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Aral la osservò intensamente. — Ebbene? Ti ascolto.

— Voglio sapere cosa stai pensando — disse lei. — Voglio sapere cosa siamo noi in tutto questo?

— Io… mi spiace. A posteriori, sono pentito di non aver tentato un’incursione giorni fa. La Residenza Imperiale è assai meglio difesa dell’Ospedale Militare, e un raid ci costerebbe ora molte perdite. Tuttavia… anche potendo, non farei una scelta diversa. Quando chiedo agli ufficiali del mio staff di aspettare, di non pensare ai loro familiari, non posso impegnare uomini e risorse per i miei motivi privati. La… situazione di Miles mi dà anzi modo di chiedere la loro lealtà, la loro fermezza, di fronte alle pressioni di Vordarian. Sanno che non chiedo a nessuno di affrontare rischi che non sono disposto ad affrontare io stesso.

— Ma ora la situazione è cambiata — precisò Cordelia. — Ora non stai correndo lo stesso rischio. I loro familiari hanno tempo; Miles ha soltanto sei giorni, meno il tempo che sprechiamo a discuterne. — Tutto ciò che sentiva era l’orologio del simulatore che ticchettava nella sua testa.

Lui non disse nulla.

— Aral… in tutti questi mesi ti ho mai chiesto di usare la tua autorità per farmi un favore?

Un sorriso triste aleggiò un attimo sulle labbra di lui e svanì subito. I suoi occhi non erano più sperduti in altri pensieri. — Non mi hai mai chiesto niente, lo so — mormorò. Coi gomiti poggiati sul tavolo unì le mani sotto il mento. Lei incrociò le dita, sforzandosi di nascondere la tensione con la stessa fermezza.

— Te lo chiedo adesso.

— Questo — rispose Aral dopo una lunga pausa, — è un momento molto delicato, nella situazione strategica che si sta sviluppando. Siamo impegnati in due diversi negoziati segreti con due comandanti di Vordarian, che pensano di vendersi a noi. Le forze spaziali stanno per fare la loro scelta. Si prospetta l’eventualità di abbattere Vordarian senza ricorrere a una battaglia molto sanguinosa.

Distratta dai suoi pensieri, Cordelia si trovò a domandarsi quanti dei comandanti di Vorkosigan stavano trattando per vendersi alla parte avversa. Solo il tempo lo avrebbe detto. Il tempo.

Vorkosigan continuò: — Se… se questi negoziati si concludono come spero, avremo l’opportunità di recuperare un buon numero di ostaggi in un colpo solo. Con un’incursione che coglierà Vordarian di sorpresa.

— Io non sto chiedendo un raid in grande stile.

— Lo so. Però un’incursione su piccola scala, che raggiunga o meno l’obiettivo, potrebbe mettere in forse il risultato di una più grossa che volessimo programmare subito dopo.

— Potrebbe.

— Potrebbe — concesse lui, annuendo.

— Fra quanto tempo?

— Circa dieci giorni.

— Non è abbastanza presto.

— No. Cercherò di accelerare le cose. Ma tu devi capire che… se gioco male questa carta, se sbaglio il tempo, il mio errore costerà la vita a parecchie migliaia di uomini.

Cordelia lo capiva. — Va bene. Ma supponiamo di lasciare l’esercito di Barrayar fuori da questa storia. Potrei andare io. Con un uomo o due, non di più, e in assoluta segretezza. Un tentativo del tutto privato.

Lui abbatté le mani sul tavolo. — No! — esclamò. — Sant’Iddio, Cordelia!

— Dubiti della mia competenza? — lo sfidò lei. Io sì. Ma non era quello il momento di metterlo in dubbio. — Quando mi chiami «cara capitana» stai soltanto vezzeggiando un animaletto domestico, o ti rivolgi ai gradi che mi sono guadagnata in servizio?

— Cordelia, io ti ho visto agire in modo eccezionale…

Mi hai anche visto sbattere la faccia in terra, no?

— … ma tu non sei sacrificabile. Dannazione! Questo sì che mi darebbe gli incubi, qui dentro. Aspettare, senza sapere…

— È quello che hai sempre domandato a me. Aspettare. Non sapere. E io l’ho fatto.

— Tu sei più forte di me. Hai una forza che io non capisco.

— Lusinghiero. E poco convincente.

I pensieri di Aral stavano cercando di aggirarla. Poteva leggerlo nello sguardo acuto dei suoi occhi. — No. Non devi andare allo sbaraglio. Te lo proibisco, Cordelia. È escluso. Toglitelo dalla testa. Non posso rischiare di perdervi entrambi.

— Lo stai facendo. Con queste parole.

Lui strinse i denti, abbassò lo sguardo sul tavolo. Messaggio ricevuto e registrato. Koudelka seduto al suo fianco spostava gli occhi dall’uno all’altra, costernato. Cordelia poteva quasi sentire la pressione della mano di Drou, stretta sullo schienale della sua sedia.

Vorkosigan sembrava far fatica a respirare, come fosse schiacciato fra due macigni. Cordelia non aveva alcun desiderio di vederlo così alle strette, così impotente. Capì che stava per ordinarle di dargli la sua parola che non sarebbe uscita dalla Base, che non avrebbe corso nessun rischio.

Aprì le mani, poggiandole sul tavolo. — Nessuno chiederebbe a me di diventare Reggente, ma io avrei dato un’altra risposta.

La tensione abbandonò Vorkosigan, con un sospiro. — Diciamo che non ho avuto abbastanza immaginazione.

Un difetto comune fra voi barrayarani, amore mio.

Mentre tornava al loro appartamento Cordelia trovò il Conte Piotr, in corridoio, giusto davanti alla porta. Era diverso dal vecchio stanco e malmesso che l’aveva lasciata su una pista di montagna. Vestiva un elegante abito da pomeriggio, del taglio preferito dagli anziani Vor o dai membri del governo in pensione: blusa e pantaloni bruni a righe grigie, stivaletti bianchi e neri. Con lui c’era Bothari, di nuovo nella livrea marrone e argento di Casa Vorkosigan. Il sergente teneva piegato su un braccio un pesante soprabito, da cui Cordelia dedusse che la missione diplomatica aveva portato il Conte in qualche distretto settentrionale. I Vorkosigan sembravano dunque in grado di spostarsi ovunque, fuori dalle zone pattugliate dalle truppe di Vordarian.

— Ah, Cordelia. — Piotr le rivolse un cauto cenno di saluto; non era il momento di riaprire le ostilità. Questo le stava bene. Era troppo nervosa, e preferiva non affrontare altri battibecchi in quelle condizioni di spirito.

— Buongiorno, signore. Ha fatto buon viaggio? Spero che ci porti buone notizie.

— Infatti, è così. Dov’è Aral?

— Negli uffici della Sicurezza, credo, a consultarsi con Illyan sulle ultime notizie da Vorbarr Sultana.

— Ah. Cos’è successo?

— È arrivato qui il capitano Vaagen. L’hanno brutalmente percosso, ma è riuscito a fuggire dalla capitale. Sembra che Vordarian abbia finalmente capito che aveva un altro ostaggio. I suoi uomini hanno trovato il simulatore uterino di Miles, all’OMI, e l’hanno portato alla Residenza Imperiale. Mi aspetto che lo usi per fare pressione su di noi, ma senza dubbio voleva che per il momento l’emozione della notizia ci fosse data dal rapporto di Vaagen.

Piotr scosse il capo con una risata secca, aspra. — Non credo che si ritenga in possesso di chissà quale mezzo di pressione.

Cordelia aveva stretto i denti. Li riaprì per chiedere: — Cosa vuol dire, signore? — Lo sapeva benissimo, ma voleva vederlo scoprire i suoi sentimenti. Sputali fuori, dannato vecchio. Fino in fondo.

Lui piegò un angolo della bocca, fra una smorfia e un sorriso. — Voglio dire che Vordarian ha reso involontariamente un servizio a Casa Vorkosigan. Sì, credo che ancora non se ne sia reso conto.

Non parleresti così se qui ci fosse Aral, vecchio… per caso non sarai coinvolto in questa faccenda? Diavolo, questo non poteva chiederglielo. Glielo chiese: — Lei non sa chi avesse motivo di informare Vordarian che in quel laboratorio c’era mio figlio?

Il suo tono era stato chiaro. Piotr non finse di ignorare l’insinuazione. — Io non parlo con i traditori! — sbottò.

— È un conservatore, del suo stesso partito. In molte cose la pensate nello stesso modo. Lei ha sempre rimproverato Aral d’essere troppo progressista.

— Tu osi accusarmi di…! — La sua indignazione si trasformò in rabbia. — Come ti permetti!