Miles sta bene. Anonimo nel suo rifugio, come noi. Anche noi siamo piccoli, nascosti, al sicuro. Non piangere, piccolo, non piangere. Abbracciò Gregor e se lo strinse al petto. — Anche il mio bambino è là alla capitale, come la tua mamma. E tu sei con me. Non ci accadrà niente di male. Stai tranquillo. Te lo giuro.
Cenarono presto. Poi, visto che Kly non dava ancora segno di sé, Cordelia disse: — Mi mostri quelle caverne, sergente.
Kly aveva una scatola di torce a luce fredda su uno scaffale. Bothari ne prese una e condusse lei e Gregor su per un sentiero sassoso, fra gli alberi, agitando ogni tanto il raggio verdolino nell’aria per scacciare gli insetti.
La zona di fronte alla caverna doveva esser stata liberata dalla vegetazione molto tempo addietro, ma i cespugli l’avevano invasa di nuovo. Nessun riparo ne celava l’ingresso, un buco alto quattro metri e largo abbastanza da lasciar passare una grossa vettura antigravità. Pochi passi più avanti il soffitto si alzava molto e le pareti si allargavano ancora, intorno a un vasto pavimento di terra battuta. Molte decine di uomini avrebbero potuto accamparsi lì dentro, e sicuramente l’avevano fatto, nel lontano passato, perché nelle pareti erano state scavate artificialmente delle nicchie in cui si poteva dormire, e dappertutto si vedevano scritte — nomi, date e frasi più o meno crude — dipinte e scolpite nella roccia.
Al centro del pavimento c’era un circolo di pietre annerite, un focolare, e più in alto un foro aveva fornito una via d’uscita per il fumo. Nella mente di Cordelia apparve una fantomatica truppa di montanari, soldati e guerriglieri, che mangiavano, scherzavano, masticavano foglie-gomma e pulivano le armi seduti intorno al fuoco, progettando la loro prossima incursione. Altri entravano e uscivano, esploratori e spie, contadini venuti fin lì a rischio della vita per mettere informazioni conquistate col sangue nelle mani del loro giovane generale, mentre lui apriva le sue mappe su quella roccia piatta laggiù… Cordelia scacciò quella fantasia, si fece dare la luce e guardò nelle diramazioni laterali. C’erano almeno cinque tunnel che sparivano nell’oscurità, in direzioni diverse, e tre di essi mostravano d’esser stati percorsi molto frequentemente.
— Sergente, Kly ha detto dove passano queste diramazioni, e dove sbucano?
— Non esattamente, milady. Ha detto che ci sono passaggi che vanno avanti per chilometri sotto le montagne. Era tardi, e aveva fretta di tornare indietro.
— È un sistema orizzontale o verticale? Lo ha detto?
— In che senso, milady?
— Tutto sullo stesso livello, oppure con pozzi e arrampicate? Ci sono molti vicoli ciechi? Che strada dovremmo prendere? Esistono fiumi sotterranei?
— Credo che pensasse di farci lui da guida, se fosse necessario fuggire nelle caverne. Stava per spiegarmi qualcosa, poi ha detto che era troppo complicato.
Lei si accigliò, riflettendo sulle varie possibilità. Durante l’addestramento per la Sorveglianza aveva fatto un po’ di lavoro anche nel sottosuolo, abbastanza da capire che l’esplorazione delle caverne poteva essere molto pericolosa. Cedimenti del terreno, crepacci, strettoie, labirinti in cui nessuno strumento aiutava a mantenere il senso della direzione… e inoltre l’improvviso alzarsi e abbassarsi delle acque sotterranee, problema questo che non riguardava Colonia Beta. La notte prima aveva piovuto. Non c’erano sensori capaci di rintracciare chi si perdeva sotto terra, e se quel sistema di caverne era vasto come diceva Kly, poteva inghiottire decine di squadre mandate alla ricerca di qualcuno… Il suo cipiglio si mutò lentamente in un sorriso.
— Sergente, stanotte ci accamperemo qui.
A Gregor la caverna piacque, specialmente quando Cordelia gli ebbe raccontato la storia di quel posto. Si aggirò per la caverna mormorando ordini a guerriglieri immaginari, fingendo di sparare a nemici in agguato, saltando dentro e fuori dalle nicchie e fermandosi a leggere faticosamente le parole incise sulle pareti. Non potendo censurarle Cordelia si affidò alla speranza che non le capisse. Bothari andò a prendere i sacchi a pelo e altre cose nella baracca, distante circa duecento metri, e s’incaricò del primo turno di guardia. Cordelia arrotolò uno dei sacchi a pelo intorno ai loro rifornimenti di cibo, facendone un fagotto che lasciò accanto all’ingresso. Sistemò la blusa nera di Aral in una nicchia, col nome «A. VORKOSIGAN» bene in vista, come se qualcuno l’avesse usata per sedercisi sopra e poi dimenticata lì nella fretta di scappare. Da ultimo, ordinò a Bothari di sellare i cavalli, ancora troppo stanchi per essere usati, e di legarli a un alberello all’esterno.
Mezzora dopo Cordelia emerse da uno dei passaggi interni dopo essere andata a deporre una torcia a luce fredda quasi scarica a duecento metri da lì, dove una vecchia scala di corda — di cui non aveva osato saggiare la resistenza — conduceva più in basso.
— Ancora non capisco, milady — obiettò Bothari. — Coi cavalli impastoiati giusto qui fuori, se qualcuno viene a cercarci troverà questa roba e saprà subito dove siamo andati.
— Trovare la roba, sì — disse Cordelia. — Sapere dove siamo andati, no. Perché, senza Kly, non ho la minima intenzione di portare Gregor in questo labirinto. Ma il modo migliore di mandarci qualcun altro è di lasciargli capire che siamo stati qui dentro.
Negli occhi di Bothari ci fu una scintilla di comprensione, mentre guardava i cinque cunicoli che sparivano nell’oscurità verso l’alto o verso il basso. — Ah!
— Purtroppo dovremo trovare un sentiero che ci riporti indietro e di nuovo sulla strada, per aspettare il passaggio di Kly da qualche altra parte. Vorrei averci pensato finché c’era ancora luce.
— Capisco quel che intende, milady. Cercherò una pista agibile.
— Vedi cosa puoi fare, sergente.
Lui prese il loro fagotto e sparì all’esterno. Cordelia mise a letto Gregor nel sacco a pelo; poi uscì dalla caverna, cercò un sasso su cui sedersi e guardò le colline. Da lì poteva vedere il pianoro sotto il Passo Aime, fra i Monti Dendarii, e il tetto della casupola di Kly oltre le cime degli alberi. Dal camino non si alzava neppure un filo di fumo. Nessun sensore poteva rilevare attraverso la roccia il fuoco acceso nella caverna, anche se un buon naso avrebbe sentito da lontano l’odore di legna bruciata, in quell’aria fredda. Cordelia scrutò il cielo alla ricerca di luci in movimento finché le stelle cominciarono a confondersi nei suoi occhi.
Bothari fece ritorno dopo un paio d’ore. — Ho trovato un percorso. Ci muoviamo subito?
— Aspettiamo. Kly potrebbe ancora farsi vivo. — Ammanettato?
— Vada a dormire un po’, milady.
— Sì. — Il movimento di quel pomeriggio le aveva sciolto ì muscoli. Lasciò Bothari di guardia all’antro, come un cerbero, e raggiunse Gregor nel sacco a pelo.
Quando si svegliò era l’alba, e davanti al largo ingresso della caverna stagnava una nebbiolina grigia. Bothari fece il thè; si divisero il pane duro avanzato dalla sera prima e mangiarono un po’ di frutta secca.
— Hai dormito? — s’informò lei.
— No. Non riesco a prendere sonno senza le mie medicine, ma non importa.
— Medicine?
— Sì. Ho lasciato le pillole a Vorkosigan Surleau. Mi sento la mente più chiara. Tutto sembra… troppo nitido, perfino.
Cordelia ammorbidi il pane inzuppandolo nel thè di erbe, ne masticò un boccone e si chiese se la medicina di Bothari fosse un calmante, un inibitore chimico o soltanto una cura psicosomatica. — Se hai l’impressione di sentirti strano, dimmelo — azzardò, cautamente.
— Finora sto bene. A parte l’insonnia. Il dottore ha detto che le pillole servono a farmi dormire senza sogni. — Finì il suo thè e tornò al suo posto di guardia.
Cordelia evitò di fare pulizia intorno al fuoco. Accompagnò Gregor al più vicino torrentello per lavargli la faccia e si accorse che non era solo il bambino a puzzare di sudore. Stavano diventando montanari autentici anche nell’odore. Tornati nella caverna si sdraiarono di nuovo nel sacco a pelo, perché faceva freddo, e lei si sentì in colpa. Bothari aveva bisogno di riposare. Andiamo, Kly! Dove sei finito?