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La voce del sergente echeggiò fra le pareti di roccia: — Milady. Altezza Reale. Uscite, presto!

— C’è Kly?

— No.

Cordelia rotolò fuori dal sacco a pelo, diede un calcio al mucchietto di terra che aveva preparato accanto al fuoco, coprendo le ultime braci; poi prese Gregor e lo portò fuori in fretta. Il bambino tremava, infreddolito e spaventato. Bothari stava gettando alcune cose nelle borse, dopo aver slegato i cavalli, e le accennò di non far rumore. Lei salì sulle rocce a lato della caverna e gettò uno sguardo oltre le cime degli alberi. Di fronte alla casupola di Kly era atterrato un aereo. Due soldati in uniforme nera stavano girando a destra e a sinistra; un terzo sparì sotto la veranda. Soffocato dalla distanza giunse il tonfo della porta spalancata da un calcio. Soltanto soldati; nessuna guida del luogo, nessun montanaro prigioniero in quel velivolo. Kly non c’era.

Bothari prese in spalla Gregor come un sacco e si allontanarono fra la vegetazione a passo svelto. Vedendo che Rose intendeva seguirli Cordelia si voltò e agitò le braccia, sussurrando freneticamente: — No! Vattene via, stupido animale! — per spaventarla. Rose esitò, poi girò su se stessa e tornò accanto all’altro cavallo.

La loro marcia era veloce e silenziosa. Bothari aveva già studiato il percorso e preso nota delle rocce e dei cespugli dietro cui potevano restare fuori vista. Salirono e scesero fra le irregolarità del pendio, allontanandosi trasversalmente dal pianoro, e quando ormai Cordelia aveva il fiato mozzo, in una zona dove i loro inseguitori avrebbero forse potuto vederli, Bothari scomparve su per un ripido lastrone di granito.

— Salga quassù, milady. Presto!

Lo trovò disteso in una spaccatura orizzontale alta poco più di mezzo metro e profonda tre. Strisciò dentro carponi e si trovò circondata dalla roccia su tutti i lati salvo che sul davanti, dove c’erano comunque abbastanza sassi e detriti da nascondere sia loro che le borse da sella.

— Non c’è da stupirsi — ansimò, — che i cetagandani abbiano avuto dei guai, da queste parti. — Un sensore termico avrebbe dovuto essere puntato dritto su di loro per individuarli, e questo soltanto da una ventina di metri di distanza e al livello del suolo. Dal cielo sarebbe stato impossibile. La zona brulicava di anfratti e crepacci dello stesso genere.

— Loro non possono vederci, ma… — Bothari tirò fuori dal rotolo del sacco a pelo un vecchio binocolo, prelevato dall’abitazione di Kly. — Noi possiamo vedere loro.

Il binocolo era fatto di tubolari e lenti di vetro, un primitivo collettore di luce puramente «passivo». Doveva risalire all’Era dell’Isolamento. L’ingrandimento era scarso per gli standard moderni: niente UV o infrarossi, niente messa a fuoco automatica… e neppure microcellule sensibili alle fonti di energia. Distesa sull’addome, col mento su un sasso, Cordelia poteva vedere sia la casupola che l’ingresso della caverna alla base della parete di roccia, più indietro e in alto fra gli alberi. Quando sibilò: — Ora dobbiamo stare zitti come pietre! - Gregor, già pallido per la tensione, ebbe appena la forza di annuire.

Gli uomini in uniforme nera finirono per trovare i cavalli, anche se parvero metterci un’eternità. Poi scoprirono l’ingresso della caverna. Le loro figurette gesticolarono eccitate, corsero dentro e fuori e quindi chiamarono il velivolo, che atterrò quasi di fronte all’apertura schiacciando un bel po’ di cespugli. Quattro uomini entrarono; uno restò di guardia all’esterno. Da lì a poco arrivò in zona una vettura antigravità, seguita da un aereo più capace, da trasporto. Venticinque o trenta uomini armati balzarono al suolo e la montagna li ingoiò quasi tutti. Pochi minuti più tardi un altro grosso velivolo atterrò sul pianoro. Ne fu scaricato un generatore e gli uomini cominciarono a stendere cavi e montare fari, lampade e impianti di comunicazione.

Cordelia aprì il sacco a pelo perché Gregor stesse più comodo; gli diede un po’ di frutta secca e gli fece bere un sorso d’acqua dalla bottiglia. Bothari s’era coperto la testa con la vecchia giacca e anche da vicino avrebbe potuto esser scambiato per un macigno, a un primo sguardo. Sembrava finalmente deciso a dormire un po’. Mentre l’uomo sonnecchiava Cordelia tenne il conto dei soldati che davano loro la caccia. A mezzogiorno calcolò che nelle caverne ne fossero entrati quarantadue, nessuno dei quali era ancora riapparso.

Un’ora dopo due di loro furono condotti fuori in barella, trasferiti a bordo di un aereo e portati via in volo. Stavano però arrivando altri mezzi. Un piccolo velivolo cercò di atterrare nello spazio già troppo affollato davanti alla caverna, stroncò un albero, slittò giù lungo il pendio e si capovolse fra i cespugli. Dieci o dodici uomini dovettero impegnarsi duramente per tirarlo fuori, e l’operazione richiese tempo. Al crepuscolo oltre sessanta uomini erano stati risucchiati dalle viscere della montagna. Un’intera compagnia distolta da altri compiti alla capitale, non occupata nell’inseguimento di altri fuggiaschi o nella ricerca dei segreti dell’Ospedale Militare Imperiale… anche se, ahimè, questo non bastava a fare nessuna vera differenza.

È un inizio.

Nella penombra Cordelia, Gregor e Bothari scivolarono fuori dalla spaccatura, abbandonarono in silenzio il pendio roccioso e presero per i boschi. Era già buio quando, girando verso Passo Aime, sbucarono sulla pista che portava alla casupola di Kly. Da quella posizione si poteva vedere il pianoro, e Cordelia si fermò un momento. La zona di fronte alla caverna brulicava di luci. Velivoli di ogni dimensione continuavano ad atterrare e a decollare, nella foschia.

Dietro il Passo scesero per il lunghissimo pendio che due giorni prima aveva ridotto al lumicino le forze di Cordelia e stremato i cavalli. Cinque chilometri più avanti, in una zona rocciosa dove crescevano radi cespugli, Bothari si fermò all’improvviso. — Sshh. Ascolti, milady.

Voci. Voci di uomini non distanti da lì, ma con una strana eco. Cordelia si guardò attorno nel buio; nulla si muoveva. Accovacciati a lato della pista tesero gli orecchi.

Bothari si rialzò, girò la testa qua e là, poi uscì di strada. Dopo qualche momento Cordelia lo seguì, tenendo Gregor per mano, e vide che era andato a chinarsi sul bordo di una buca. Il sergente le fece cenno di avvicinarsi.

— È un foro d’aerazione — sussurrò. — Non fate rumore.

Le voci erano molto più chiare, e venivano dal basso. Borbottavano di malumore, imprecando in due o tre lingue diverse.

— Dannazione, caporale, ti dico che abbiamo girato a sinistra tre volte. Da qui si torna indietro.

— No, lei si confonde. Due volte a sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra.

— Ma questo corso d’acqua l’abbiamo già attraversato.

— Non era lo stesso maledetto corso d’acqua, sabaki!

— Merde. Perdu.

— Tenente, lei è un cretino.

— Caporale, io ti faccio sbattere in cella! Chiaro?

— La pila di questa torcia è scarica. Non durerà un’ora. Guardi che luce debole sta facendo.

— E tu non sbatterla a quel modo, imbecille. Credi che farà più luce, se adesso la spacchi?

— Le pile di ricambio le ha tenute quel bastardo di Morakis. Appena lo ritrovo, io gli…

I denti di Bothari biancheggiarono nel buio. Era il primo sorriso che Cordelia vedeva sulla sua faccia da mesi. In punta di piedi si allontanarono, e le voci divennero un mormorio sempre più fioco nella notte che avvolgeva i Monti Dendarii.

Quando furono sulla pista Bothari sospirò. — Se solo avessi avuto una granata da buttare in quella buca. Fra una settimana le loro squadre sarebbero ancora lì a spararsi addosso a vicenda.

CAPITOLO TREDICESIMO

Dopo quattro ore di marcia alla debole luce delle stelle, videro apparire più avanti un piccolo cavallo bianco e nero. Il Postino Kly era appena un’ombra sulla sella, ma Cordelia riconobbe subito la sua figura magra e trasandata.