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— Sì, signore. — Aral lo guardò dritto negli occhi. La sua voce si abbassò in un sussurro. — Le cose stanno proprio in quest’ordine. — Piotr sbatté le palpebre. Aral continuò, aspramente: — Accantonare l’argomento dell’infanticidio per gettare sul tavolo quello della mia ubbidienza non ti aiuterà. Mi hai insegnato tu stesso le sottigliezze della retorica.

— Ai vecchi tempi avresti potuto essere decapitato per questa insolenza.

— Sì, l’attuale situazione è abbastanza peculiare. Come erede del Conte, le mie mani sono fra le tue, ma come Reggente sono io ad avere le tue mani fra le mie. Mi hai giurato ubbidienza. Ai vecchi tempi avremmo risolto questa incertezza con una piccola guerra. — Aral sorrise, o quantomeno scoprì i denti. Cordelia non poté reprimere un pensiero ironico: Soltanto per oggi: La Forza Irresistibile incontra l’Oggetto Inamovibile. Posti a sedere, cinque marchi. Bambini, mezzo biglietto.

La porta si aprì e il tenente Koudelka mise dentro la testa, nervosamente. — Signore? Scusate se vi interrompo, ma ci sono dei problemi con la console di comunicazione.

— Quali problemi, tenente? — chiese Vorkosigan, distogliendo la sua attenzione con uno sforzo. — L’intermittenza del satellite?

— L’impianto non funziona. Non si accende neppure.

— Qualche ora fa funzionava benissimo. Controlli l’energia.

— L’ho fatto, signore.

— Chiama un tecnico.

— Non posso. Non con la console di comunicazione.

— Ah, già. Chiedi al capoguardia di smontare i pannelli sul retro, e controlla se il guasto è visibile. Usa il telefono di casa per far venire un tecnico da Hassadar.

— Sì, signore. — Koudelka chiuse la porta, dopo uno sguardo perplesso alla rigidità con cui loro tre tacevano e aspettavano che uscisse.

Il Conte non ammorbidi la sua posizione. — Io diseredo quella cosa. Quell’essere, all’Ospedale Militare. Lo farò ufficialmente. Consideralo diseredato.

— Signore, questa è una minaccia non operativa. Tu puoi diseredare soltanto me. Previo permesso imperiale. E ciò ti costringerebbe a chiederlo presentando umilmente una petizione a… uh, a me. - Aral ebbe un sorriso ironico. — Naturalmente te lo concederei, stanne certo.

Un nervo si contrasse su una guancia di Piotr. Non la Forza Irresistibile e l’Oggetto Inamovibile, dopotutto, ma la Forza Irresistibile e una Palude Intransitabile. La lancia scagliata da Piotr si perse sott’acqua, e i suoi piedi annasparono nel fango. Judo mentale. Il vecchio era squilibrato, e adesso lottava con furia per rimettersi in guardia. — Pensa a Barrayar. Pensa all’esempio che stai dando.

— Oh, — sospirò Aral. — Ci ho pensato, sì. — Fece una pausa. — Tu non hai mai comandato dalle retrovie, e io neppure. Dove un Vorkosigan va, altri possono trovare motivo di seguirlo. Un po’ di… ingegneria sociale, è mia prerogativa.

— Il tuo modo di fare andrebbe bene su altri mondi, ma la società di Barrayar non può permettersi questi lussi. Riusciamo appena a sfamare i nostri poveri. Non possiamo permetterci di mantenere milioni di invalidi!

— Milioni? — Aral inarcò un sopracciglio. — Ora estrapoli da uno all’infinito. Un argomento debole, signore.

— È una questione di diritto — disse pacatamente Cordelia. — Ogni padre e ogni madre devono essere liberi di decidere se il loro fardello è sopportabile.

Piotr si volse di scatto verso di lei. — Sì, e chi pagherà per questo, eh? L’Impero. Il laboratorio di Vaagen è mantenuto dai fondi per la ricerca militare. Tutto Barrayar paga per prolungare la vita del tuo mostro.

Addolorata, Cordelia replicò: — Forse si rivelerà un investimento migliore di quel che lei crede.

Piotr sbuffò. Inclinò la testa, affondando duramente il collo fra le spalle ossute, e li fissò entrambi. — Voi siete decisi a gettare questo disonore su di me. Sulla mia casa. Io non posso convincervi, né darvi ordini… benissimo. Ma ci saranno delle conseguenze. Io non permetto che il mio nome sia dato a quell’essere. Questo posso proibirlo, per intanto.

Aral aveva le labbra strette, le nari dilatate. Non s’era mosso dalla sedia, e lo schermo portatile giaceva sulle sue mani acceso, dimenticato. Non si permise un fremito d’emozione a quelle parole. — Va bene, signore.

— Lo chiameremo Miles Naismith Vorkosigan, allora — disse Cordelia, sempre più rattristata da quella rottura. L’addome le doleva per la tensione muscolare. — Mio padre non se la prenderà a male.

— Tuo padre è morto — sbottò Piotr.

Annientato in una fiamma di plasma dieci anni prima, in un incidente nello spazio… a volte Cordelia immaginava, chiudendo gli occhi, di rivedere ancora quel fulmine di luce bianca, come se le fosse rimasto stampato sulla retina. — No, signore. Non finché io vivo e lo ricordo.

Piotr parve colpito allo stomaco da quella frase. Su Barrayar, le cerimonie per i defunti erano pregne di un’arcaica adorazione degli antenati, come se solo la memoria di chi restava tenesse in vita le loro anime. Che la sua stessa mortalità gli scorresse più fredda nelle vene, quel giorno? S’era spinto troppo avanti, e lo sapeva, ma non poteva tornare indietro. — Niente vi può convincere, è così? E sia, allora ascoltate ciò che dico. — Il vecchio si girò di nuovo a guardare Aral. — Lascerai questa casa. E anche Casa Vorkosigan, in città. Prendi con te la tua donna e vattene. Oggi stesso!

Lo sguardo di Aral parve raccogliere in un breve attimo la sua infanzia da quelle mura. Poi spense lo schermo, lo poggiò sul tavolo con cura e si alzò. — Molto bene, signore.

L’ira di Piotr era sfumata di angoscia. — Rinunci alla tua casa? Per una cosa simile arrivi a questo punto?

— La mia casa non è un luogo. È una persona, signore — disse gravemente lui. Poi aggiunse, con riluttanza: — Alcune persone.

E intendeva anche Piotr, oltre a Cordelia. Lei scosse il capo. Era di pietra, il vecchio? Perfino in quel momento Aral gli mostrava una cortesia che le faceva stringere il cuore.

— Restituirai le tue rendite e i titoli azionari ereditari alle casse del distretto — rincarò disperatamente Piotr.

— Sì, signore. Come desideri. — Aral si avviò alla porta.

Piotr si schiarì la gola. — Dove andrai a vivere?

— Da tempo Illyan insiste che mi trasferisca alla Residenza Imperiale, per motivi di sicurezza. Evon Vorhalas mi ha persuaso che ha ragione.

Cordelia s’era alzata insieme a suo marito. Andò alla finestra e lasciò vagare lo sguardo sul panorama verde e bruno. Il vento s’era placato, e al centro del lago stagnavano banchi di nebbia. L’inverno si preannunciava umido e freddo…

— Così, alla fine anche tu metti su arie imperiali — lo accusò Piotr. — Ambizione. È di questo che si tratta, vero?

Aral sogghignò amaramente, irritato. — Al contrario, signore. Se mi resta soltanto la mezza-paga di ammiraglio in congedo, non posso permettermi di affittare una casa.

Lo sguardo di Cordelia fu attratto da un movimento più in alto, fra le nuvole. Un piccolo velivolo antigravità stava scendendo di quota, con una strana curva. — Ma… quell’aereo ha qualcosa che non va — mormorò fra sé, perplessa.

Il velivolo scese ancora, avvicinandosi. Ondeggiava stranamente, e si lasciava dietro una scia di fumo scuro. D’un tratto deviò verso la tenuta. — Dio mio, viene da questa parte… e se fosse pieno di bombe?

— Cosa? — esclamarono all’unisono Piotr e Aral. I due uomini vennero alla finestra accanto a lei, il marito a destra e il suocero a sinistra.

— Ha lo stemma della Sicurezza Imperiale — disse Aral.

Piotr strinse gli occhi. Non aveva più una vista molto buona. — Ne sei certo?

Cordelia pensò che avrebbero potuto fuggire lungo il corridoio e uscire dalla terrazza posteriore. Oltre la strada c’era una buca, e forse, sdraiandosi là dentro… ma l’aereo stava rallentando, era danneggiato, e pochi istanti dopo fu chiaro che cercava di compiere un atterraggio verticale sul prato di fronte alla casa. Uomini in livrea marrone e con l’uniforme verde e nera della Sicurezza corsero fuori con le armi spianate, e mentre il piccolo velivolo toccava l’erba con un tonfo sordo lo accerchiarono cautamente. Il danno era più visibile, adesso: sulla carlinga c’era uno squarcio prodotto da un’arma a plasma, il cui raggio aveva bruciato la vernice fino ai timoni di coda, semidistrutti. Era incredibile che il pilota fosse riuscito a far manovra in quelle condizioni.