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— Nessuno se la prenderà coi ricoverati dell’ospedale — disse Kly, guardandola in faccia.

— Io… sì, giusto.

— Perché è venuta su Barrayar, una straniera come lei?

— Volevo avere un bambino. — Una risata senza allegria le crepitò in gola. — Lei ha dei figli, Postino Kly?

— Non che io sappia.

— Ha fatto bene.

— Oh… — Lui si strinse nelle spalle. — Non lo so. Da quando la mia vecchia è morta, ho troppo silenzio intorno. Alcuni che ho conosciuto hanno sofferto molto per i loro figli. Ezar. Anche Piotr. Io non so chi brucerà un’offerta sulla mia tomba. Qualche nipote, forse.

Cordelia guardò Gregor, che s’appoggiava indietro al sacco a pelo e ascoltava. Gregor aveva appiccato il fuoco alla grande pira funebre di offerte in onore di Ezar, la sua piccola mano guidata da quella di Aral.

La carrareccia serpeggiava in salita, e attraversarono zone brulle e tratti boscosi. Per quattro volte Kly li lasciò e prese per altre stradicciole, mentre Bothari, Cordelia e Gregor lo aspettavano al riparo degli alberi. La terza volta il vecchio fece ritorno con un fagotto: una vecchia gonna, un paio di calzoni e un po’ di biada per i cavalli stanchi. Cordelia, che aveva freddo, indossò la gonna sopra i suoi pantaloni della Sorveglianza Astronomica. Bothari cambiò i suoi vistosi calzoni marrone dalla banda argentata con quelli a cui un contadino aveva rinunciato per lui. Larghi, ma ridicolmente corti, gli davano l’aria di un corvaccio di bosco che nessuno avrebbe incontrato a cuor leggero in una zona isolata. L’uniforme di Bothari e la blusa nera di Cordelia furono arrotolate in una delle bisacce. In quanto a Gregor, Kly rimediò alla mancanza di una scarpa togliendogli anche l’altra; poi mimetizzò il suo abito azzurro da bambino di città sotto una vecchia camicia da uomo con le maniche arrotolate. Adesso avrebbero potuto passare per una famiglia di poveri campagnoli, pensò Cordelia, anche dalla faccia: in lei, almeno, l’espressione da derelitta non faceva una grinza.

Arrivarono alla sommità di Passo Amie e cominciarono a scendere sul versante opposto. Ogni tanto sulla strada c’era gente che aspettava il passaggio di Kly. Lui distribuiva messaggi verbali mandati a mente, mitragliandoli in stile telegrafico; consegnava lettere e pacchetti, dischi per computer, opuscoli pubblicitari, e moduli per il ritiro di pacchi più voluminosi in attesa all’ufficio postale. Per due volte si fermò a leggere lettere a contadini evidentemente analfabeti, e lo stesso fece per un vecchio cieco condotto per mano da una bambinetta. Stanca, preda dell’incertezza, Cordelia diventava più nervosa a ogni nuovo incontro. Quale di questi sconosciuti ci tradirà? Cos’avrà pensato quella donna che mi fissava così intensamente? Il cieco, almeno, non potrà descrivere il nostro aspetto…

Verso il tramonto, Kly tornò da una delle sue deviazioni fuori dal percorso, guardò la pista silenziosa che attraversava la boscaglia umida e dichiarò: — Questa zona è troppo affollata. — E la misura della tensione di Cordelia fu data dal fatto che si trovò d’accordo con lui.

Il vecchio la guardò in faccia, preoccupato. — Pensa di farcela per altre, diciamo, quattro ore, milady?

Qual è l’alternativa? Sederci nel fango e piangere finché verranno a catturarci? Puntellò le mani sul tronco su cui s’era appollaiata in attesa del ritorno della loro guida e si spinse in piedi. — Dipende da cosa c’è al termine di queste quattro ore.

— Casa mia. Di solito, quando arrivo qui al tramonto, mi fermo a dormire da mia nipote, che sta da queste parti. Per finire il mio giro avrei ancora otto o dieci ore di strada. Ma se tiriamo dritto in su possiamo essere a casa mia fra quattro ore. Domani mattina tornerò indietro di buon’ora e farò il resto delle consegne senza ritardi sull’orario che la gente si aspetta. Nessuno vedrà niente di insolito. Non ci saranno chiacchiere.

Cosa significa «dritto in su»? Ma Kly diceva bene: la loro sicurezza stava nel passare inosservati e senza alimentare la curiosità altrui. Prima sarebbero stati fuori vista, meglio era. — Mettiamoci in marcia, maggiore.

Ci vollero sei ore. Il cavallo di Bothari cedette molto prima di arrivare a destinazione, e lui dovette smontare e far riposare l’animale che scuoteva la testa e vacillava sulle gambe. Poi se lo tirò dietro a piedi. Anche Cordelia preferì camminare, per scaldarsi e tenersi sveglia. Gregor si addormentò e cadde dal cavallo, pianse che voleva sua madre, poi si addormentò di nuovo quando Kly lo spostò in arcioni davanti a sé per reggerlo meglio. L’ultima salita rubò a Cordelia tutto il fiato che aveva in corpo e le fece salire pericolosamente le pulsazioni, anche se andò avanti aggrappata con entrambe le mani al pomo della sella di Rose. I purosangue del Conte si muovevano come vecchiette artritiche, stentando a ogni passo, e soltanto l’istinto gregario li spingeva a star dietro al piccolo e robusto cavallo di Kly.

All’improvviso la salita si trasformò in una discesa piuttosto ripida, oltre una cresta, quando il sentiero cominciò a scendere in una vallata buia. La vegetazione era molto più rada, e fra un boschetto e l’altro c’erano vasti declivi erbosi. Cordelia poteva sentire intorno a sé grandi spazi montani, golfi d’oscurità su cui incombevano immense rocce, silenziose come l’eternità. Tre fiocchi di neve si sciolsero sul suo volto sollevato a scrutare il cielo senza stelle. Davanti a un assembramento di alberi spogli Kly si fermò. — Fine del viaggio, gente.

Cordelia prese in braccio Gregor, oltrepassò la soglia di una casupola e la luce di una torcia elettrica le fece strada nell’interno finché trovò un letto su cui deporlo. Il bambino mugolò nel sonno, mentre lei gli tirava una coperta addosso. Per qualche momento restò lì, stordita e vacillante, poi in un ultimo barlume di lucidità scalciò via le babbucce e si sdraiò accanto a lui. Aveva i piedi così freddi che non le sarebbe importato di farseli amputare. Mentre se li sfregava con le mani per scaldarli un po’, cominciò a scivolare nel sonno. Vagamente s’accorse che Kly e Bothari avevano acceso il fuoco nel caminetto. Povero Bothari: l’aveva aiutata ed era stato il suo attendente in senso più che militare. Toccava a lei preoccuparsi che ora avesse anch’egli un po’ di riposo, qualcosa da mangiare, un posto per sdraiarsi… e per dormire… dormire…

Cordelia riaprì gli occhi con un borbottio e s’accorse che a svegliarla era stato un movimento di Gregor. Il bambino s’era alzato a sedere accanto a lei e si sfregava gli occhi, disorientato. La luce filtrava dentro da due finestrelle sporche, di fronte alla porta. La casupola, o la baracca — le pareti erano fatte per metà di tronchi scortecciati a mano — era composta da una sola stanza. Nel caminetto di pietra, sotto una grata su cui erano deposti un tegamino e una pentola, ardeva un letto di braci rosse. Cordelia ricordò a se stessa che lì il legno era indice di povertà, non di ricchezza. Il giorno prima dovevano aver oltrepassato dieci milioni di alberi.

Mise i piedi fuori dal letto e l’acido lattico che saturava i suoi muscoli le strappò una smorfia di dolore. Si massaggiò i polpacci. Il letto era un telaio di rami con una rete di corda e due materassi sottili, quello inferiore imbottito di paglia e l’altro di piume. In quel nido rozzo ma comodo lei e Gregor avevano dormito al caldo. Nell’aria c’erano odore di polvere e di legna bruciata.

Sulla breve veranda di tavole fuori dalla porta risuonarono dei passi, e con un sussulto di spavento Cordelia prese Gregor fra le braccia. Non poteva fuggire, e la sbarra di ferro infilata fra le braci sarebbe stata una difesa ben misera contro uno storditore o un distruttore neuronico, ma poi capì che i passi erano quelli di Bothari. L’uomo entrò, seguito da una folata d’aria gelida, e richiuse subito la porta. La giacca scolorita che indossava doveva essere un regalo di Kly, a giudicare da quanto gli stava stretta e corta di maniche. Poteva facilmente passare per un rozzo montanaro, finché teneva la bocca chiusa per non rivelare il suo accento di città.