fosse collassata in un buco nero, non avremmo mai scoperto i neutrini, perché non sarebbero riusciti a sfuggire. Ma con una massa solare pari a venti, noi ritenevamo che fosse troppo piccola per formare un buco nero, almeno secondo la teoria allora accettata.»